Nuova riproposta live-action di un classico Disney: Pinocchio di Robert Zemeckis, reimmagina con attori in carne e ossa e CGI il film d'animazione del 1940.
La storia è arcinota: Mastro Geppetto, vedovo senza figli, costruisce una marionetta di legno come simulacro di un figlio, desiderando fortemente che possa diventare un bambino vero.
La Fata Turchina lo accontenta, ma solo in parte. Anima la marionetta, ma allo stesso tempo non la rende in carne e ossa. Stringe invece con l'aspirante bambino un patto: se saprà rendersi degno, compiendo buone azioni, dimostrandosi di buon cuore, in premio lo renderà un bimbo vero. Poiché il piccolo in realtà non è capace di distinguere il bene dal male, suo mentore sarà il Grillo Parlante, al quale la Fata assegna il compito di fungere da coscienza di Pinocchio.
I guai cominciano subito, dal primo giorno in cui Geppetto, dopo l'iniziale sorpresa di trovarsi davanti a un bambino di legno, manda Pinocchio a scuola. Pinocchio viene subito distratto dall'incontro con Il Gatto e la Volpe, due truffaldini che lo venderanno allo spettacolo di marionette di Mangiafuoco. Comincia quindi un percorso fatto di incontri di ogni tipo, alcuni positivi, altri negativi, con figure che metteranno alla prova Pinocchio, come Lucignolo. che lo condurrà nell'ingannevole Paese dei Balocchi.
Un percorso che sappiamo sarà pieno di punizioni per ogni misfatto, come l'allungarsi del naso per le bugie dette, o trasformarsi in asino per essersi fatto trascinare da Lucignolo.
Allo stesso tempo Geppetto si metterà alla ricerca del figlio scomparso, finendo nella bocca di un gigantesco pesce. Lì alla fine il percorso di padre e figlio s'intersecherà. Pinocchio avrà finalmente la sua occasione di riscatto, per dimostrare di essere degno di essere finalmente "un bambino vero".
Nel ricalcare più o meno pedissaquamente la versione Disney del classico romanzo per ragazzi di Collodi, Robert Zemeckis alla vicenda aggiunge poco: qualche nuovo personaggio, come la ballerina e burattinaia Fabiana (Kyanne Lamaya), o il cocchiere interpretato da Luke Evans, che gli danno l'occasione di aggiunte di numeri musicali anche di spessore; moltissimi e gustosi inside joke, anche autoreferenziali (osservate bene gli orologi di Geppetto!).
Animazioni e scenografie dimostrano una passione e una cura strabilianti e piene di sense of wonder. Lasciano a bocca aperta la cura dei dettagli, anche sonori, come il verso del grillo quando salta, o la legnosità di Pinocchio, tra i tanti.
Non manca quindi la magia e la volontà di riprodurla. Il problema è che la passione si trasforma troppo spesso in autocompiacimento, e spesso il film si attorciglia su stesso per troppa volontà di spiegare, di insegnare, di catechizzare quasi.
Lo spettacolo merita la visione, ma risulta troppo verboso per i piccoli ai quali dovrebbe essere diretto, troppo sottile nella scelta della "morale" che dovrebbe impartire.
Il che ci porta a una considerazione che comporta uno spoiler sul finale del film, da leggere a vostro rischio e pericolo. E non dite che non vi avevo avvertito.
Sì, perché va detto, anche se la vicenda è nota, Zemeckis e il co-sceneggiatore Chris Weitz, propongono una diversa soluzione alla vicenda di Pinocchio.
Il bambino di legno compie il suo percorso di crescita e apprendimento, riscatta la sua condizione di monello di strada disubbidiente, ma alla luce della considerazione che Geppetto lo ha sempre amato per com'è, non lo vediamo trasformarsi per questo in un "bambino vero". La morale sembra essere quandi che ognuno di noi è quello che è, non importa se fisicamente "diverso", come la ballerina/burattinaia Fabiana, ma quello che importa è come siamo "dentro".
Il Pinocchio di Zemeckis non guadagna il suo premio finale, perché ritenuto superfluo. Forse, in un altro tempo e in un'altra storia diventerà un "bambino vero", ma questo non è ritenuto fondamentale.
Lo scopo è lodevole. Si cerca di attualizzare un finale che, nella lettura di Zemeckis credo, vede come premio la omologazione di Pinocchio a una "norma", ovvero l'essere come gli altri. In realtà non credo che la trasformazione in bambino fosse nel romanzo di Collodi per volontà di esprimere una qualche omologazione, ma la semplice rappresentazione del miglioramento apportato dall'esprimere buoni sentimenti e rispetto per gli altri.
Una metafora premiale più diretta e comprensibile da un bambino, rispetto a quella proposta dal film, più sottile e da spiegare bene perché si afferri in pieno.
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