Alla Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia quest'anno è presente in anteprima Playing God di Studio Croma, un cortometraggio in stop motion dalla forte componente emozionale.
In soli nove minuti riesce a sollevare questioni importanti come la consapevolezza di sé, l'accettazione della società e prendere atto delle imperfezioni.
L'intervista
Abbiamo fatto alcune domande al regista e co-sceneggiatore Matteo Burani e all'animatrice Arianna Gheller, che con grande trasporto raccontano la loro esperienza nella lunga preparazione e realizzazione del film.
Innanzitutto raccontateci un po' di voi, artisticamente parlando: quale film, romanzo, fumetto o musica vi hanno formato creativamente?
Arianna Gheller
Scavando nei ricordi posso dirti che la primissima fonte di ispirazione quando ero una bambina sono sempre stati i materiali. Mi piaceva cercarli, osservarli, collezionarli. Conservo ancora adesso la mia gigantesca collezione di pezzettini di stoffa di ogni colore, texture, stampa e lucentezza. Ho vasi interi pieni di ninnoli di ogni tipo, con forme e consistenze curiose. Mi piaceva l’idea di poterli studiare e di immaginare un loro impiego creativo.
L’imprinting con il cinema e l’animazione sono avvenuti successivamente e anche qui in maniera curiosa. Quando ero bambina frequentavo la biblioteca del paese e un giorno mi imbattei nel pop-up super vintage di Nightmare Before Christmas con le figure che si alzavano sfogliando le pagine. Mi affascinò talmente tanto che andai a fondo. Lì scoprii il film d’animazione, Tim Burton e la tecnica della stop motion. Iniziai a vedere tutta la sua filmografia, a leggere le sue biografie, a ricercare gli art book dei suoi film stop motion e letteralmente mi innamorai della tecnica e delle sue atmosfere che in me avevano una forte risonanza. In generale poi sono sempre stata ispirata dal mondo horror e fantasy grottesco. Quando avevo tredici anni rimanevo sveglia tutta la notte per seguire in tv la rubrica 100 Pallottole d’Argento in cui Dario Argento in persona proponeva di volta in volta maratone dei classici horror anni '70/'80 oppure rimanevo incollata al canale QOOB a guardare per ore i cortometraggi e i documentari fuori dalle righe che giravano. Ho divorato l’intera collana dei Piccoli brividi che con le loro copertine acide, i loro plot twist e i loro libri game hanno sicuramente impresso nel mio DNA l’interesse per tutto ciò che è di genere. Anche da più adulta la ricerca creativa e le ispirazioni sono sempre arrivate dai luoghi più stravaganti o da certe nicchie come la letteratura Ergodica o interattiva di Casa di Foglie di Mark Z. Danielewski e La nave di Teseo di J. J. Abrams, i dipinti di Michael Hussar, il lavoro del fotografo Tim Walker e dello stilista Alexander Mcqueen, ma anche dalla profumeria come gli odori profondi e sfaccettati che riesce a creare il profumiere Christopher Sheldrake per Serge Lutens.
Per rimanere invece più nell’ambito audiovisivo sicuramente mi hanno formato e ispirato le opere animate di Jan Švankmajer, di Henry Selick o i film di Robert Eggers come The Lighthouse, quelli di Ari Aster come Midsommar, quelli di David Lowery come The Green Knight, quelli di Oz Perkins come Gretel and Hansel, o ancora Tideland – il mondo capovolto, Possum, Kynodontas, The Wicker Man, L’arte del Sogno o tra i più classici e leggeri Small Soldiers, La morte ti fa bella e i vecchi capolavori dark della Disney come Taron e la pentola magica; tra le serie Channel Zero, Utopia e taglio altrimenti la lista sarebbe troppo lunga!
Infine la musica, di cui fruisco soprattutto mentre lavoro. Dal momento che per me l'animazione è una sorta di meditazione, ho bisogno di generi musicali che mi ipnotizzino e mi “mandino in loop”. Quindi vado sempre verso generi come dream pop, shoegaze, vaporwave, musica sperimentale. Per esempio alcune tra le colonne sonore che mi hanno accompagnato durante l’animazione di Playing God sono state l'album Loma – LOMA, Seelie – CLANN, Engravings e Compassion del mio amato Forest Swords e tutta la discografia Blue Foundation.
