Avere la possibilità di vedere un bel documentario è una cosa difficile, avere la possibilità di vederlo nelle sale è ancora più difficile. L’ombra di Goya è un documentario molto interessante, sia per l’argomento trattato, sia per la sua struttura.
In primis la scelta del narratore: Jean-Claude Carrière, che ha firmato anche la sceneggiatura del documentario, insieme a Cristina Otero Roth. Carrière è un intellettuale curioso, acuto, di straordinaria cultura, eclettico, vitale. La sua carriera è stata brillantissima, segnata dalla collaborazione e amicizia per più di 20 anni, con Luis Buñuel, con cui ha condiviso il piacere della dissacrazione, dello scavo interiore, privo di colini, di paratie -non poteva che essere lui a narrare Goya-, ha anche scritto sceneggiature per i più grandi registi: Milos Forman, Marco Ferreri, Jean-Luc Godard, Carlos Saura, Nagisa Oshima e Michael Haneke.
Ulteriore motivo di interesse del documentario: José Luis López-Linares – regista di documentari, quali Bosch, il giardino dei sogni, direttore della fotografia per molti registi, fra cui Fernando Trueba (segnaliamo il bellissimo e toccante La nostra storia) -, compie l’efficace scelta di non inserire le mai troppo vituperate fiction, quasi sempre tristi e scadenti, di non interrompere il flusso emotivo della memoria e delle riflessioni di Carrière, ma di intervallarlo con riflessioni di altri professionisti, o intellettuali, che potessero spiegare il rapporto del narratore -venuto a mancare un anno dopo la fine del girato-, con Goya. Una sorta di visione concentrica del narratore, che narra e viene narrato. Escher si divertirebbe moltissimo.
Ma veniamo a Goya. Per parlare di questo eccezionale, travolgente pittore, occorre mettere un po’ di distanza dalle emozioni che suscitano i suoi dipinti e soprattutto i suoi Capricci, proprio come prima di proferire parola dopo la proiezione di alcuni disarmanti film di Buñuel, occorre decongestionarsi. Il livello di pressione di fronte all’orrore, senza speranza e senza limite, che può raggiungere la natura umana, è difficile da gestire.
López-Linares ci regala la possibilità di vedere alcune di quelle opere con una vicinanza tale da cogliere i segni delle anime dei ritratti, dei volti immortalati nella pura essenza. Il regista si concentra non tanto sulle prime opere, quelle di argomento religioso, che mostra velocemente per sottolineare la maestria di Goya, pittore di corte, ma su quelle private e sulle ultime, cioè quelle create, quando la sordità era già presente. Sceglie anche di intervistare anche un otorino laringoiatra per analizzare i cambiamenti nella pittura di Goya, al sopraggiungere della malattia. Per fortuna l’Uomo riesce spesso a ribaltare un limite in una forza. Certo, non è cosa da tutti.
La pittura di Goya diventa ancora più indagatrice, ancora più insinuante. E se la serie dei Capricci è una sorprendente ricerca di cogliere l’anfratto più recondito della follia, della miseria, del fuori dall’ordinario, quasi uno studio psicoanalitico; le pinturas negras diventano l’unica espressione e il possibile contatto con l’esterno di un uomo dirompente, dalle passioni audaci e poco contenibili, quasi surreale ed è proprio in questo che il pittore si avvicina al regista spagnolo: tutti e due aragonesi, tutti e due sordi e tutti e due incapaci di assoggettarsi all’ordine costituito. Goya era deluso, amareggiato dall’orrore della violenza. Il regno di Carlo IV non poteva che gettare sgomento nelle menti più libere. E mentre Goya decise di rifugiarsi a Bordeaux, dove morì nel 1828, Bunuel, indignato e impossibilitato a accondiscendere al silenzio, decise e fu costretto a riparare in Messico, dove continuò a lavorare e a dirigere dei capolavori assoluti, in cui smacherare le ipocrisie della società e potere, non ultimo quello della Chiesa.
Il parallellismo con Buñuel appare meno forzato di ciò che ci si potrebbe immaginare e se a fare da trait d'union è proprio Carrière, che mostra le sue foto e le sue memorie con il regista, diventa ancora più evidente la somiglianza con il pittore.
Gli interventi della moglie di Carrière, Nahal Tajadod – donna di raffinata cultura e intelligenza-, non aggiungono molto alla conoscenza di Goya, ma chiariscono la sensibilità del narratore-scrittore; risulta, invece, poco chiaro l’apporto del regista-pittore Julian Schnabel, che invade lo schermo senza aggiungere nulla all’evidenza delle immagini.
Purtroppo sarà al cinema dal 6 all'8 marzo e sarebbe un vero peccato perdere la possibilità di vederlo, nelle sale che trovate di seguito, tra le risorse in rete.
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