Nei giorni del Lucca Comics and Games 2023 abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Beppe Roncari, che per Sperling & Kupfer ha scritto Il Libro di Renzo e Il Segreto di Lucia, i due volumi che formano la serie di Engaged.
Preparate una tazza di tè, una coperta e mettetevi comodi sul divano: l’intervista è stata molto lunga e veramente interessante.
Leggendo la tua biografia, salta subito all’occhio la tua frequentazione con il panorama estero: quanto questo ti è stato d’aiuto nella tua carriera?
Questo aspetto fa proprio parte di me: mi sento cittadino del mondo, qualcuno che abita la terra a volte come un alieno, sempre fuori posto ovunque si trova, ma, allo stesso tempo, sempre a casa, in ogni luogo. Ho avuto modo di fare molte esperienze all’estero: per esempio, ora lavoro per la Cambridge University Press, la più antica casa editrice del mondo ancora esistente, che pubblica dal sedicesimo secolo senza aver mai interrotto le sue pubblicazioni. La parte internazionale, per me, è stata importantissima fin dagli studi: mi sono laureato in Letteratura Comparata inglese, con una tesi su Tolkien e sui criteri di valutazione dei siti letterari.
E qualcosa di questi studi è filtrata anche in Engaged, come si può vedere già dal titolo. È la prima cosa che molti mi chiedono del romanzo: Manzoni è legato strettamente alla nascita della lingua italiana, faceva parte della Commissione per la Lingua Italiana. E allora perché qualcosa di così legato all’Italia e alla nostra lingua ha un titolo inglese? Sembra quasi una provocazione, ma solo in apparenza: credo nell’osmosi tra culture e lingue, credo che le parole viaggino e portino con sé una visione del mondo, che ogni lingua ci presenti un aspetto di ogni civiltà. Le lingue, le parole, sono strumenti per comunicare, e la parola engaged è una parola bellissima, in inglese: non vuol dire solo fidanzati, o promessi sposi, ma anche appassionati. Nel mondo dei social media e in pubblicità non si parla forse di engagement, di coinvolgimento, di impegno? È la parola perfetta! E dopotutto, il romanzo non si poteva chiamare I fidanzati, sarebbe stato ridicolo. E I Promessi Sposi era già stato preso!
Parliamo proprio di Engaged: un retelling de I Promessi Sposi che ammicca al fantastico italiano. Cosa ti ha spinto a scegliere proprio questo romanzo?
La fondazione del romanzo storico italiano inizia proprio con un retelling. Alessandro Manzoni ritrova, oltre alla finzione letteraria dell’Anonimo, davvero molti manoscritti di autori del Seicento, per esempio il De peste di Giuseppe Ripamonti: riprende testi a piene mani, a volte traducendone dei brani interi, e fa un retelling, dichiarandolo. È un gioco letterario, il suo, ma c’è anche della verità, perché scopriamo, studiando gli antenati di Alessandro Manzoni, tra documenti che sono stati ritrovati solo recentemente negli archivi storici di Milano, che c’è una storia nascosta dietro I Promessi Sposi.
I Manzoni, infatti, all’epoca in cui sono ambientati i fatti del romanzo, vivevano a Lecco: un avo di Alessandro, Giacomo Maria Manzoni, era un signorotto locale, come don Rodrigo. Non era, però, don Rodrigo: non aveva ancora comprato il titolo nobiliare, e viveva una faida tremenda con un’altra famiglia, gli Arrigoni, nobili che avevano inizialmente il controllo delle risorse locali. Lo scontro tra le due famiglie è fatto di sicari, scontri tra bravi, guerra di uomini d’onore. Gli Arrigoni, potentissimi marchesi, perderanno a favore dei Manzoni, e nell’introduzione il loro nome è probabilmente ricordato. I personaggi del romanzo alludono proprio allo scontro tra queste due famiglie nell’originale, ma nel mio romanzo ho messo in atto uno sforzo di retro-ingegneria, per dare uno sfondo fantasy alla vicenda, mantenendo comunque la base storica.
