La biblioteca, quella notte, è stata il nostro rifugio dal gelo di dicembre. Ricordi? Non immaginavamo che una biblioteca potesse restare aperta fino a tardi. Eppure, le luci all’interno erano accese, dalle finestre si coglieva qualche vago movimento, e noi eravamo troppo esausti per farci domande. Abbiamo seminato una scia di orme sulla neve fresca, mentre fiocchi obliqui ci tagliavano il viso, e le luci di Natale spandevano un bagliore appannato. Tutt’intorno niente auto, solo la nostra in panne. Niente passanti, né rumori in lontananza, né fari in avvicinamento o palazzi illuminati. Solo la biblioteca.

- Magari ci lasciano chiamare qualcuno — hai detto con la voce smorzata dalla sciarpa. Ti guizzavano gli occhi alla luce dell’ingresso, li vedevo muoversi a scatti sotto il cappuccio imbiancato. Il nuovo millennio sarebbe iniziato di lì a pochi giorni, e per molto tempo non avrei rivisto la neve sotto Natale. Pareva che si fosse accumulata tutta sui nostri giubbotti pesanti.

Dentro, l’atrio era fioco e tranquillo. La bibliotecaria, una donna con vistose occhiaie sotto le iridi azzurre, stava seduta al bancone a destra dell’entrata. Ci ha squadrato socchiudendo un poco gli occhi, e poi ti ha fatto un cenno di saluto. Solo a te. Ho pensato che ti conoscesse, forse eri già stata in questa biblioteca? Mi hai risposto che non lo sapevi, le biblioteche erano tutte uguali. Non ero d’accordo, ma non ho detto nulla e mi sono avvicinato al bancone. Ho chiesto alla donna se potevamo usare il telefono.

- Niente telefono — ha fatto lei senza nemmeno guardarmi. Stava scrivendo qualcosa su un grosso registro. — La linea non funziona. Sa, la neve.

- È che… la nostra auto è ferma. Credo sia la batteria, il freddo.

- Mi dispiace.

- Se ci fosse un modo per contattare qualcuno…

Lei ha alzato le spalle, e finalmente ha levato gli occhi per guardarmi: – Come le ho detto, il telefono non funziona. Mi spiace.

Io mi sono voltato verso di te: dopo essere scivolata alle mie spalle, stavi già curiosando tra gli scaffali. C’era silenzio, come fuori, ma senza la neve che assorbiva i rumori. Era un silenzio diverso, più nitido, meno ovattato. Tu facevi scorrere il dito sul dorso dei libri, e sembrava che non ti importasse più niente della macchina in panne, di mio fratello che ci aspettava fuori città, dei regali che avevamo lasciato nel bagagliaio.

- Guarda qui — hai detto a bassa voce, forse più a te stessa che a me. Mi hai indicato una sagoma di legno che separava un libro dall’altro, sulla mensola degli autori classici con la lettera “E”. Ricordavo bene quei divisori: durante l’università avevo lavorato nella biblioteca del mio quartiere, e mi avevano insegnato a riempire i buchi sugli scaffali con delle sagome identiche a quelle. L’anziano bibliotecario mi aveva detto che in gergo si chiamavano “fantasmi”.

- Ce ne sono parecchi, di buchi — ho risposto, guardando le altre mensole. Erano piene di  fantasmi, sagome lignee come quella che mi avevi indicato tu. — Forse hanno tanti libri in prestito.

Tu mi hai guardato in modo strano, la fronte corrugata come se ti avessi parlato in una lingua estranea. – No — hai esclamato scuotendo la testa. — Leggi il dorso.

Mi sono avvicinato per guardare meglio, ma non c’era proprio niente da leggere: il dorso del fantasma era liscio. Aveva le dimensioni di un libro, ma era solo un pezzo di legno senza finiture, con gli angoli un po’ smussati. – Io non vedo niente — ho detto.

Ti sei spazientita e hai preso il fantasma. Nelle tue mani sembrava un libro vero, lo reggevi con la sinistra e lo sfogliavi con la destra, o almeno fingevi di sfogliarlo, dal mio punto di vista; perché io vedevo solo una sagoma rettangolare, e niente più.

- Ma non vedi? — hai detto. — È l’Achilleide di Eschilo, tutta la trilogia in un unico volume. E questi altri — ti sei spostata nello scaffale vicino, indicando altre sagome di legno che occupavano i buchi tra i libri. — La raccolta completa delle poesie di Saffo. La stesura originale de I sette pilastri della saggezza di Thomas Edward Lawrence. C’è anche la Titanomachia di Eumulo di Corinto… non è incredibile?

