Enea ha un fratello molto più giovane di lui che ha fatto a pugni con un compagno di scuola per salvare il suo buon nome, vive in una famiglia dell’alta borghesia romana, il padre è uno psichiatra mentre la madre è una conduttrice televisiva di una trasmissione culturale, e dirige un ristorante di sushi insieme all’amico Valentino, un pilota di aerei. I due ragazzi sono però anche degli spacciatori, guidati dall’egoismo e da una visione profondamente cinica del mondo. Fuggono dall’idea di vivere in una famiglia convenzionale e il loro mondo va in frantumi dopo un affare particolarmente pericoloso che li mette sulla strada di malavitosi disposti a tutto pur di recuperare i soldi persi.
Enea è la seconda regia di Pietro Castellitto che con il suo primo film, I predatori aveva ottenuto il David di Donatello quale miglior regista esordiente, la cui caratteristica era l’uso di un tono enfatizzato e goliardico, mai serio. Un mood questo che sembra caratteristico della narrazione di Castellitto e che torna anche in Enea in Concorso quest’anno al Festival di Venezia, ma anche una regia che non ha paura a lasciarsi andare ai barocchismi che in parte aiutano e in parte rischiano di frantumare il film. Ciò che emerge è una struttura che sembra tenuta insieme da rimandi interni, indizi disseminati e tracce sparse che non sempre convergono nella trama, ma con una vitalità affascinante. Tale gioco di costruzione fatto di raccordi di suoni e di immagini rischia a volte di essere un virtuosismo fine a se stesso, che però contrasta con la storia tout court.
Se da una parte infatti la regia di Castellitto si mostra moderna con immagini interessanti e accattivanti a più livelli, non si mette però al servizio di una sceneggiatura (sempre di Castellitto) altrettanto riformista. Enea presenta una società in cui è difficile salvarsi: gli adolescenti sono degli incapaci che a sedici anni dormono ancora nel letto con i genitori, i giovani sono vuoti e senza sogni capaci solo di sballarsi, gli anziani che hanno conosciuto la miseria sognano la mamma e l’amore, gli intellettuali sono solo avidi di potere. Gli unici che paiono salvarsi e al quale è dedicato l’unico bacio non censurato del film sono gli over cinquanta, professionisti nati poveri e che hanno dovuto lavorare nella vita per guadagnare. Nonostante anch’essi vivano un’esistenza di frustrazione dove è necessario affittare una stanza per poterla fare a pezzi, sembrano i soli a cui sia concesso un po’ di autentico amore e un briciolo di speranza.
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