In questi giorni esce (finalmente!) la nuova edizione italiana di Lavinia, di Ursula LeGuin. I retelling ci hanno spesso regalato prospettive nuove, specialmente sulle figure femminili. Il tuo nuovo titolo, Il Segreto di Lucia, sembra andare proprio in questa direzione: com’è la tua Lucia, rispetto a quella di Manzoni?
Lucia è un personaggio centrale fin dal primo romanzo: è il cuore, la protagonista. Renzo, Rodrigo e Gertrude sono i co-protagonisti, ma sicuramente nel secondo volume Lucia assume uno spazio maggiore anche per il legame con il racconto di Manzoni. Il primo volume si chiude grosso modo con la fuga di Renzo da Milano e l’attraversamento dell’Adda, dopo cui, nel romanzo originario, si aprono una serie di capitoli dedicati a lei.
Lucia andava decostruita: aveva bisogno di un nuovo ruolo e di un nuovo percorso. È un personaggio molto forte, ma ha bisogno di mostrare di essere estremamente religiosa: e chi avrebbe avuto necessità di apparire così vicina alla religiosità cattolica, al punto da sembrare bigotta, se non una strega?
Il primo romanzo si apre durante l’adolescenza dei protagonisti. Lucia è un maschiaccio. Renzo non è ancora interessato a Lucia: ha una cotta per Bettina, la migliore amica di Lucia, che in effetti è uno sfortunato personaggio della prima versione del romanzo di Manzoni, il Fermo e Lucia, in cui era stata sedotta, e poi abbandonata, proprio da don Rodrigo.
A Lucia piace spiare le persone, di cui riconosce le aure. E qui iniziamo a capire quale sia il segreto di Lucia, il suo conflitto interiore: Lucia si crede un mostro. Sua madre, Agnese, le mostra il rogo di una strega quando ha solo otto anni per farle capire in modo chiaro cosa le accadrà se non dissimulerà la sua natura. E questa accettazione di sé costituirà quindi l’arco del personaggio di Lucia.
Per questi romanzi hai scelto una forma di fantastico particolare, che ammicca alla Gerusalemme Liberata di Tasso. O è una mia impressione?
La parte magica dei romanzi è storica: angeli, demoni, lupi mannari (buoni!), tutto deriva da documenti storici che ne parlano, scritti, di solito, dagli inquisitori che portavano le streghe al rogo. Ho scelto questa direzione perché lo scrittore del ‘600 con cui Manzoni finge di interloquire deve scrivere di qualcosa in cui crede: rispecchia, insomma, le credenze dell’epoca. Per l’autore anonimo, gli incantesimi dell’epoca hanno davvero effetto.
Per fare un paragone con Tasso, se nella Gerusalemme Liberata c’è un concilio di demoni, nel secondo romanzo il concilio c’è, ma coinvolge contemporaneamente angeli e demoni, che condividono la stessa natura. Devono mantenere tra di loro un equilibrio, non devono mostrare la loro esistenza. Non sanno se esiste Dio, ma intuiscono che esista la Provvidenza, perché alcune aure umane brillano più delle altre: sono quelle delle persone che passeranno alla storia, come Romeo e Giulietta, o Giordano Bruno. Angeli e demoni giocano a scommettere su questi umani particolari, vogliono capire cosa hanno di speciale e se siano davvero legati al concetto di Provvidenza. Ma se questo concetto esiste, che libertà hanno davvero gli esseri umani? È la domanda che si pone l’angelo Mumiah, l’ultima ruota del carro della gerarchia angelica, che nei romanzi avrà un ruolo fondamentale.
Parliamo di fantasy e storia. So che hai scritto anche un romanzo storico. Entrambi i generi parlando di qualcosa di distante rispetto al lettore ed entrambi sono generi di “fiction”. Mettere insieme questi due tipi di distanza può essere spiazzante per il lettore?
