Che Hayao Miyazaki sia un genio, o quanto meno lo sia stato è indubbio, così come è indubbio che abbia fatto cose pregevoli, che hanno cambiato il modo in cui guardiamo i cartoni animati, assurti a pellicole amate anche dagli intellettuali. Il problema è che una volta entrati nell’empireo si diventa intoccabili, non criticabili, soprattutto se si è esotici, un po’ esoterici, a volte criptici, soprattutto se comprendendo, o fingendo di comprendere tutta la simbologia complessa come quella giapponese, ci si guadagna, a torto, o a ragione, il patentino di più intellettuale degli intellettuali. E allora via libera ai test “Cosa pensa il pensatore”. Da anni Miyazaki annuncia il suo ritiro, mai avvenuto però, sia per motivi economici, sia per motivi affettivi, sia per necessità personali e in questo documentario si evidenzia quanto, nonostante la stanchezza, il lavoro sia linfa vitale per Miyazaki (ci sono talmente tanti maestri, che definirlo maestro sembra una diminutio).
Il problema del documentario Hayao Miyazaki e l'Airone, che dura ben 120 minuti, è che dura 120 minuti. Centoventi minuti di osanna, osanna a quanto è bravo, bello, buono, neanche fosse l’apologia del concetto di καλὸς καὶ ἀγαθός (kalòs kai agathòs).
E in effetti Kaku Arakawa presenta la realizzazione dell’ultimo film di animazione Il ragazzo e l’airone, come una fatica erculea, un percorso incidentato e afflitto da morti di compagni di strada, dal Covid, dalla fatica di un corpo e una mente, che sentono il peso degli anni. Così anche il documentario è una fatica immane, che solo la volontà di esercitare la pazienza di Giobbe può fare concludere la visione. Perché partire da sette anni prima? Per carità io sono cosciente che non si conoscono le premesse, non si possono capire i fatti. Ma sette anni?
L’esaltazione del grande disegnatore (eccessiva a dir la verità), posso anche capirla, ma i timori e tremori dell’insostenibile pesantezza dell’essere Miyazaki per forza erano da imporre allo spettatore? Fosse durato quaranta minuti, avremmo compreso e non ci saremmo atrofizzati sulle poltrone del cinema. Fosse durato quaranta minuti sarebbe stato anche interessante. Mi sono sentita come all’ennesima replica dello stesso spettacolo di teatro Kabuki. Poi si comincia a sognare un ponte da cui planare, non già un ponte su un bel fiume. No, un ponte sopra un rigagnolo, così la caduta è sicuro che causeerà danni permanenti. Ma si sa, la condizione umana comporta fatica di per sé e l’essere Miyazaki, con il carattere burbero, schivo, difficile, comporterà sicuramente una fatica quadrupla.
In sala dal 25 al 27 novembre 2024, il documentario è sicuramente d’interesse per gli appassionati.
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