Negli anni '40 dello scorso secolo, mentre ancora in Europa gli Stati Uniti combattevano contro i nazisti per la democrazia, in molte aree del loro territorio vigeva la segregazione razziale.
La cantante jazz Billie Holiday riscuoteva un enorme con le sue esibizioni al Café Society di New York, primo locale della città ad abolire la segregazione. Ma non le era consentito cantare una canzone in particolare: Strange Fruit, scritta nel 1939 da Abel Meeropol. Una canzone che raccontava, senza troppe perifrasi, dei linciaggi e delle impiccagioni dei neri negli stati del sud.
Per farle cessare ogni velleità, gli agenti del FBI, guidati da Harry Anslinger, cercano ogni appiglio per arrestarla. Lo trovano nel consumo di eroina della cantante, che nella droga cerca una via di fuga dal suo passato tragico e da un presente non meno doloroso, fatto di uomini che ne sfruttano il successo, e nella vita sessuale da donna libera e indipendente che essa conduce, molto avanti per la morale del tempo. L'agenzia governativa arriva a infiltrare un agente nel suo entourage, a corrompere gli amanti della cantante perché la tradiscano, compiendo ogni sorta di illegalità per fermarla, arrivando persino ad arrestarla sul letto di morte, pur di cercare di sminuire simbolicamente il suo impegno civile.
Gli Stati Uniti contro Billie Holiday è una storia del secolo scorso, ma non ha perso di attualità, duole dirlo. Se molto è stato compiuto, il razzismo è tutt'altro che una piaga del passato, pertanto la storia di Billie Holiday, una donna tutt'altro che perfetta, ma attiva contro le ingiustizie, è ancora attualissima.
La messa in scena di Lee Daniels è accurata. Nulla è lasciato al caso. Dalla ricostruzione d'ambiente agli arrangiamenti musicali, tarati sulla splendida voce di Andra Day, che canta senza timore reverenziale i brani che la Holiday ha reso indimenticabili. Non si devono fare confronti, ma la Day supera in pieno la prova, anche sul fronte recitativo, dandoci un ritratto di una donna complessa, facendo entrare piano piano lo spettatore nel suo mondo tragico.
Se il carico maggiore è di Andra Day, i comprimari interagiscono con lei comunque con efficacia. Trevante Rhodes è una rivelazione, nel non facile ruolo di Jimmy Fletcher, mentre il pur monolitico Garrett Hedlund è calzante nei panni del rigido Harry Anslinger.
La sceneggiatura di Suzan-Lori Parks, dal libro di Johann Hari, per cercare di colpire lo spettatore è in alcuni momenti ridondante, ma ha molti momenti di grande efficacia, dando modo a Daniels di impostare alcuni passaggi molto efficaci, specialmente nel passaggio temporale tra narrazione del presente narrativo e del passato. Non avrebbe guastato una maggiore sintesi in alcuni passaggi. Una così forte conflittualità nella vicenda riesce a evitare la trappola in cui cascano molti biopic, che non riescono a rendere drammatico il racconto di una vita.
La musica e il sonoro, non poteva essere diversamente in un biopic musicale, sono un'altra componente fondamentale della narrazione. L'ottimo montaggio sonoro contribuisce all'immersione.
Gli Stati Uniti contro Billie Holiday è un film da vedere e da far vedere, non solo per ricordare il passato, e quanto è stato fatto, ma anche quanto ancora resta da fare nel presente e nel futuro.
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