Tre storie, collegate da un filo sottile e quasi impercettibile in Kinds of Kindness, nuovo film di Yorgos Lanthimos.
Il primo collegamento è il cast. Come in una compagnia di giro, i vari componenti del cast si cimentano con personaggi diversi tra loro in ciascun episodio, a volte come protagonisti, altre come comprimari. Una prestazione che li vede in almeno tre ruoli diversi, eccetto Margaret Qualley che nell'ultimo episodio interpreta persino due gemelle, mettendo quindi in scena ben quattro personaggi.
Se le trame sono verticali, come in una miniserie antologica, la presenza del misterioso R.M.F., interpretato dal non attore Yorgos Stefanakos, è il fil rouge orizzontale, che sembra, ma forse no, collocare le tre storie in medesimo universo narrativo.
Le tre storie narrano, in sintesi, di potere sulle persone e controllo della propria vita. Nel primo segmento Jesse Plemons è Robert, un uomo che cerca di sottrarsi al controllo che ha sulla sua vita Raymond (Willem Dafoe). Ma il cambiamento sarà così catastrofico che Robert farà di tutto pur di essere nuovamente accolto e dominato dal suo mentore narcisista.
Nella seconda storia ancora Plemons è un Daniel, un poliziotto che, dopo il ritorno della moglie Liz (Emma Stone), crede che la donna che si è presentata a lui ne sia in realtà una copia. Anche in questo caso l'ossessione porterà il personaggio, e la vicenda, a macabri sviluppi.
Nell'ultimo episodio Stone e Plemons sono rispettivamente Emily e Andrew, una coppia di adepti di una setta con a capo i carismatici Omi (Dafoe) e Aka (Hong Chau). Quando Emily, in circostanze non volute, perde la fiducia del suo leader e viene buttata fuori dalla setta, per riguadagnarla si metterà alla ricerca di due donne, le gemelle Ruth e Rebecca (Qualley), delle quali una è dotata di un potere ambito dalla setta.
Se temi portanti e cast promettevano bene, difetta in modo catastrofico la composizione degli elementi.
La sceneggiatura di ogni storia avanza a strappi, saltando di palo in frasca non tanto contro una logica assoluta, che non si pretende da una storia di finzione, ma contro una logica interna a ciascuna delle cornici narrative presentate.
In un crescendo che ricorda David Cronenberg, i personaggi spesso si infliggono o infliggono mutilazioni del corpo, spinti dalle loro ossessioni. Ma, a parte il fatto che non hanno più la forza dirompente e provocatoria del citato regista canadese, le situazioni di Kinds of Kindness appaiono pretestuose e slegate, "così de botto, senza senso".
Troppo spesso l'ironia macabra e il gusto del weird, che sono stati in molti film precedenti la cifra stilistica di Lanthimos, diventano comicità involontaria per quanto superano ogni senso del ridicolo.
Vanno apprezzate alcune cose di Kinds of Kindness. In primis la capacità dei componenti del cast di mettersi completamente in gioco.
E non parlo tanto dell'affrontare la prova di più ruoli. A parte Qualley che ha dovuto mettere in scena due gemelle, gli altri interpreti in fondo hanno fatto ciò che fa parte della normalità di un attore, quando si passa da un film all'altro.
Parlo invece dell'essersi messi al servizio totale dei capricci di un regista che ha voluto prendersi una vacanza dopo la prova impegnativa di Povere Creature!, realizzando qualcosa di totalmente caotico e lanciarlo verso il pubblico, per vedere l'effetto che fa.
Anche la regia è apprezzabile per sottrazione di elementi. Ambientazione moderna minima ma curata negli arredamenti e nell'abbigliamento. Fotografia senza virtuosismi ma efficace nell'illuminare i passaggi di stato, con sequenze in bianco e nero che puntellano i momenti onirici. Va detto quindi che siamo di fronte a un'opera visivamente accurata, che non persegue quel Dogma che anni fa veniva proposto come una provocazione/reazione a un cinema considerato troppo finto. Cinema vero, pensato per il grande schermo, non per un immediato passaggio in qualche piattaforma.
In conclusione resta un profondo rammarico. Ottimi interpreti, comparto visivo curato, ma con una sceneggiatura così caotica e incoerente, danno vita a un film che vorrebbe farci riflettere, dopo averci fatto passare quasi tre ore chiedendoci cosa diavolo stessimo vedendo.
Tempo che alla fine vorremmo indietro, perché il film ci ha portato dal nulla verso il nulla.
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