Hai scoperto qualcosa?

Ancora poco.

Poco quanto?

Poco.

Sai cosa abbiamo rischiato per portarlo qui, giusto? Per ingannare i Guardiani. Non potremo accontentarci di – poco – ancora per molto.

Lo so. Ma tu sai anche com’era ridotto, quand’è arrivato. Non ci sono andati leggeri, con lui.

E nemmeno con noi. Per questo dobbiamo capire cosa abbiamo tra le mani. Quel – poco – che hai scoperto cos’è?

Abbiamo con noi un tal’arim.

Questo però è troppo poco. Lo sapevamo già.

Un tal’arim in grado di forgiare diversi tipi di ailen, molto abile. E uno schiavo.

Di chi?

Direi di un ashar’dal di Tal’amaran. Ha un tatuaggio sul petto, che pare essere il simbolo di una casata. Era proprietà di qualcuno.

Quindi un tal’arim non registrato, non un ex Guardiano. Un reietto.

Già. Ma c’è altro.

Cosa?

È difficile scalfire la sua mente. È come…ripiegata su sé stessa. Sono riuscito a percepire grande dolore, che ricopre la sua coscienza e smorza i miei tentativi.

Lui non è cosciente, giusto?

No, ovviamente no. È in questo stato da quando è arrivato. Come ti dicevo prima che mi interrompessi, il dolore blocca i miei tentativi, mi fa girare in tondo. Non riesco ad afferrarlo. Però…

Però?

Però forse ho trovato un possibile filo, nella trama. Qualcosa che dice di…un’anomalia.

Un’anomalia?

Sei qui per ripetere ogni mia parola o per ascoltare?

Ascoltare. Continua. Ma sbrigati.

La sua vita sembra avere uno schema lineare. Intriso del dolore di cui ti dicevo. Però sembra che recentemente, qualche mese fa, sia successo qualcosa.

Riesci a prenderlo? Riesci a vedere?

Si, dovrei farcela. È un ricordo, che potrei provare ad usare come filo, per entrare più in profondità nella trama della sua memoria. Un incontro. Questo incontro a quanto pare spezza la trama precedente, vi introduce una logica diversa.

Provaci. Sei riuscito ad estrarre un’immagine?

Vedo un… bambino.

Un bambino?

Un bambino.

È lui? Il filo ti riporta al suo passato da bambino?

No, non è lui.

E ti pareva. E quindi chi è?

Non lo so. Ne so quante te.

Si, però l’estrattore sei tu. Ti pagano per questo.

Vorrei capire per cosa pagano te.

Io sono quello che paga gli altri. Quindi cosa si fa?

Partiamo dall’incontro. Dal filo. Dal bambino. Sei pronto?

Sono pronto. Fammi vedere.

Andiamo.

Parte I

L’abisso dei sogni

 

I.

Una bella serata. Forse aveva un po’ esagerato con l’estel, notoriamente il peggior liquore di Tal’amaran. Ma in fondo si reggeva ancora in piedi, no? E riusciva anche a camminare dritto. Più o meno.

- Quel bastardo – Tekel non era certo di averlo solo pensato. Temeva di averlo biascicato a voce alta, la bocca impastata, mentre camminava per i vicoli di Tal’amaran, attraversando la Rotonda dei Nove, deserta a quell’ora, diretto verso il quartiere degli speziali.

Ma d’altronde, Bogus aveva barato. Ne era abbastanza certo. Praticamente sicuro. Avevano giocato a mikil tutta la sera – e per buona parte della notte – con altri piccoli mercanti giù alla locanda dei Tre Occhi e tra le risate, gli scherzi e l’estel, Tekel sapeva che qualcuno dei seduti al tavolo avrebbe potuto approfittarne. E Bogus aveva avuto carte fin troppe belle, e bevuto poco. Coincidenze sempre sospette.

Ma era comunque stata una bella serata, e una leggera brezza rinfrescava le stradine che lo stavano – lo sperava – riportando a casa.

I vicoli erano per lo più silenziosi, se non per le risate che esplodevano di tanto in tanto dalle finestre di qualche casa di piacere ancora illuminata per i marinai di passaggio, e per lo sferragliare delle guardie cittadine che marciavano in gruppi di tre o quattro. A Tekel pareva sempre che pestassero volontariamente i piedi, per fare più rumore possibile. Poteva essere una strategia per ricordare agli abitanti svegli che un ordine esisteva ancora, e che sarebbe stato tutelato.