Io interpreto il fantasy storico come una parabola: qualcosa che ci serve per parlare di noi stessi ma in modo più soft, con una distanza che non ci fa sentire attaccati, senza essere mai imperativi. Io amo Tolkien. Sono andato all’estero, all’inizio, per imparare l’inglese con due motivazioni: giocare ai videogiochi, e leggere il Signore degli Anelli in inglese. Tolkien diceva che avevano accusato il suo romanzo di essere allegorico, ma che lui stesso odiava l’allegoria. È la storia, con la sua applicabilità, a essere utile alle persone. L’allegoria è una tirannia dell’autore, che dice alle persone quello che devono credere. La storia lascia libertà al lettore, che può applicare le vicende che legge all’esperienza che vive.
Quanta riflessione metaletteraria hai dovuto portare avanti per ragionare su questo libro?
Di sicuro la sfida è stata impegnativa. I Promessi Sposi nascono come romanzo di genere, un genere, per di più, appena nato anche nel mondo inglese. Rispetto alla prima stesura da parte di Manzoni, ci sono solo tre anni di distanza con l’Ivanhoe di Walter Scott. Il romanzo storico è considerato, in quel periodo, un romanzo per donnicciole, e Manzoni è consapevole che sta compiendo una scelta “popolare”. L’edizione definitiva, quella che leggiamo nelle scuole, la cosiddetta Quarantana, esce illustrata (su precisa indicazione di Manzoni), e tra le illustrazioni ce ne sono alcune che rimandano al fantastico: angeli, satiri che inseguono ninfe, non morti. Manzoni è già pop, voleva essere popolare.
E Manzoni stesso è il primo a fare un retelling: dichiara di voler ignorare tutte le “opinioni malfondate” del Seicento, attribuite all’Anonimo, che alludeva già a elementi fantastici, a interventi angelici e diabolici e magici. Manzoni stesso è intervenuto nel discorso metanarrativo, cambiando alcuni personaggi storici: modificando per esempio Federico Borromeo, acerrimo nemico delle streghe e cacciatore di demoni.
Nel processo contro la “Gertrude reale”, la monaca sostiene di aver ceduto alle avances dell’amante per aver subito un maleficio (e di conseguenza, come registrano gli atti del processo, dichiara di aver contattato una strega per ottenere un contro-incantesimo).
Un retelling fantasy de I Promessi Sposi è sicuramente un’opera di rottura: vuol dire, dal mio punto di vista, quanto è importante la letteratura fantastica e quanto ci serva. Tutti i mostri sacri possono essere affrontati con la lente del fantastico, e questa letteratura, come ha dimostrato Il Signore degli Anelli di Tolkien, è grande letteratura.
In Engaged ci sono capitoli, gli intermezzi, che non sono scritti dal punto di vista dei personaggi, ma da quello dell’Anonimo del Seicento, che parla direttamente al lettore di oggi. Quattrocento anni dopo la sua storia, e duecento anni dopo il “retelling” di Manzoni, l’Anonimo sceglie di rettificare I Promessi Sposi. Non può perdonare Manzoni per due cose: per aver eliminato la magia e il romance. Manzoni è un figlio dell’Illuminismo, ha dei bias culturali che lo portano a tagliare tutta la parte su angeli e demoni, che per l’Anonimo sono importantissime, anche per spiegare le pagine sugli Untori, sul Cardinal Borromeo, su don Ferrante, che diventa un maestro di magia per Lucia, sul modello di Jonathan Strange & il signor Norrell di Susanna Clarke.
Engaged quindi vuole essere il terzo modo di raccontare la storia, di nuovo dal punto di vista dell’Anonimo, dopo la seconda riscrittura a opera di Manzoni, che ha cancellato la prima versione, quella scritta, nel Seicento, dall’Anonimo stesso.
