Return to Monkey Island è, dopo tante riedizioni e aggiornamenti alla grafica moderna delle sue avventure ormai leggendarie, il ritorno del "temibile pirata" Guybrush Threepwood sui nostri PC (non solo, anche Mac e Nintendo Switch, in realtà).
A raccontare la sua nuova avventura è Ron Gilbert, autore dei primi due giochi, The Secret of Monkey Island e Monkey Island 2: LeChuck's Revenge, rispettivamente del 1990 e 1991, del quale questo titolo era presentato come l'unico vero seguito.
La storia
Senza voler troppo spoilerare, Return to Monkey Island è il nuovo capitolo dell'ossessione di due uomini per "Il segreto di Monkey Island". Il pirata fantasma Le Chuck e Guybrush sono due facce della stessa medaglia. Si sono scontrati più volte, in collisione per due motivi: l'amore delle bella Elaine, per il quale Le Chuck in realtà non è mai stato veramente in gara; il "segreto di Monkey Island", che dopo tanti anni è ancora tale.
Ricollegandosi al finale del secondo gioco in modo a mio avviso geniale e risolutivo, dopo una prima parte introduttiva veniamo catapultati nella nuova gara tra i due ossessionati rivali.
Le Chuck questa volta sembra in vantaggio. Ha già pronta una nave e un equipaggio, mentre Guybrush, senza la sua fidata nave Scimmia dei Mari, è ancora al palo. Comincia quindi la sua solita sequenza di azioni del tutto discutibili per raggiungere il duplice obiettivo di sabotare Le Chuck e allo stesso tempo cercare il modo di procurarsi una nave per salpare anche lui verso Monkey Island. Per farlo passerà, come è sempre stato, come uno schiacciasassi su tutto e tutti, rendendosi responsabile di nefandezze di ogni tipo nei riguardi dei poveri personaggi non giocanti che si troveranno sulla sua strada, e intromettendosi anche nel conflitto generazionale tra i vecchi pirati e le nuove e più spregiudicate leve della pirateria.
La tecnica
Come per tutta la serie, anche questo titolo è un avventura "punta e clicca". Senza patemi d'animo, il giocatore deve esplorare le varie ambientazioni del gioco, raccogliendo oggetti e cercando il modo di combinarli insieme per risolvere gli enigmi che gli consentiranno di proseguire. Nessun pericolo di morire, nessuna incertezza legata a sequenze in cui sono i riflessi a essere messi in discussione.
L'elemento di incertezza è quindi nel cercare di comprendere la logica – o la "non logica" in molti casi – con la quale s'incastrano oggetti e situazioni tra loro. Per aiutarsi ci sono i dialoghi, pertanto conviene parlare fino a esaurimento di tutte le frasi possibili con tutti i personaggi che si incontrano. Importante poi è lo spirito di osservazione. Cliccate ovunque, cercare ogni possibile oggetto e osservare ogni dettaglio. Anche quello che sembra apparentemente più inutile nel suo contesto può diventare utilissimo portato in un altro.
A differenza dei suoi predecessori, in realtà si può arrivare alla fine senza risolvere tutti gli enigmi o parlare con tutti i personaggi, ma vi perdete molto del divertimento, oltre che conseguire meno obiettivi di quelli presenti nel gioco.
Oltre al meccanismo degli obiettivi, primari e secondari, c'è una modalità semplificata per i meno esperti. Ma tanti sono gli aiuti anche nella modalità "difficile", dalla compilazione di una lista degli obiettivi, alla evidendenziazione dei nuovi oggetti, fino a un vero e proprio libro degli indizi da usare se proprio rimanete bloccati troppo a lungo.
Si parla molto di storytelling nei giochi, e Return to Monkey Island ha una storia principale, ma quello che credo sia importante è quella che chiamo "narrazione sottesa", ovvero quella che scaturisce dai dialoghi senza sbocco, dai tentativi falliti, dai giri e tentativi a vuoto fino a quando non si risolve l'enigma.
In questo senso lo humor di Ron Gilbert colpisce ancora, dandoci tante occasioni di divertimento.
Dettagli di stile
Graficamente lo stile è l'evoluzione di quanto realizzato negli anni '90. Quella che adesso è considerata pixel-art, all'epoca era lo stato dell'arte. Return to Monkey Island, non è un retrogame, ma un gioco che esteticamente vuole essere al passo con i suoi tempi, presentando ancora una volta grafica adeguata agli standard del suo tempo.
Qualcuno potrebbe dire che la meccanica "punta e clicca" è ormai roba da retrogaming, ma non sono d'accordo. Moltissimi giochi dalla tecnica modernissima hanno meccaniche che affondano i tempi nella preistoria del videogame. Quello che rende attuale un gioco è come la meccanica si adegui, come stile e linguaggio, ai tempi.
In tal senso Return to Monkey Island diventa a un certo punto meta-narrazione, ammicca al gamer mettendo in discussione i suoi stessi presupposti, con un sonoro sberleffo in cui si spacca il capello in quattro per ogni dettaglio.
Conclusioni
I tempi d'oro del punta e clicca sono passati. Gilbert gioca su questo concetto più volte, in maniera trasparente ma anche più subdolo a volte, in pieno stile Guybrush.
L'esperienza è resa divertente anche dall'ottima interpretazione delle voci, tutte in inglese, ma con i sottotitoli in italiano per i meno avezzi alla lingua.
Una volta giocato potreste volerlo rigiocare per cercare di sbloccare gli obiettivi sfuggiti a un primo giro, pertando la longevità si può dire quantomeno discreta, in rapporto alla profondità della trama.
Bentornati su Mêlée Island, temibili pirati!
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