Non si concedeva molte serate come quella. La Gilda dei Mercanti non aveva grandi interessi in un piccolo rivenditore di cianfrusaglie e oggetti storici, e quindi non aveva una sala comune da frequentare, o eventi mondani a cui presenziare. Non che gli dispiacesse. Ma con altri mercanti, più o meno tutti in difficoltà economiche come lui, ogni tanto si trovava per una serata insieme.

In fondo aveva bisogno anche lui di un po’ di compagnia. O forse di non pensare, almeno per qualche ora, a tutti i suoi problemi, che sarebbero comunque puntualmente riemersi al sorgere della prima luce. Ma quella era un’altra storia.

Stava salendo una scalinata di pietra, stretta tra alti edifici popolari senza finestre, che curvava leggermente seguendo il fianco della collina. Indossava dei guanti neri, e ne poggiava uno lungo il muro al suo fianco, mentre proseguiva a testa bassa nella sua salita.

- Quel bastardo – ripeté – questa volta era sicuro di averlo detto a voce alta, ma solo le poche torce che bruciavano nei sostegni lungo le mura avrebbero potuto confermarlo.

Era quasi arrivato. Oltre la scalinata iniziava il quartiere del commercio, il Borgo dell’Offerta, dove avevano sede botteghe ben più attrezzate, frequentate e ricche della sua, poi avrebbe attraversato il parco antico, un ricordo di come la collina principale di Tal’amaran era prima dell’arrivo del progresso, e la sua camminata rigenerante avrebbe avuto fine nel quartiere degli speziali, subito sotto le ville dei piaceri degli ashar-dal, gli oligarchi di Tal’amaran.

Sperando poi di non svegliare il buon vecchio Saithis, che ancora non si era completamente ripreso dall’incontro con…

Fece in tempo a vedere un’ombra piombare su di lui, franargli sulle gambe, e cadde all’indietro. Per un miracolo riuscì a non rotolare giù per tutta la scalinata ma a fermarsi, picchiando pesantemente la testa, qualche gradino più sotto. La schiena dolorante, si puntellò sui gomiti e alzò lo sguardo.

Se fosse stato un altro cucciolo di rakrut scappato dal serraglio di un ashar-dal, l’avrebbe ammazzato prima ancora che potesse emettere un sibilo, quel maledetto.

Riuscì a intravedere una forma scura, stesa qualche gradino sopra di lui. La figura che gli era piombata addosso, trascinandolo rovinosamente a terra, non era un costoso rettile, ma solamente un bambino. O un ragazzino, insomma: avrà avuto una decina d’anni, non troppi di più, sicuramente nessuno di meno. Indossava una veste scura senza maniche, che gli arrivava fin alle ginocchia, ed era scalzo. La massa scomposta e arricciata di capelli castani e lo sporco che anche nella poca luce della scalinata si intravedeva sul volto e sulle braccia facevano pensare che probabilmente un rakrut se la sarebbe passata meglio.

Si rialzò in piedi, mentre Tekel si interrogava ancora a proposito di possibili costole incrinate. La schiena gli faceva proprio male.

- Per il sangue, ragazzo, ma come…

- Aiutami, aiutami, ti prego! Nascondimi -, disse il ragazzino, coprendo con un salto la distanza che li separava. Ora era inginocchiato su di lui, e gli teneva con le mani – sporche – il colletto della veste. I suoi occhi enormi e azzurri erano la materializzazione del terrore puro, e continuava a gettare sguardi nervosi verso la sommità delle scale.

- Aiutami tu, piuttosto – provò a scherzare Tekel. – Ho una certa età, dammi una mano ad alzarmi

Ma il ragazzino non era in vena di battute. – Stanno arrivando, erano dietro, mi riprenderanno, ma io devo trovar qualcuno per liberarla… – la voce gli si strozzò in gola. Dalla curva della scalinata, più in alto, era apparso un uomo, la cui figura gettava un’alta ombra sul muro alle sue spalle. Si era fermato ad osservarli.

Con uno sforzo di cui non pensava di essere capace, Tekel si rialzò, mostrandosi intento a pulirsi la veste scura – per un mistero inspiegabile ai più, le strade di Tal’amaran erano sempre sporche – ma spingendo con un braccio il ragazzino dietro di sé, la mano guantata sulla piccola spalla. Che tremava, e probabilmente non per il freddo della notte.

