185 anni prima che intorno a Frodo Baggins si formasse la Compagnia dell'Anello, nella città di Rohan si svolgevano gli eventi che portarono a battezzare la piana davanti alla fortezza di Hornburg come il Fosso di Helm.
Helm era il Re di Rohan, ed Héra, sua figlia, una eroina il cui nome è stato dimenticato dalla cronache, ma il cui ruolo nelle vicende della guerra intrapresa per vendetta da Wulf, il signore del Dunlending è adesso rivelato a noi in Il Signore degli Anelli: La Guerra dei Rohirrim.
I 134 minuti del film sono pieni di drammi, morte e violenza, ma anche di afflato epico ed eroismo, con uno stile narrativo che mescola due mondi: l'epica tolkieniana e l'approccio giapponese al fantastico.
Va detto che l'approccio giapponese è più visivo che narrativo, visto che la sceneggiatura di Jeffrey Addiss, Will Matthews, Phoebe Gittins, Arty Papageorgiou suscita l'effetto di chi vuole inseguire uno stile più per ammirazione che per perfetta padronanza. Un omaggio sentito ad eroine alle Mononoke e Nausicaa di Miyazaki da parte di fan devoti. Una storia di guerra, di vendetta, che se non fosse per alcuni breve citazioni degli anelli e Sauron, potrebbe essere tranquillamente ambientata in un luogo diverso senza perdere la sua sostanza. D'altra parte in un mondo così vasto, è lecito pensare che non tutti gli eventi della sua storia siano stati influenzati in modo diretto e visibile dalla "trama principale", che resta sullo sfondo.
Suscita senz'altro ammirazione il lavoro del regista Kenji Kamiyama (Blade Runner: Black Lotus, Ghost in the Shell: Stand Alone Complex) che ha mediato nel comparto visivo l'estetica di Alan Lee e John Howe, con un film che è stato disegnato e animato in Giappone. Ne risulta un'opera con un indovinato ed espressivo character design, e sfondi bellissimi, penalizzata solo nella resa finale dall'animazione a 12 fps di stampo televisivo.
Ricordiamoci inoltre che siamo in un mondo che sul fronte della coerenza deve rispondere alla versione di Peter Jackson dell'universo di J.R.R. Tolkien.
E questo è chiaro sin dai titoli di testa, che citano il tema musicale di Howard Shore e ci ricordano che la produzione è New Line Cinema e Warner Bros, con in testa Philippa Boyens, coadiuvata da Fran Walsh, Peter Jackson, Sam Register, Carolyn Blackwood e Toby Emmerich.
Quindi, anime ma non troppo, si potrebbe dire.
Il cast vocale originale non è meno che prestigioso, se si pensa che a dare voce a Helm Mandimartello è Brian Cox (Edoardo Siravo in italiano), la cui carriera da Manhunter a Succession non è riassumibile in un breve articolo.
Risultano azzeccate ed espressive le voci di Gaia Wise (A spasso nel bosco), nel ruolo di Héra (Joy Saltarelli in italiano), e di Luke Pasqualino (Snowpiercer) nel ruolo di Wulf. A stabilire comunque l'appartenza al mondo narrativo c'è la voce narrante di Miranda Otto, ossia Éowyn nella trilogia originale.
Tutto l'insieme funziona, ma non fa gridare al capolavoro o al miracolo. Come ormai spesso accade, sarebbe stato possibile rendere la stessa epicità e drammaticità con una ventina di minuti in meno, se non mezz'ora. Ma sappiamo che la cifra delle produzioni in cui c'è lo zampino jacksoniano non brillano per sintesi.
Non ci nascondiamo dietro a un dito. L'operazione è una furbata. Uno sfruttamento da parte di Warner Bros. e New Line della proprietà intellettuale sfruttando altri linguaggi, cercando di attirare l'attenzione del pubblico filo-anime, ma allo stesso tempo guardando agli appassionati dei film di Jackson.
Si insegue il grande pubblico insomma, non gli appassionati hard-core di entrambi i mondi, lasciando ai puristi dell'integrità tolkieniana il compito di stabilire quanto gli eventi raccontati siano o meno aderenti al "sacro testo".
L'esito narrativo è interessante, ma la risposta del pubblico è la grande incognita di un prodotto che forse, pur se fatto con diligenza, ha comunque delle evidenti criticità.
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