Ho aperto la bocca un paio di volte, ma senza dire niente. Non capivo a cosa ti riferissi. Leggevi scritte che per me erano invisibili e citavi libri che non esistevano più, smarriti nella Storia. Quando ci siamo conosciuti, nel dipartimento di filologia romanza dell’università, amavamo parlare di certe cose: passavamo le ore a fantasticare dei libri perduti che ci sarebbe piaciuto leggere, quali avremmo riportato alla luce – tu le favole originali dei Pañchatantra, io la Storia delle guerre in Germania di Plinio il Vecchio – e quali opere moderne avremmo sacrificato per averli. Anni dopo, era strano pensare che in una biblioteca di periferia avessimo trovato la risposta alle nostre fantasie; o che, quantomeno, l’avessi trovata tu.

- È pazzesco quello che c’è qui — hai mormorato, frugando tra quelli che per me erano solo altri fantasmi riempiposto. — Dici che sono veri?

In quel momento, ho notato che c’era un uomo in fondo alla sala, intento a guardare tra gli scaffali. Anche lui osservava le sagome di legno tra i libri come se potesse leggerci qualcosa. A un certo punto ne ha sfilata una dalla mensola e si è messo a sfogliarla, come avevi fatto tu poco prima. Ho sentito un brivido, e d’un tratto mi sono accorto che lì dentro faceva parecchio freddo, più di quanto mi sarei aspettato da un locale chiuso. L’uomo si spostava fluido tra gli scaffali, come se non avesse peso. Tu stessa eri assorta nella lettura dei dorsi, emettevi una sommessa esclamazione di sorpresa quando ne trovavi uno di tuo interesse, e poi ricominciavi a cercare. Quelli che riconoscevo anche io come libri non ti interessavano, forse erano troppo ovvi. Guardavi solo i fantasmi di legno, i tuoi libri perduti. Dovevo uscire di lì.

- Senti, vedo se riesco a far partire la macchina. O magari trovo qualcuno che può aiutarci, non so.

Tu non hai risposto, eri troppo presa dalla sezione classici. I lembi del giubbotto dispiegati come ali sul pavimento, restavi accovacciata a esplorare i ripiani inferiori dello scaffale, e intanto continuavi a sussurrare piccoli commenti ammirati. Al contrario di me, non sentivi freddo.

Uscendo, ho avvertito lo sguardo della bibliotecaria che mi seguiva: quando mi sono chiuso la porta alle spalle, è stato come tranciare un cavo invisibile. Fuori mi sono sentito meglio, anche se il clima gelido mi pizzicava le narici. I fiocchi di neve erano diventati più grossi, e ora cadevano dritti da un cielo denso e rossastro. Tutto il resto appariva immobile; l’unico rumore era il tonfo sordo dei miei passi sul terreno. Una volta raggiunta l’auto, ho visto che sul tetto si era ammucchiato uno strato di neve talmente spesso da coprire anche il parabrezza. Non si vedeva niente attraverso il vetro. Il cofano era deformato dall’impatto con un grosso lampione, ci ero finito addosso mentre viaggiavamo su quella strada. La neve fitta, la batteria danneggiata, l’asfalto ghiacciato. Ecco com’era andata.

Poi però ho aperto la portiera, e tu eri lì.

Sul sedile del passeggero, il tuo corpo riverso contro il cruscotto, la testa insanguinata. Il parabrezza occluso dalla neve ti avvolgeva nell’ombra. Ti ho chiamata e non hai risposto, ti ho toccata ed eri inerte. Avevi la pelle gelata, bianca. Tutto intorno c’era sempre lo stesso silenzio, l’unica differenza era il mio respiro ansimante, piccoli sbuffi che mi uscivano dalla bocca e si condensavano nell’aria fredda. Io me l’ero cavata con un livido sulla fronte, ora potevo sentirlo pulsare. Una semplice botta, nient’altro. Non avevo mai desiderato una simile fortuna.

Quando sono uscito dall’auto, non ho nemmeno chiuso la portiera. Sono corso indietro, incespicando nella neve e sui gradini della biblioteca, ho spalancato la porta e ti ho ritrovata in piedi vicino allo scaffale dei classici. Quanti altri libri perduti avevi sfogliato nel frattempo? Quanti altri ne avresti letti da quel momento in poi? Mi stavi fissando, le braccia lungo i fianchi. Anche la bibliotecaria mi guardava dal suo bancone.

- Questo non è il posto per te — mi hai detto piano. E anche se c’era della dolcezza nella tua voce, anche se in quel momento volevo solo mettermi a urlare, sapevo di non poter controbattere.

Ora sono passati molti anni, e la neve è tornata a cadere nell’ultima settimana di dicembre, proprio come quella volta. Forse mi stai aspettando laggiù, oltre la tormenta, dietro la cortina perlacea del tempo. I miei passi solcheranno il tappeto di neve fresca, ma spariranno presto sotto i fiochi pesanti, finché di me non resterà alcuna traccia. Rimarrò lì con te a leggere tomi scomparsi, i fantasmi della Storia torneranno a materializzarsi nelle nostre mani. Saremo insieme, e sarà per sempre Natale.