È la metà degli anni ’80 e Maren vive, in piena epoca reaganiana, in Virginia con il padre. Sembra un’adolescente come tante, un po’ isolata a causa delle regole rigide a cui deve sottostare. La verità è che il genitore cerca di proteggerla dalla sua stessa natura fintanto che, compiuti i diciotto anni la abbandona, lasciandole come unico addio una audiocassetta e il certificato di nascita della madre che lei non ha mai conosciuto. Maren decide allora di partire per cercarla, sperando di scoprire in tal modo anche qualcosa su di sé. La ragazza sente infatti l’irresistibile desiderio di nutrirsi di carne umana, e nel suo viaggio dal Maryland al Nebraska scopre di non essere la sola, incontrando altri simili a lei. Qualcuno l’aiuta a capire come sopravvivere, qualcun altro le fa comprendere come amare a prescindere da come si è.
Tratto dal romanzo Fino all’osso di Camille DeAngelis, Bones and All è stata l’occasione per Luca Guadagnino (vincitore del Leone d’Argento al Festival di Venezia 79 come miglior regista) di riprendere alcuni temi centrali nella sua filmografia, in primo luogo l’idea che l’amore possa essere assoluto e travolgente. Parlava di questo Call Me by Your Name del 2017, storia d’amore impossibile tra il giovane Elio e il più grande Oliver, anche se altrettanta forza dirompente c’era in Suspiria, il film successivo nel quale la protagonista Susie reclamava di fronte al mondo la sua natura di strega. Personaggi giovani quasi adolescenti anche Maren e Lee di Bones and All come se, per Guadagnino quella fosse la sola età in cui l’eccesso è perdonabile. Un discorso il suo non rivolto ai ragazzi ma agli adulti che guardano alla giovinezza come a un tempo fantasmagorico che parla di realtà, ma che rappresenta la dimensione vitale per definizione. È per questo che il mondo di Maren, così come i suoi vestiti sdruciti e lisi, è comunque seducente.
Taylor Russell e Timothée Chalamet sono perfetti per dimostrare l’equazione di gioventù uguale bellezza, ovunque siano, quasi il mondo si piegasse alla forza del loro carisma. Anche questo aspetto non è nuovo al cinema di Guadagnino capace qui di sottolineare la potenza dei suoi personaggi non più in splendide ville toscane, né in imponenti architetture ma all’interno di catapecchie scrostate, squallide tavole calde e concedendosi solo pochissimi paesaggi naturali.
Se da una parte l’adolescenza è l’età del massimo vigore dall’altra è anche quella di maggiore fragilità. Nel caso di Maren e Lee è la loro stessa natura a rendere impossibile l’integrazione in una comunità. Guadagnino mostra la componente orrorifica con qualche pudore cosa che potrebbe far pensare a una mancanza di radicalizzazione o a un addomesticamento di tematiche. Bones and All è un film che parla di cannibali ma in cui scene di cannibalismo se ne vedono ben poche. Quelle che ci sono però hanno la forza di lasciare un senso di disagio capace di minare quella che potrebbe essere la banalissima morale della pellicola, cioè: l’amore ci salva. Perché se è vero che da una parte Guadagnino lavora sulle superfici, le rende lucide e ammalianti, dall’altro questo discorso si auto sabota scientemente. Per questo la storia di Maren e Lee, sentimentale ed eccessivamente romantica non scivola nella banalità, perché l'amore è mangiare tutto, fino all'osso.
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