- Ho un gran brutto presentimento
- La sottile linea tra sceneggiatura e fan fiction
- Boba Fett nella leggenda vs. Boba Fett della serie
Su Disney+ è disponibile da quasi un mese, un nuovo episodio a settimana, The Book of Boba Fett, la serie dedicata al cacciatore di taglie più famoso della galassia di Star Wars. Giunti al giro di boa, quattro episodi su sette, è possibile esprimere qualche impressione a caldo sulla direzione che stanno prendendo le appendici televisive del franchise Lucasfilm/Disney e non mi abbandona la sensazione che gli episodi di questa serie viaggino col freno a mano tirato.
Avverto che qua e là sono disseminati dei riferimenti ad alcuni dettagli sugli episodi già pubblicati. Non sono veri e propri spoiler, ma chi desidera che nulla gli venga svelato può salvare questo articolo nei preferiti e recuperarlo dopo la visione del capitolo 4.
Nel terzo episodio finalmente succede qualcosa di veramente inaspettato e interessante, come la comparsa del wookie nero molto agguerrito che i lettori dei fumetti hanno già conosciuto sulle pagine di Darth Vader, il cucciolo di rancor con l’imprinting e la banda di centauri-cyborg su speeder bike così sgargianti e fuori luogo da risultare kitsch anche in un vicolo malfamato come quello tra i peggiori bar di Mos Espa.
Ecco il divertimento che traggono Dave Filoni (cowboy già alle redini di The Clone Wars e Rebels) e Jon Favreau (Happy Hogan nell’universo Marvel, nonché regista dei primi due Iron Man) nel produrre, scrivere e dirigere le serie ambientate nell’universo di Star Wars. Disney e Lucasfilm hanno dato loro in mano il franchise e sono abbastanza convinto abbiano detto: Divertitevi.
I due non se lo sono certo lasciato ripetere due volte. Come in un grande gioco di ruolo hanno preso in mano le ambientazioni, le armi, i personaggi, i veicoli e hanno cominciato a giocare come matti. The Mandalorian e The Book of Boba Fett potrebbero benissimo essere libri di regole per un gioco di ruolo, con tutti gli elementi pronti per permettere a chiunque lo desideri di approfondire aspetti che nei film originali incuriosivano ma non c’era tempo materiale per sviscerarli. Ora, senza l’ansia da prestazione di una pellicola da distribuire al cinema, molto più tempo a schermo a disposizione, una tecnologia all’avanguardia come Il Volume e le pause dovute all’attesa tra un capitolo e l’altro è possibile raccontare storie più ad ampio respiro, similmente ai racconti serali da bivacco intorno al fuoco.
A proposito di rievocazioni western, uno dei tanti generi dai quali i due produttori pescano a piene mani è proprio quello della tradizionale avventura nella frontiera americana. Din Djarin, per gli amici Mando, era senza mezzi termini un Clint Eastwood protetto da un’armatura in beskar e la regia omaggiava Sergio Leone (affiancato dal Giappone di Kurosawa nella seconda stagione). Come in ogni gioco di ruolo che si rispetti, man mano che la storia prosegue il protagonista può estendere e migliorare il proprio equipaggiamento, come succede con l’armatura. In The Book of Boba Fett, invece, è ammirevole l’intento di approfondire le abitudini dei Sabbipodi, finora sempre ritratti come predoni senza legge né scrupoli, che invece si rivelano una cultura degna di interesse. Proprio come nei western revisionisti che fornivano punti di vista differenti a favore dei pellerossa.
Ho un gran brutto presentimento
Perciò perché aleggia una strana sensazione, come se ci fosse qualcosa fuori posto fin dagli albori della nuova gestione di Star Wars cominciata con Il risveglio della Forza? Suppongo sia a causa di una narrazione più articolata di quanto ci abbia abituati George Lucas nei primi sei episodi cinematografici. Tra Una nuova speranza (1977) e La vendetta dei Sith (2005) la storia procede sempre in una sola direzione: avanti tutta. Non esistono flashback né visioni. Quando serviva ricordare antefatti questi venivano raccontati. Ecco, forse, dove deriva la sensazione di “lentezza”, il freno a mano di cui sopra. Fermare la vicenda in corso per tornare indietro a raccontare una storia nella storia tradisce, senza ostilità, la formula alla quale siamo sempre stati abituati pensando alla galassia lontana lontana. Quando poi i flashback, per quanto siano affascinanti, vengono inseriti in maniera così forzata diventa ancora più complicato seguire il filo della vicenda.
La sottile linea tra sceneggiatura e fan fiction
Se è vero che per non risultare didascalici sia sempre meglio mostrare e non chiacchierare troppo, è anche giusto riuscire a suscitare con un breve dialogo abbastanza curiosità. La guerra dei Quoti
(dei Cloni), Darth Vader tradì e assassinò tuo padre
, È la nave che ha fatto la rotta di Kessel in meno di dodici parsec.
