E alla fine arrivò anche il quinto Indiana Jones. Dopo la delusione generalizzata del quarto film del 2008, le aspettative su Indiana Jones e il Quadrante del Destino, film nel quale James Mangold prende il testimone della regia da Steven Spielberg, non erano altissime.

Posso anticiparvi che per quanto mi riguarda poteva andare peggio, ma anche un po' meglio.

La storia

L'antefatto è in Germania, anno 1945, ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale. Come sempre Jones insegue reperti archeologici cercando di sottrarli ai nazisti. Insieme all'amico e collega Basil Shaw (Toby Jones) è sulle tracce delle mitica Lancia di Sigfrido, che però si rivela un McGuffin pretestuoso, perché il vero reperto importante ai fini della nostra storia lo recupera lo scienziato nazista Voller (Mads Mikkelsen): la prima metà di un meccanismo ideato da Archimede, lo scienzato dell'antica Siracusa, che consentirebbe di manipolare lo spazio-tempo. Vi lascio immaginare chi ci metterà sopra le mani e chi invece mangerà la polvere.

Indiana Jones e il Quadrante del Destino
Indiana Jones e il Quadrante del Destino

Il presente narrativo è il 1969. Il Dottor Jones è un vecchio brontolone, provato dalla vita, che stenta a destare l'attenzione e la meraviglia degli studenti di fronte all'evento storico di quella estate: lo sbarco sulla Luna. Sarebbe anche ormai tempo di andare in pensione, se non fosse che dal passato spuntano Helena (Phoebe Waller-Bridge), la figlia di Shaw, e il redivivo Voeller, che adesso si fa chiamare Smith e fa parte degli scienziati che hanno contribuito al progetto che portò l'uomo sulla Luna. Entrambi sono alla ricerca delle due parti del meccanismo di Archimede. La prima per profitto, il secondo per un suo folle progetto di riscatto nazista.

Così Indiana Jones viene trascinato, non troppo riluttante in realtà, in un'avventura che lo porterà a Tangeri, poi nel Mar Egeo e quindi a Siracusa (quella in Sicilia, non Syracuse vicino NY!!!).

Problemi

Raccontato in sintesi, il soggetto del film si prestava a un'avventura emozionante e spettacolare. Non si può dire che manchi di questi elementi, ma desta molta perplessità la sceneggiatura scritta a otto mani da Jez Butterworth, John-Henry Butterworth, David Koepp e lo stesso Mangold.

Ligio al patto del no-spoiler non cito i passaggi che mi hanno destato perplessità, ma sono più di uno e sono fin troppe le domande che restano senza risposta alla fine. Nonostante la lunghezza del film sembra che non si sia trovato il tempo per qualche frase, qualche fotogramma, non dico di più, atto a preparare la soluzione alle molte parentesi aperte, ai molti passaggi del tutto illogici e non giustificabili dall'appartenza dell'avventura al regno del fantastico.

Indiana Jones e il Quadrante del Destino
Indiana Jones e il Quadrante del Destino

Anche la caratterizzazione dei personaggi, eccezione per il Dr. Jones ed Helena (anche se solo in parte), è decisamente mediocre e stereotipata.

Sembra interessante il lavoro compiuto nel presentarci come Jones non si sia arricchito nella ricerca di reperti in tutto il mondo. Pochi dettagli ci mostrano un appartemento modesto, quello di una persona che non ha tratto profitto, ma ha sempre considerato i suoi ritrovamenti patrimonio dell'umanità, da esibire in un museo. La sua storia personale emerge da poche inquadrature, che vi lascio scoprire, ovviamente.

Indiana Jones e il Quadrante del Destino
Indiana Jones e il Quadrante del Destino

Le battute stereotipate assegnate a Voeller, invece, non rendono giustizia all'ottimo lavoro di Mads Mikkelsen, il cui personaggio alla fine sembra solo uno scagnozzo di passaggio, non degno di essere considerato l'antagonista di Indy. Anche lì, sono mancati i necessari sostegni che lasciassero intravedere una profondità del personaggio.

Altri personaggi, come l'agente governativo interpretato da Shaunette Renée Wilson, pur avendo uno spazio minore, non hanno comunque uno sviluppo proporzionato, risultando alla fine del tutto pretestuosi.