Matteo Burani
La mia formazione artistica ha radici profonde nell'arte classica, essendo nato come pittore e scultore realista. Questo amore per le composizioni pittoriche tradizionali si intreccia con la mia passione per il cinema, in particolare per il genere horror e body horror. Registi come David Cronenberg con il film The Fly, e Lars von Trier hanno influenzato profondamente il mio lavoro. Playing God può essere visto come una sorta di "Pinocchio oscuro", una storia che esplora il tormento della creazione e la ricerca della perfezione. Il film riflette queste influenze, combinando atmosfere cupe e inquietanti con una forte componente visiva e narrativa ispirata al mio percorso artistico giovanile.
Quanto tempo avete impiegato per realizzare questo film? Dall'idea al montaggio finale.
Matteo Burani
Rispondere a questa domanda in poche parole è difficile, poiché si tratta di un percorso di vita che ha coinvolto diverse persone per ben sette anni. Tutto inizia con un’idea: quella di Playing God. L’ispirazione è nata su un taccuino da viaggio, durante una mattina di fine primavera del 2017, in una metropolitana di Milano. Inizialmente, il progetto era molto diverso rispetto al film che è oggi. Era concepito come un cortometraggio di appena tre minuti, ma già allora conservava il nucleo centrale che è rimasto invariato. Non ricordo esattamente perché, ma decidemmo di credere in quell’intuizione appuntata sul taccuino. Così nell’autunno del 2017, iniziammo la nostra avventura produttiva. Io, Arianna Gheller e Gianmarco Valentino ci siamo dedicati allo sviluppo del progetto nei mesi successivi, cercando di capire come mettere in scena quell’idea complessa di tecnica mista combinando animazione in claymation e pixilation. Non sapevamo ancora quanto lungo e tortuoso sarebbe stato il cammino, caratterizzato da continui stop and go. Tra il 2018 e il 2019 abbiamo portato il progetto in giro per l'Europa, partecipando a diversi pitch forum nel tentativo di trovare finanziamenti. Durante questo periodo, abbiamo sviluppato la sceneggiatura, perfezionandola mese dopo mese. Tuttavia, non riuscivamo a trovare un produttore: ogni contatto si rivelava un vicolo cieco.
Poi nel 2020, la pandemia di Covid-19 ha stravolto le nostre priorità. Decidemmo allora di fondare la nostra società Studio Croma Animation Srl e di diventare noi stessi i produttori del progetto. Questo ci ha permesso di avviare un circolo virtuoso di ricerca fondi, culminato con una campagna Kickstarter di successo nel 2021. Grazie a ciò, abbiamo incontrato la nostra attuale co-produzione francese, Autour de Minuit. Successivamente, ottenuti i fondi dalla Emilia Romagna Film Commission e dal MiC, abbiamo iniziato le riprese nel gennaio 2023, concludendo il film nel maggio 2024. Playing God non rappresenta quindi solo un cortometraggio di animazione in stop motion, ma una vera e propria esperienza di vita collettiva. Tutte le persone coinvolte nel progetto hanno condiviso gioie e sofferenze lungo questi anni.
La maggior parte del tempo era dedicata agli scatti effettivi oppure ci sono stati dei cambiamenti in corso d'opera?
Arianna Gheller
La produzione di Playing God è stata alquanto anomala. Si può dire che sia stato un completo esperimento in tutti i sensi. L’intero processo è durato circa sette anni con varie interruzioni nel mezzo. Siamo partiti quasi subito ad animare con poca pre-produzione, all’inizio non avevamo neanche un animatic, il character design del protagonista è venuto fuori a mano a mano che animavamo e restauravamo il pupazzo per la scena successiva, la storia è maturata facendolo e ci siamo buttati a capofitto con l’idea di utilizzare questo particolare mix di tecniche senza neanche sapere come realizzarlo veramente. Di fatto abbiamo imparato lavorandoci e siamo maturati con esso. Proprio per il fatto che le varie fasi di produzione si sono mescolate l’una con l’altra cancellandone di fatto i bordi netti, non ti saprei dire con certezza cosa sia durato di più. Certamente però ti posso dire che la fase di animazione è stata molto lunga proprio per la complessità del mix di tecniche da realizzare, per il livello di qualità che volevamo raggiungere e per i vari problemi da risolvere che ci si sono presentati ad ogni scena e che hanno richiesto di volta in volta un problem solving sempre diverso. Ci sono state scene i cui fotogrammi mi richiedevano anche 30/40 minuti di lavoro ciascuno.
