Un trafficante di droga sulle note di Jane dei Jefferson Starship, lancia dall’aereo su cui sta viaggiando un numero indefinito di borsoni contenenti pacchetti di cocaina che fiscono nel parco sottostante. A trovare il ricco bottino sono in molti: una coppia di bambini tredicenni che decidono di marinare la scuola perché la mamma single di lei è troppo presa dal nuovo boyfriend; tre ragazzi strampalati che non vedono l’ora di fare un po’ di soldi per andare a New York; una ranger attempata che vuole fare colpo sul naturalista che studia il parco; il socio del trafficante di droga che affida a suo figlio da poco vedovo e all’amico di lui il compito di recuperare la roba; un poliziotto con uno strano cane che si mette sulle tracce dei malviventi; un enorme orso. Quest’ultimo appena prova la polverina bianca fa letteralmente di tutto per procurarsene ancora, trasformandosi in una belva inferocita e totalmente fuori controllo. Chi riuscirà a sopravvivere alla sua dipendenza?
Un po’ un natura horror un po’ stoner movie, Cocainorso anche nei risultati sembra imboccare un doppio binario: da una parte riesce nell’essere divertente con momenti pulp di sparatorie involontarie o zampe d’orso che spaccano finestre alle spalle del personaggio come un serial killer umano, dall’altra pare non centrare del tutto l’obbiettivo. La struttura funziona con un lungo prologo in cui si mostra com’è arrivata la droga nel parco, proseguendo poi, quasi fosse un giallo alla Agatha Christie a radunare tutti i personaggi. Elizabeth Banks conosciuta più come attrice di commedie che come regista ha ben presente i cinema degli anni ’80, e quel tipo di action in cui la coerenza logica o il passaggio tra commedia e splatter era più frequente rispetto a oggi. Inoltre, bell’ottica del B movie, non infastidisce neppure la realizzazione dell’orso in un digitale non esattamente impeccabile.
Però che, se da una parte Cocainorso spinge come si è accennato sul gore con divertenti squartamenti operati dall’orso cocainomane, facce grattugiate sull’asfalto, budella che si srotolano, dall’altra sia evidente che nella storia ci sono dei “buoni” e che questi si salveranno. L’orso non può giustamente essere ucciso (è pure una mamma con due cuccioli) nonostante le efferatezze compiute, ma l’happy end umano smorza i toni con un terzo atto un po’ piatto. Un peccato perché è proprio alla fine che entra in scena il villan Ray Liotta, qui alla sua ultima interpretazione, che regala con la sua sola presenza una marcia in più all’intera pellicola.
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