Spunti di riflessione sulla tecnica

La sequenza della Seconda Guerra Mondiale vede in azione la versione di Indiana Jones che abbiamo conosciuto nei primi tre film. Non recita direttamente Harrison Ford ma la sequenza è stata realizzata con l'ausilio di controfigure alle quali è stato apposto il volto dell'attore, con tecniche digitali messe a punto da ILM che sfruttavano le espressioni di Ford campionate da quelle dei precedenti film. Il risultato è sicuramente superiore a quello visto in Star Wars: Rogue One con la Principessa Leia o in The Mandalorian con Luke Skywalker, perché la tecnica è stata migliorata.

Il risultato di questo film lascia intravedere ancora di più sviluppi che possono cambiare il rapporto che abbiamo con il cinema.

Indiana Jones e il Quadrante del Destino
Indiana Jones e il Quadrante del Destino

Ricordiamoci che in fondo quando andiamo al cinema sottoscriviamo un patto di sospensione dell'incredulità. Ci mettiamo nella condizione di credere che quello che vedremo sullo schermo sia "vero", se ovviamente chi ha fatto il film grado di renderlo credibile. Sappiamo però che a volte ci sono dei limiti, e li accettiamo, sapendo che quella che vedremo sullo schermo è la migliore rappresentazione possibile del concetto che il regista ci vuole trasmettere.

Abbiamo sempre accettato l'idea che a interpretare la versione giovane di un personaggio sia un altro attore, per esempio, perché se è relativamente facile truccare un giovane per sembrare più anziano, è praticamente impossibile il contrario. Come spettatori siamo quindi perplessi di fronte a questi ringiovanimenti digitali, che ci restituiscono lo stesso volto di quarant'anni prima, mentre avremmo accettato con sospensione dell'incredulità un attore più giovane, come fu per esempio con River Phoenix nell'antefatto di Indiana Jones e L'ultima crociata.

River Phoenix nel ruolo di Indiana Jones
River Phoenix nel ruolo di Indiana Jones

Ricordiamoci però che anche nella fruizione dello spettacolo cinematografico non ci sono punti fermi. Se agli albori l'unico cinema possibile era muto e in bianco e nero, poi sono arrivati il colore e il sonoro, e anche all'epoca c'erano perplessità su questi cambiamenti. Se poi siamo stati abituati per decenni a ricostruzioni della realtà approssimative, con fondali palesemente finti, gradualmente ci siamo abituati a una rappresentazione più realistica.

Nel 1978 con Superman di Richard Donner abbiamo creduto che "un uomo possa volare", grazie a tecniche all'epoca all'avanguardia che oggi sembrano rudimentali. Ma tutto è andato avanti lo stesso, nonostante chi contrapponesse alla ricerca del realismo l'evocazione del concetto con strumenti materiali e ricostruzioni palesemente "finte", ma che diventano "vere" se lo spettatore le accetta. Il transatlantico Rex in Amarcord di Federico Fellini, del 1973, per fare un esempio, è "reale" quanto il Titanic di Cameron del 1997, perché ha la stessa capacità di meravigliare, con lo stesso patto di sospensione dell'incredulità, pur non essendo realizzato con gli stessi effetti visuali. E non credo che nel 1997 Fellini lo avrebbe realizzato digitalmente, perché la costruzione nasce da una precisa scelta autoriale. 

Il passaggio del Rex in Amarcord di Federico Fellini
Il passaggio del Rex in Amarcord di Federico Fellini

Pertanto, non so dire se in futuro sarà sempre più accettata l'idea di una ricostruzione digitale di un personaggio giovane al posto dell'uso di un diverso attore. Ma può darsi che, per ragioni narrative, si opti per l'una o l'altra soluzione a seconda del genere o delle intenzioni del progetto.

Nel presupposto dualismo "digitale vs materico" ci sono le fazioni estreme di uno e dell'altro. Per quanto mi riguarda resto dell'idea che la tecnica diventa invisibile se si racconta una buona storia. Indiana Jones e il quadrante del destino sfrutta lo stato dell'arte di una tecnica, portando avanti la tecnologia cinematografica con una sequenza che la sfrutta benissimo. 

Conclusioni

È un peccato che il resto del film non si confermi allo stesso livello di tensione narrativa della sequenza iniziale, perché per certi aspetti ci restituisce il piacere di ritrovare vecchi amici e di vedere cosa è successo loro negli anni in cui li abbiamo persi di vista.

Considerato il risultato finale, certe parti potevano essere sviluppate meglio, altre essere meno dilatate, e il film poteva durare anche un po' meno, complessivamente. Non tutto si mette al posto giusto alla fine, ma non sembra che ci siano aperture per seguiti. La storia di Indy, ma anche di Sallah e Marion, per quanto ci riguarda finisce qui. Ed è giusto così.