Immaginate di dover muovere i personaggi, riscolpire i loro corpi e le loro espressioni in movimento e in maniera espressiva, lisciare tutto con pennello e solvente per ottenere un effetto il più pulito possibile, muovere anche l’attore pixillation, realizzare eventuale morphing di plastilina e muovere pure la camera per costruire passo passo il movimento della stessa, tutto contemporaneamente. È stata una bella sfida e una bella avventura allo stesso tempo.
Le luci e le inquadrature trasmettono alla perfezione le sensazioni di tutti i personaggi, vissute in prima persona dal protagonista. Era tutto accuratamente pianificato o in certi momenti vi siete lasciati trasportare dall'atmosfera?
Matteo Burani
Ogni dettaglio visivo, dalle luci alle inquadrature è stato minuziosamente pianificato sin dall'inizio (dal 2021 in poi). Nel cinema d'animazione stopmotion, specialmente quando si lavora a un livello di complessità come questo, dove a volte per mettere in scena 4 secondi servono delle preparazioni di settimana, l'improvvisazione sul set è praticamente impossibile. Ogni scelta, dalla luce teatrale che illumina il tavolo centrale del laboratorio, fino agli angoli di ripresa che esprimono le emozioni dei personaggi, è frutto di un accurato lavoro di pre-produzione. A livello di regia infatti ho voluto creare un ibrido di ripresa in stile camera a spalla per alcuni momenti nel film, difficile da realizzare in animazione stop motion. Anche se l'atmosfera del set ha portato momenti di ispirazione, l'intera esperienza visiva è il risultato di un progetto studiato in ogni dettaglio, per garantire che ogni sensazione fosse trasmessa con precisione.
Anche la musica e soprattutto gli effetti sonori giocano un ruolo fondamentale. Come sono stati realizzati?
Matteo Burani
La musica e gli effetti sonori in Playing God sono stati trattati con una cura meticolosa, poiché in un'opera priva di dialoghi come questa, il sound design diventa il vero linguaggio del film. Abbiamo voluto lavorare con le voci come elemento musicale primordiale, in sintonia con le creature protagoniste del film, e questa scelta ha contribuito a creare un linguaggio emotivo che si intreccia profondamente con le immagini.
Pier Danio Forni, il musicista dietro la colonna sonora, ha scelto di utilizzare le ocarine di Budrio, strumenti di terracotta, come elemento principale. Circa il 70% della colonna sonora è stato campionato da ocarine di varie tonalità, che con il loro suono caldo e avvolgente riportano mentalmente alla terra, l'elemento di cui sono concettualmente realizzati i puppet.
L'importanza del sound design in Playing God non può essere sottovalutata: esso rappresenta le "parole" del nostro film, veicolando emozioni attraverso ogni suono e nota. Gli effetti sonori, creati con materiali reali, danno voce alla plastilina, evocando la sensazione di un corpo che si muove e si deforma. Con la musica e il sound design sbagliati, questo cortometraggio sarebbe stato completamente un'altra cosa. Insieme, questi elementi sonori non solo supportano la narrazione visiva, ma creano un'esperienza immersiva che amplifica il senso di disorientamento, inquietudine e bellezza che caratterizza Playing God.
Perché avete ritenuto che la tecnica del passo uno fosse più indicata per raccontare questa storia anziché l'animazione 3D o tradizionale?
Matteo Burani
Playing God è nato con l'intento di essere realizzato esclusivamente in animazione stop motion. Questa tecnica ci ha permesso di esprimere la reale materia mentre si plasma, si fonde e si distrugge. Il passo uno offre una qualità tangibile e unica, in cui la materia prende vita e interagisce con l'elemento umano in modo autentico. Questa scelta è essenziale per trasmettere la nostra visione e il profondo legame tra il mondo animato e quello reale, impossibile da realizzare con qualsiasi altro medium di animazione o live action.
Raccontateci del creatore, novello Frankenstein e più figura retorica che personaggio. Oltre al suo scopo narrativo cosa persegue? Cos'altro fa nella vita?
Matteo Burani
Il creatore in questa storia è uno scultore, un artista. Non vedo nient'altro che egli possa fare nella vita se non continuare a ricercare la perfezione intesa come soddisfazione personale nel suo operato. Certamente però avrebbe bisogno di una vacanza.
Magari ha così amato una delle sue creature precedenti che adesso si sente frustrato nel non riuscire a raggiungere la perfezione?
