La vita di Godluck e Saya crolla il giorno in cui una gang di quartiere, in uno scontro armato, colpisce per sbaglio il figlio che crolla a terra morto davanti a loro. Godluck insegue gli assassini ma l’unica cosa che riesce a fare è prendersi una pallottola in piena carotide che lo priva della voce. Devastato e incapace di superare il lutto l’uomo si separa dalla moglie che non riesce più a stargli accanto, ma sembra riemergere dall’ignavia quando capisce che la sola cosa che gli rimane è la vendetta. Cercare gli assassini di suo figlio è diventata l’unica missione possibile e, esattamente un anno dopo la vigilia di Natale, Godluck ormai temprato nel corpo e nello spirito è pronto a mettere in atto il suo piano.

Silent Night segna il ritorno di John Woo nel cinema statunitense dopo Paycheck, ennesimo brutto film di fantascienza tratto da un libro di Philip K. Dick. Relazione quella tra Woo e Hollywood dagli esiti altalenanti, che ha portato il regista di Hong Kong a tornare in patria a girare un kolossal come Red Cliff e La congiura della Pietra Nera, pellicole decisamente lontane dai suoi esordi folgoranti. A Better Tomorrow, The Killer e Bullet in the Head girati tra la metà degli anni ’80 e gli inizio dei ’90, hanno reso celebre Woo e la sua capacità di rappresentare in modo nuovo la violenza con uno stile lirico, capace di prendere il tradizionale wuxia pian e portarlo nel gangster movie. Infatti il cinema di Hong Kong prima che la città venisse riannessa alla Cina visse un periodo di grazia, facendo emergere il talento di autori e di un nuovo cinema a livello internazionale come successe a John Woo, che però non seppe o non poté imporre il proprio stile nella realtà produttiva americana. Tuttavia il gusto per un diverso tipo di action ha attecchito, creando un pubblico esigente che non tollera più l’uso di un montaggio impazzito nelle scene d’azione, ma che esige atleti in grado di imprese fisiche sempre più mirabili.

Oggi John Woo torna ad Hollywood dopo che il suo modo di fare cinema ha già fatto scuola e dunque, come si pone Silent Night in relazione all’action americano di questi anni? Woo parte da una sceneggiatura a di poco zoppicante che punta tutto sulle più classiche storie di vendetta, quella di un padre a cui hanno sparato al figlio, limitandosi a riproporre senza variazioni tutti i cliché del genere, e giocando sull’unica variante del protagonista muto. A poco serve la buona prova di Joel Kinnaman che riesce almeno a dare un minimo di tridimensionalità a un personaggio piatto a causa di buchi di scrittura macroscopici. Nelle mani di Woo Silent Night diventa comunque un film con alcune scene memorabili, soprattutto quella introduttiva, che appaiono come quadri solitari quasi sganciati dal resto.

Non aiuta poi il trailer che monta Silent Night come fosse uno spin off di John Wick, creando quel tipo di aspettativa nel pubblico. Woo però non fa un cinema svuotato di contenuto, i suoi personaggi non hanno una cifra drammatica da cartoon e, per tale ragione, tratta una sceneggiatura bidimensionale con una serietà che probabilmente non era nelle intenzioni di chi l’ha scritta. Lo scarto che ne deriva è una deflagrazione che rende questo film una pellicola dissonante con dei momenti di cinema altissimo e altri mediocri. Purtroppo questi ultimi superano i primi.