L’edizione 2023 di Lucca Comics & Games sarà ricordata certamente come quella in cui il mondo esterno reale, con i suoi bollettini quotidiani sulla guerra in Medio Oriente, ha sfondato le mura della città e invaso i padiglioni.
La tesi per cui il fumetto non sarebbe altro che un’altra industria dell’intrattenimento, da tenere accuratamente in una bolla distante dalla “politica” – una tesi che personalmente ritengo, a prescindere, estremamente ingenua e tendenzialmente reazionaria – ha ricevuto la più clamorosa delle smentite.
Non che in passato non vi fossero state occasioni importanti di riflessione e approfondimento sull’attualità o sulla storia, grazie soprattutto alla voce di artisti e case editrici di maggiore sensibilità e, in qualche caso, con un forte impegno militante.
Ma per la prima volta questo “confronto con la realtà” è diventato regola invece che eccezione: la bolla è scoppiata.
Ha certamente aiutato la scelta degli organizzatori di invitare ospiti prestigiosi come Garth Ennis e Naoki Urasawa, che il tema della guerra lo hanno declinato (in modi radicalmente diversi) in molte delle loro opere.
Ma ovviamente è stata la presa di posizione di Zerocalcare, che pochi giorni prima del festival ha rinunciato a partecipare per via del patrocinio dell’ambasciata israeliana – “un cortocircuito che non riesco a gestire” – a porre definitivamente il tema al centro dell’evento.
La questione di come “i fumetti raccontano le guerre” è stata il tema dell’incontro “Un mondo in subbuglio” che l’autore Marco Rizzo (sue tra l’altro le graphic novel su Ilaria Alpi e Peppino Impastato) ha voluto impostare come un vero e proprio manifesto antimilitarista a più voci.
Nella sua introduzione ha sottolineato la natura intrinsecamente politica del fumetto e dell’arte in generale: in un mondo dilaniato da conflitti di ogni scala nessuno ha il diritto di chiudere gli occhi – tantomeno gli artisti che hanno la responsabilità di rivolgersi con le loro opere a un pubblico e che per questa ragione sono obbligati, più di tutti gli altri, a prendere una posizione.
Sul palco si sono alternati autori come Olga Grebennik (in video), autrice di un Diario di guerra nato negli scantinati in cui si rifugiava con la sua famiglia durante i bombardamenti russi; Alec Trenta, disegnatore che ha realizzato l’adattamento a fumetti del Libro della pace di Bernard Benson; Francesca Torre e Margherita Tramutoli che per Emergency (presente la direttrice della comunicazione Simonetta Gola) stanno realizzando un fumetto per raccontare le conseguenze atroci della guerra in Afghanistan, solo ufficialmente terminata. Oltre a Garth Ennis, qui in veste di esperto del “fumetto di guerra”.
L’intervento più significativo è stato quello di Gianluca Costantini, autore di celebri ritratti di attivisti e giornalisti perseguitati da governi autoritari (come quelli di Giulio Regeni e Patrick Zaki). Dopo aver ribadito l’urgenza di “uscire dalla bolla”, Costantini ha affrontato la questione sollevata da Zerocalcare: “io sono qui perché alla via del boicottaggio preferisco la via del dialogo”, ha affermato, precisando comunque che la sua partecipazione non significa né appoggiare “ciò che quel logo significa”, né criticare chi come Zerocalcare ha fatto scelte diverse.
Il successivo incontro “Raccontare la guerra” organizzato in tutta fretta “per reazione” all’annuncio di Zerocalcare è stato invece una specie di prosecuzione live action del comunicato stampa rilasciato dal festival all’indomani della presa di posizione pubblica da parte del fumettista.
Nel comunicato l’organizzazione rivendicava il proprio intento di “dare spazio al dialogo su tanti temi diversi tra cui anche quelli legati a questa cogente drammatica e lacerante attualità, come già previsto nel nostro programma, un programma che non intende voltare le spalle all’enorme questione umanitaria in corso”.
E l’argomento del “dialogo”, contrapposto alla scelta di non partecipare, è stato il leit motiv di un evento che, almeno a tratti, è parso un “processo in contumacia” a Zerocalcare: lo hanno utilizzato il direttore del festival Emanuele Vietina (ovviamente), la stessa Simonetta Gola (pur rimarcando che la posizione di un ente come Emergency è diversa da quella degli artisti), Mario Marazziti (presente in qualità di autore del libro La grande occasione, viaggio nell’Europa che non ha paura in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, ma che nel suo curriculum vanta una poltrona alla Camera, eletto nella lista di Mario Monti, dal 2013 al 2018), e Agnese Pini (direttrice del gruppo editoriale che fa capo a QN Quotidiano Nazionale).
Il sottotesto di tutti gli interventi, per quanto assolutamente pacati, era abbastanza chiaro: Zerocalcare ha sbagliato a non venire e, soprattutto, a “politicizzare” la questione del patrocinio dell’ambasciata israeliana; (nemmeno tanto) in fondo è colpa sua se i due autori del manifesto del festival non sono venuti.
Porre la questione come la scelta tra la linea del “dialogo” e quella del “boicottaggio” è però un modo scorretto di presentarla, innanzitutto perché Zerocalcare aveva fin da subito chiarito che la sua scelta non era affatto una forma di boicottaggio.