Matteo Burani
Chissà, forse le primissime sculture che ha fatto ai tempi della sua perduta giovinezza artistica, dove forma e concetto non erano determinanti essenziali di giudizio ma vinceva solo il puro istinto e il piacere di creare qualcosa.
Il messaggio del film è di denuncia al sistema produttivo, ma può parlare anche al di fuori del mondo creativo. Avete condiviso le idee di base con altri conoscenti o colleghi che lavorano in questo ambito?
Matteo Burani
Playing God non si limita a essere una critica al sistema produttivo nell'ambito della creatività; il suo messaggio si estende ben oltre. Sebbene il cortometraggio sia nato dalla mia esperienza personale nel mondo della produzione creativa, i temi che esplora hanno una risonanza più ampia. Il film mette in luce le dinamiche di potere, il controllo e le conseguenze delle scelte individuali e collettive, che sono pertinenti in qualsiasi settore. Il sistema produttivo descritto nel cortometraggio può essere visto come una metafora per altre strutture sociali e organizzative che esercitano controllo e pressione sugli individui. Attraverso la sua narrazione e le sue immagini, il film esplora come questi sistemi possano influenzare la nostra vita quotidiana, il nostro benessere e le nostre relazioni.
In definitiva, Playing God invita a riflettere sul ruolo di ognuno all'interno di queste strutture e sull'impatto che esse hanno su di noi. Anche se il contesto principale è quello della produzione creativa, i temi universali trattati (come il conflitto tra autonomia e conformità, il peso delle aspettative) parlano a tutti noi, indipendentemente dal settore in cui operiamo.
Chi si è messo in contatto per primo con gli altri e cosa vi ha convinti a produrre Playing God?
Arianna Gheller
Il progetto nasce principalmente da me e Matteo Burani. È capitato che ci siamo incontrati, chiacchierando è saltato fuori che lo studio era in un momento particolare e io ho esclamato “Facciamo un cortometraggio!”. Guarda caso Matteo Burani aveva già un’idea pronta, sketchata in maniera primordiale su un taccuino. Quando siamo partiti eravamo convinti che il tutto sarebbe durato tre o quattro mesi al massimo! Se ci penso ora, dopo più di sette anni, sorrido. Matteo Burani: Fin dal primo istante in cui ho scritto la prima riga di questa storia ero profondamente motivato dalla mia visione e dalla necessità di esprimere un messaggio che sentivo particolarmente forte. Ho avviato il contatto con le persone coinvolte nel progetto, come i membri del team creativo e i collaboratori tecnici, per discutere la mia idea e il concetto dietro Playing God.
Matteo Burani
La decisione di produrre il cortometraggio è stata guidata dalla convinzione che il messaggio che volevo trasmettere fosse di grande importanza. La mia esperienza personale e il desiderio di esplorare criticamente il sistema produttivo mi hanno spinto a portare avanti il progetto. Ho cercato persone che condividessero una sensibilità simile e che potessero comprendere e contribuire alla visione del film. La convinzione di produrre Playing God è stata rafforzata dalla risposta entusiasta e dall'impegno del team, che ha riconosciuto il valore del progetto e la forza del messaggio. È stato il nostro desiderio condiviso di dare vita a una narrazione che esplorasse temi complessi e universali che ci ha motivati a superare le sfide e a lavorare insieme per realizzare il cortometraggio.
Ringraziamo ancora i due artisti per la disponibilità e la passione che hanno infuso nella realizzazione di questo cortometraggio e vi invitiamo a restare sintonizzati su FantasyMagazine per leggere la nostra recensione.
Playing God
Pochi minuti sono sufficienti per far riflettere sulla consapevolezza di sé e sull'importanza che ci viene data dalla società.
LeggiInformazioni sul film
Playing God sarà in anteprima a Venezia
Il cortometraggio animato in concorso a Venezia81, con i colori di Bologna diretto da Matteo Burani e scritto con Gianmarco Valentino, animato da Arianna Gheller.
LeggiSinossi
Il cortometraggio della durata di nove minuti, ha come protagonista una scultura d'argilla che prende vita nell'oscurità di un laboratorio, circondata da misteriose figure e in rapporto con il suo Creatore: un'opera che fa riflettere sull’inconsapevolezza della creazione e della distruzione e sull'esclusione sociale, per la quale sono stati necessari sette anni di lavorazione.
Playing God
Regia di Matteo Burani
Con Animazione: Arianna Gheller
Scritto da Matteo Burani e Gianmarco Valentino
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