Qualsiasi cosa volessero dire, tutte queste sentenze erano ammantate da un alone di mistero da permettere allo spettatore di fantasticare sulla vicenda. Ed è qui che entravano in gioco, letteralmente, i pupazzetti, i modellini delle astronavi Micro Machines (quanti inseguimenti ai banditi tra il Millennium Falcon e lo Slave I abbiamo organizzato io e i miei cuginetti…) e i Lego, permettendo ai ragazzini di proseguire idealmente quelle storie o riempire con la propria fantasia gli spazi lasciati vuoti. Precisamente quel tipo di gioco che fanno la premiata ditta Filoni & Favreau, ma con mezzi ben più sofisticati. Hanno addirittura mischiato i giocattoli, usandone altri che non c’entrano nulla tra loro, come le motorette tamarre color evidenziatore. Sarebbe interessante scoprire se l’uso di “giocattoli” extra sia da imputare più a Favreau e Noah Kloor che hanno scritto l’episodio, a Filoni che lo ha prodotto o a Robert Rodriguez che lo ha diretto. Io punterei su quest’ultimo, ma alla fine cosa ci importa? Questa gente gioca con le Guerre Stellari e si diverte da matti, divertendo anche chi sia disposto ad accettarlo con un sorriso. Gli voglio bene anche per questo. E per aver ricordato al pubblico che Boba ha già cavalcato creature giganti in passato, rendendo canonico il cortometraggio a cartoni animati dello Star Wars Holiday Special andato in onda solo nel Natale del 1978 negli Stati Uniti. Un accenno a questo disastroso varietà televisivo, che lo stesso Lucas cerca di cancellare con tutte le proprie forze, in verità, esisteva già nel primo episodio di The Mandalorian, quando un personaggio cita il Giorno della Vita. Altre due ciliegine sulla torta offerta dai produttori-fan per gli spettatori-fan.
Boba Fett nella leggenda vs. Boba Fett della serie
Vorrei spezzare una lancia in favore di Boba Fett. Fino all’anno scorso siamo stati abituati al suo alone di mistero. Abbiamo visto quello che più gli si avvicina al cinema ne L’attacco dei Cloni (2002): Jango Fett, interpretato sempre da Temuera Morrison; una scelta azzeccata, dato che Boba è il suo clone senza crescita accelerata. Abbiamo conosciuto in The Mandalorian un altro cacciatore di taglie in armatura: Din Djarin; armatura simile ma approcci diversi, oltre a tutti gli altri mandaloriani di Clone Wars e Rebels. Ricordiamoci però che prima delle serie in live action Boba adulto è comparso a schermo solo per pochissimo tempo e lì, pensandoci bene, non è mai stato crudele o spietato. Si impegnava soltanto a proteggere il proprio investimento: un Han Solo nemmeno ucciso, ma ibernato.
Il bel documentario su Disney+ Sotto l’elmo: sulle orme di Boba Fett racconta la genesi creativa del personaggio e fa notare che il suo minutaggio totale nei film è di soli sei minuti mentre le sue battute sono appena quattro. Il suo mito è cresciuto nelle pubblicazioni che ora non sono più canoniche e nella testa dei fan. Se ora si toglie spesso l’elmo, se non è un violento, è una decisione degli sceneggiatori in linea con la storia che intendono raccontare. Che piaccia o no, chi lavora nel franchise decide quale direzione intraprendere.
Sono alcune scelte lessicali e narrative che mi lasciano maggiormente perplesso, soprattutto legate al montaggio e alcune azioni che mi sembrano piuttosto illogiche. Per esempio quando l’astuto ex cacciatore di taglie si lascia circondare dai nemici e si dimentica di avere addosso degli interessantissimi gadget. Sarebbe bastato un balzello col jetpack e una vampata col lanciafiamme per tirarsi fuori dall’impaccio. Invece no, perde tempo perché occorre giustificare l’intervento di altri personaggi… Oppure quando torna a cercare l’armatura perduta dove non può più logicamente trovarsi solo per un escamotage narrativo fin troppo didascalico. Ma il rapporto tra scivoloni e scoperte davvero interessanti va sicuramente in direzione di queste ultime, se si prende lo show come semplice intrattenimento e non una religione.
The Mandalorian e The Book of Boba Fett rimangono comunque prodotti estremamente ben confezionati capaci di ammaliare gli appassionati come il sottoscritto. Non mi vergogno nel dire che più di una volta durante The Mandalorian mi è venuta la pelle d’oca e sono saltato sulla sedia per l’emozione. Sono davvero curioso di sapere come si concluderà la stagione in corso e quali rivelazioni porterà con sé. Inoltre sorrido al pensiero che potrebbero portare in carne e ossa altri personaggi provenienti dalle serie animate. È successo con Ahsoka (Rosario Dawson) e Bo-Katan (Katee Sackhoff), ma se dovessero pensare di introdurre degli ex soldati della repubblica, come Rex o la Bad Batch, Temuera Morrison potrebbe prestare il volto ad altri personaggi, dato che sono tutti cloni, in una versione starwarsiana de La famiglia del professore matto. Per dirla con Aldo Palazzeschi: E lasciatemi divertire!
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