Hai mai sognato quest’uomo?
, chiede come un sottotitolo (e perfino Wikipedia lo considera tale) la tagline del film che dice già tutto.
Paul Matthews (Nicolas Cage) è un professore universitario (di biologia dell’evoluzione, e non è un caso) dalla vita ordinaria con la moglie Janet (Julianne Nicholson) e due figlie adolescenti, inizia a comparire nei sogni di amici e parenti ma anche degli sconosciuti abitanti della metropoli statunitnese dove vive e insegna. Lui pensa di sfruttare l’improvvisa popolarità per pubblicare il libro sui suoi studi che porta avanti da anni: ma dopo l’iniziale curiosità per la situazione – che prova a cavalcare con l’agenzia di pubbliche relazioni dell’intraprendente Trent (Michael Cera) con la sensuale assistente Molly (Dylan Gelula) – l’apparire nei sogni degli altri diventa sempre meno immobile e molto più violento, con conseguenze irrimediabili in famiglia e sul lavoro (finirà perfino bullizzato dai suoi stessi studenti, anelando al ritorno allo status quo iniziale).
Vicenda paradossale – il termine “commedia grottesca” può forse far capire il genere ma risulta una definizione inadeguata, il che non è un male – in cui il 38enne regista norvegese Kristoffer Borgli (e il protagonista Nicolas Cage, mai così stempiato) costruisce sapientemente continuando a scavare – per la prima in volta in inglese, dopo i suoi due film precedenti, DRIB (2017) e Sick of Myself (2022) – sui temi dell’identità e della visibilità, questa volta prendendo spunto dalla leggenda metropolitana di un fantomatico This Man apparso nei sogni di tanti sconosciuti, utilizzata in una campagna di guerrilla marketing (con tanto di sito ad hoc) dall’agenzia pubblicitaria dell’italiano Andrea Natella nel 2006 (e figurarsi se in una genialata di fama mondiale non spuntava la solita creatività italiana…).
L’idea è sfruttata quel tanto che basta anche se non tutto è perfetto, c’è qualche sfilacciamento di troppo – anche se il film non dura molto, e di questi tempi di mezz’ore inutili, inserite quasi solo per giustificare i costi e magari creare il film-evento, è una benedizione – e la sensazione è che si approfondiscano aspetti che forse bastava accennare mentre non se ne sviluppano altri ben più interessanti. La satira-horror resta in superficie pur risultando nel complesso convincente (in gran parte per merito degli attori: le controindicazioni della fama e il condizionamento dei media sono ormai già noti agli spettatori), si accenna alla cancel culture ma per paradosso, a tratti traspare una certa confusione tra realtà e sogno (che è resa bene ma non fa molto progredire la storia, anzi spesso sembra non sapere bene dove andare) e la riflessione sui desideri indotti, che sappiamo o non conosciamo bene nemmeno noi stessi, è sincera ma poco più di un’intenzione (compresi social network e contratti pubblicitari).
Le produzioni della newyorchese A24, salite alla ribalta in particolare con la pioggia di Oscar per Everything Everywhere All at Once (2022), valgono sempre un’occhiata anche quando sgangherate: qui la confezione è ottima e non banale, ma il film è riuscito a metà… anzi meno: la verità è che è interruptus.
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