E non solo: sono meta-discorsivo su moltissime altre opere, quelle che Manzoni ha usato per scrivere l’opera e che io ho studiato per scavare in profondità. Il romanzo inizia con Giordano Bruno e si conclude con il processo a Galileo: anche questi sono materiali che rientrano nei libri e che ho studiato.
Ho trovato una sorta di filo di seta che ha collegato tutte le storie: per esempio, nello studiare il processo a Giordano Bruno, ho scoperto che è stato mandato a morte da un tribunale di cui faceva parte tra gli altri il cardinal Pompeo Arrigoni, un membro della famiglia “storica” di don Rodrigo, legato tra l’altro al Cardinal Borromeo, con cui scambiava lettere su come combattere le streghe. Il Cardinal Borromeo stesso era a Roma, in quell’anno, e quindi immagino, nei libri, che abbia assistito al rogo di Giordano Bruno, contribuendo forse a portare a Milano il libro segreto di Giordano Bruno, che potrebbe permettere agli uomini di essere finalmente emancipati dal controllo di angeli e demoni. Ancora a livello di metaletteratura, ho fatto diventare il Ripamonti un personaggio secondario della storia: ha a che fare anche lui con il libro segreto di Giordano Bruno, ed è amico del padre di Renzo.
Hai esperienza di scrittura anche per la televisione e il cinema. In che modo questo ha impatto sulla tua attività di romanziere?
La sceneggiatura è il linguaggio contemporaneo della narrativa: rende scorrevole senza bisogno di lunghe spiegazioni. È lo show, don’t tell nella sua migliore accezione: aiuta a capire che voce serve e come narrarla, ci fa capire come il personaggio vede il mondo e le altre persone. Aiuta a scrivere buoni dialoghi e a tenere in mente che il motore della storia è il personaggio tanto quanto la trama. Lo studio cinematografico mi ha permesso di apprendere diverse tecniche, ad avvicinare l’inquadratura e ad allontanarla quando serve: sul tormento degli untori ho scelto di allontanare la macchina da presa, che non è meno drammatico che inquadrare i particolari più truculenti. I Manzoni, tra l’altro, sono stati accusati proprio dagli Arrigoni di essere degli untori, e hanno subito gli stessi processi raccontati nella Storia della Colonna infame da Manzoni stesso.
Abbiamo fatto anche una rilettura ad alta voce dei romanzi, perché io e Flavia [Imperi, moglie di Beppe, ndr.] siamo autori di audio, e abbiamo pensato anche all’adattabilità e alla piacevolezza della lettura ad alta voce.
Un’ultima domanda: pensi che i retelling possano aiutare a restituire interesse per l’opera originaria?
Alcuni retelling sono sicuramente di rottura, penso al film Troy, e vorrebbero sostituirsi all’opera originaria. Altri mantengono un profondo rispetto per l’opera di origine. Manzoni aveva eliminato magia e storia d’amore, dichiarandolo nel Fermo e Lucia: ci dice che, nell’opera dell’Anonimo, la parte romance era la più elaborata. Manzoni sceglie di eliminare tutta quella parte, perché l’amore non deve essere descritto in modo da indurre qualcuno a provare quel sentimento (dopotutto era cattolico a suo modo, giansenista). L’amore deve essere sperimentato, non può essere espresso a parole: Neil Gaiman e Terry Pratchett direbbero che l’amore è ineffabile.
Ci sono quindi rotture e reinterpretazioni, e Engaged è scritto per un pubblico di ragazzi, dai quattordici anni in su, costretto a leggere a scuola il libro di Manzoni e, potenzialmente, a odiarlo. Ma tra i commenti che ho ricevuto, molti mi dicono che hanno apprezzato la mia rilettura e che la consigliano a tutti, proprio perché è in grado di far amare I promessi Sposi, Lucia, e perfino don Rodrigo, anche a chi li aveva odiati.
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