In secondo luogo perché il punto non è scegliere tra “dialogo” o “boicottaggio”, bensì come creare condizioni ospitali per un dialogo davvero libero.
Proprio questo ha affermato senza tanti complimenti Tito Faraci (autore e curatore editoriale per Feltrinelli), nell’unico intervento davvero fuori dal coro.
Presupposto, condivisibile, del suo discorso è che Lucca Comics non appartiene alla città né al gruppo che lo organizza, ma alla comunità di autori, editori e lettori che lo anima. Se è così, quando accade qualcosa che spinge una parte di questa comunità a chiamarsi fuori, quel che bisogna chiedersi non è se la scelta di non partecipare sia giusta o sbagliata, bensì come evitare che possa capitare di nuovo in futuro che un autore senta minacciata la sua appartenenza a questa comunità.
Lungi dal metterlo in difficoltà, la successiva (e scontata) domanda di Emanuele Vietina “Ma tu allora perché sei qua?” ha dato a Faraci l’occasione di ribadire che non c’è alcuna dicotomia o incompatibilità tra il comportamento di Zerocalcare, che non è riuscito a gestire il “cortocircuito”, e il suo, che invece ha deciso di portare in fiera il suo disagio e il suo dissenso verso l’organizzazione perché – semplicemente – è riuscito a gestire quel cortocircuito in modo diverso. Ma il cortocircuito rimane, ed è lo stesso.
La scelta di Zerocalcare di non partecipare alla fiera – ha concluso – rappresenta una sconfitta che però non sminuisce affatto colui che l’ha compiuta.
Dopo l’intervento di Faraci è calato un gelo tangibile. Vietina ha dato la parola ad Agnese Pini che ha proseguito sulla falsariga precedente, come se nulla fosse, anzi aggiungendo il dispiacere della mancata partecipazione degli artisti israeliani Asaf e Tomer Hanuka: “una scelta che appare dettata non da una presa di posizione soggettiva, ma dal timore di essere strumentalizzati”.
Questa associazione quanto meno suggerita tra la mancata partecipazione dei fratelli Hanuka e la presa di posizione di Zerocalcare e altri è a mio avviso uno “scaricabarile” assolutamente ipocrita.
In realtà la scelta dei due fumettisti israeliani (qui il comunicato stampa) è del tutto comprensibile: come avrebbero potuto esprimere una posizione davvero libera in un evento come quello introdotto da Marco Rizzo sul ruolo del fumetto nel raccontare la guerra, in un festival patrocinato da un governo che è in guerra oggi? Come aspettarsi che non avrebbero dovuto, una volta in patria, rendere conto di qualsiasi dichiarazione non fosse stata esattamente in linea con la narrazione del loro governo, in un evento sui cui manifesti campeggiava la bandiera di Israele?
All’origine della loro scelta è la presenza di questa bandiera sulla locandina (oltre ovviamente alla politica militare di Israele), non chi ha manifestato il suo disagio per questo patrocinio.
I due artisti israeliani hanno scritto: “La nostra presenza a Lucca e le nostre attività rischierebbero di essere oggetto di eccessiva attenzione afferente alla questione internazionale”. Ma l’unico modo di evitare l’attenzione afferente alla questione internazionale sarebbe stato impedire qualsiasi confronto sulla guerra in corso. Cioè rinchiudere Lucca in una bolla e cancellare il tanto sbandierato dialogo.
Io ho dovuto lasciare la platea prima dell’intervento dei tre autori chiamati sul palco nel “secondo turno” dell’evento per seguire Garth Ennis ed Emiliano Pagani: Roberto Recchioni, Leo Ortolani e Sio. Non so dire perciò se la domanda posta da Tito Faraci abbia trovato risposta.
Ne dubito però, perché l’unica risposta davvero efficace sarebbe impegnarsi a evitare in futuro di accettare il patrocinio di governi, e a maggior ragione di governi guerrafondai. Ma questa è l’unica risposta che l’organizzazione del festival si è fin da subito rifiutato di dare.
A proposito di governi guerrafondai, al contrario, questa edizione del festival ha visto una partecipazione ancora maggiore del solito di quello italiano, con il ministro degli Affari Esteri (e non quello della Cultura) Antonio Tajani a tagliare il nastro all’inaugurazione, e con una presenza mai così invadente degli stand delle forze armate – soprattutto Esercito e Aviazione – a occupare un’intera corte del Palazzo Ducale con quella che non può essere definita in altro modo se non “propaganda di guerra”.
Un fatto, quest’ultimo, che ha spinto Gianluca Costantini a lanciare una condivisibile petizione dai suoi canali social (ripresa anche qui) perché in futuro non venga più dato spazio all’interno della fiera a stand come quello dell’Esercito Italiano che “non promuovono la pace, bensì cercano attivamente di reclutare, utilizzando poligoni di tiro e videogiochi per suscitare fascinazione nei giovani nei confronti della guerra e delle armi”.
C’è davvero da augurarsi che molti altri artisti condividano questa posizione e che chi organizza il festival presti loro ascolto: in un mondo sempre più in subbuglio, sarà difficile altrimenti evitare nuovi e dolorosi cortocircuiti.
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