Evelyn Quan Wang è una donna cinese-americana di mezza età che cerca di sopravvivere a un matrimonio che sembra ormai arrivato al capo linea, la sua attività di lavanderia sull’orlo della banca rotta a causa delle tasse, un padre che la fa sentire una fallita e una figlia gay che fatica ad accettare. Il tran tran l’ha portata ad essere sempre stanca e arrabbiata, sommersa dalle incombenze e incapace di esprimere l’amore che sente verso la famiglia. Tutto cambia quando la contatta un uomo identico a suo marito, rivelandole che esistono tanti universi quante sono le scelte cruciali da lei fatte nella vita. Da qualche parte Evelyn ha preso un’altra strada ed è diventata una maestra di arti marziali, uno chef, una cantante e chissà che altro, ma ora deve essere in grado di richiamare a sé tutte le conoscenze che ha sviluppato negli altri multiversi poiché un essere malvagio che sta distruggendo la realtà le dà la caccia perché sa che solo lei può distruggerlo.
Fantasy, fantascienza, film d’arti marziali e d’animazione con citazioni persino da autori come Wong Kar-wai, Everything, Everywhere, All At Once sembra un film anarchico, fatto con una commissione di generi così disparati dove trova posto persino il dialogo tra due rocce. La pellicola dei Daniels, così vengono chiamati Daniel Kwan e Daniel Scheinert, i due registi e sceneggiatori, pare un dedalo intricatissimo, così com’è complicato il multiverso che raccontano, ma lo è solo all’apparenza. Se è vero che di base c’è un animo indie, i produttori però sono quei fratelli Russo che non poco hanno contribuito al successo dei super eroi dell’universo Marvel. D’altra parte a distribuire il film è la A24, la casa di produzione indipendente statunitense capace di coniugare cinema d’autore a buoni incassi. E ottimi sono stati quelli di Everything, Everywhere, All At Once che in America grazie al passaparola ha avuto un successo tale da far aumentare il numero di sale che lo proiettavano, diventando l’incasso più redditizio della A24.
Ma qual è il segreto del successo di Everything, Everywhere, All At Once, in grado di mettere d’accordo pubblico e critica? Prima di tutto un racconto folle che si avvicina di più a Guida galattica per autostoppisti che a Doctor Strange. Non ci sono parentesi in cui viene mostrato allo spettatore che cos’è il multiverso, ma si gioca con i generi, perfettamente inseriti però nella storia, dove la logica solo all’apparenza sembra c’entrare poco. In realtà, a ben guardare non si fatica a seguire Evelyn, l’evoluzione del personaggio e comprendere la sua presa di coscienza finale, perché Everything, Everywhere, All At Once ci tiene molto non solo a far virtuosismi di regia ma a dare una morale che, si condivida o meno, o che si trovi l’epilogo un po’ troppo lungo e ridondante, non risulta posticcia ma suona sincera.
Non dimentichiamo poi che parte del successo di questa pellicola è dovuto anche al cast, con la divina Michelle Yeoh che non si limita a menar le mani anche se si contano i minuti nell’attesa che cominci a farlo. Meravigliosa poi Jamie Lee Curtis trasformata da scream queen a mostro assassino, e ottima l'intuizione di riportare sullo schermo Ke Huy Quan (il ragazzino di Indiana Jones e il Tempio Maledetto e I Goonies) e la leggenda James Hong.
Vien da chiedersi se questo film piccolo, con un budget ridicolo se paragonato a quello dei blockbuster della Marvel, possa mostrare una strada diversa, dove le idee più originali non necessariamente debbano essere sacrificate nel nome della via più sicura che porta all’incasso certo. Everything, Everywhere, All At Once non è un film perfetto ma è di sicuro una pellicola molto interessante e di questi tempi non è poco.
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