Signe e Thomas sono una coppia di ragazzi giovani, belli e circondati da amici. Lei non ha grandi progetti per la sua vita, lavora in una pasticceria ed è certa che una buona dose di narcisismo sia la chiave per farcela; lui è invece un artista che crea sculture con mobili di design rubati da negozi di lusso. La carriera di Thomas sembra avere una svolta quando riesce ad esporre in una famosa galleria d’arte ma Signe sente che la celebrità del suo ragazzo la sta mettendo in ombra. Le capita di soccorrere nel negozio in cui lavora una donna assalita da un cane, e ciò fa sì che improvvisamente il mondo si accorga anche di lei. Quando però l’interesse inizia a diminuire la ragazza sente di dover fare qualcosa per ritornare al centro dell’attenzione, e nessun gesto le sembra abbastanza estremo pur di riuscirci.

Presentato al Festival di Cannes 2022 nella sezione Un Certain Regard, Sick of Myself secondo lavoro del regista norvegese Kristoffer Borgli, è un film difficile da inquadrare in un genere. Sicuramente debitore al body horror di David Cronenberg di cui ne accenna in parte alcune tematiche (la chirurgia e modificazione del corpo come fonte di piacere), vi si trovano però argomenti visti anche ne Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson. Ma Borgli mette l’accento non tanto su cosa un individuo sia disposto a fare per raggiungere l’appagamento personale, quanto detto appagamento debba essere legato alla sfera pubblica. Signe non è insoddisfatta da un lavoro frustrante o dall’impossibilità di farsi amare, né da una società che trova mostruosa. Ama Thomas, è circondata da amici e non ha particolari velleità nella vita. La sua frustrazione nasce dal bisogno di diventare importante per le persone che la circondano, e la domanda che si pone ossessivamente è:  "La gente chiede di me?".

Borgli mostra usando toni grotteschi che cosa un egocentrico sia disposto a fare pur di stare al centro dell’attenzione. È interessante poi da un punto di vista narrativo come le fantasie di Signe s’intreccino alla storia, finendo per rendere indistinguibile in alcuni momenti il sogno dalla realtà, esattamente come per la protagonista è impossibile capire ciò che è ragionevole da ciò che non lo è. Il passaggio del racconto da un piano soggettivo a uno oggettivo, riesce a creare un senso di spaesamento abbastanza forte da far calare lo spettatore nella mente di chi non ha la capacità di leggere il mondo.

Ciò in cui Sick of Myself risulta meno efficace è che, proprio per la sua chiarezza d’intenti finisce per diventare schematico, privo di sfumature e un po’ moralista. Il dito sembra troppo puntato sui soliti problemi della società occidentale, scaricando le responsabilità sulla superficialità forse insita dei nostri tempi e non approfondendo per nulla il background dei personaggi. Signe e Thomas sono due ragazzini odiosi, viziati e annoiati come ce ne sono tanti e capire che cosa li abbia fatti diventare così rimane un mistero.