L’uomo scese di corsa i gradini, fermandosi davanti a Tekel. Aveva una lunga barba rossa e capelli dello stesso colore. I vestiti leggeri lasciavano trasparire una cotta di maglia subito sotto la camicia, e alla cintura era appesa una spada seghettata che non sembrava essere un puro vezzo estetico.

Riprese fiato, fermandosi davanti a loro, e alzando una mano verso Tekel in segno di saluto. – L’hai fermato, grazie.

- In realtà è lui che ha fermato ma, ma questa immagino sia un’altra storia – rispose Tekel, guardando dritto negli occhi il nuovo arrivato e sorridendo amabilmente.

- Cosa? Comunque, grazie, ridammelo pure. Vieni qui, piccolo, che torniamo a casa – Guardò il ragazzino e gli fece segno con le sue grosse mani di avvicinarsi.

Tekel sentì la presa sulla veste attorno alla sua gamba farsi ancora più forte. Cercò di tranquillizzarlo, stringendogli la spalla. Continuava a tremare come una foglia.

- Sai, non che io voglia farmi gli affari degli altri, però…

- E allora non farteli. Tu, vieni qui – Il tono dell’uomo si faceva più minaccioso. Doveva aver rapidamente concluso che un mezzo ubriaco disarmato, magro e dai capelli biancastri, non poteva costituire un problema. E Tekel non aveva mai apprezzato i frettolosi e gli avventati. Gli ricordavano troppo sé stesso.

- Aspetta un attimo, fratello. Cerchiamo di capirci. Lui non sembra…

L’uomo estrasse la spada in un battito di ciglia, puntandola contro Tekel. – Non sono tuo fratello. Non ho tempo da perdere. Il ragazzo viene con me. Torna nel buco da cui sei uscito -

Tekel alzò le braccia, le mani guantate ben aperte. – Perché rinunciare alla possibilità di una piacevole conversazione, nelle notti di luna sotto le stelle di Tal’amaran? Il ragazzo non mi sembra intenzionato a seguirti. E non credo tu sia suo padre o un suo parente. Quindi, perché dovrebbe venire con te?

L’uomo fece un passo in avanti, sfoderando il suo sguardo più minaccioso. Sembrava esprimere violenza da ogni pelo della sua folta barba, l’intero corpo attraversato da un’elettricità che Tekel conosceva bene.

- Ultimo avvertimento. Consegna il ragazzo e nessuno si farà male

- Ma io mi sono già fatto male. Non sai quanto sono duri a caderci sopra, questi scalini

L’uomo si lanciò contro Tekel, con un affondo così prevedibile che anche nelle sue condizioni non esattamente ottimali avrebbe potuto schivare senza problemi. Ma era tardi, e il rosso non gli stava per niente simpatico.

Entrò nell’ailen, le iridi che da verdi diventavano bianche. In una frazione di secondo, spinse il ragazzino contro il muro a destra della scalinata, spostandosi poi di un passo a sinistra. Una sottile e lunga lama nera gli era apparsa tra le mani. Ora tutto era illuminato, l’ailen di ogni cosa che riluceva, e vide il corpo dell’uomo che lo superava, la spada ancora tesa in avanti, verso il punto dove Tekel si trovava solo un attimo prima. Riuscì anche a cogliere stupore nel suo sguardo, mentre mancava il colpo e si ritrovava il bersaglio alla sua destra.

Lo stupore si trasformò in quella che sembrava delusione mentre la spada di energia nera gli perforava la cotta di maglia, bucando i polmoni e uscendo dalla schiena, per poi sparire con un leggero ronzio, dissolta nell’aria ad un gesto di Tekel.

L’uomo si bloccò. Sputò un fiotto di sangue, prima di cadere sulle ginocchia, la sua spada che colpiva la scalinata con un rumore metallico.

Respirava ancora, il sangue che colava sulla barba e gocciolava per terra. Sembrava che stesse cercando di capire cosa fosse successo, le braccia abbandonate sui fianchi e il respiro sempre più affannoso. Tekel lo osservava dall’alto verso il basso.

- Ho sempre creduto nel dialogo. Ma d’altronde, che fare con chi non ci crede? -

L’uomo lo guardava, gli occhi trasformati in pozzi di disperazione, senza le forze di reagire, di muoversi, neanche di parlare. Tekel fece riapparire la lama nera tra le mani, e gliela spinse con forza in un occhio, fino a farla spuntare, intrisa di sangue e materia organica grigiastra, tra i capelli rossi sulla nuca dell’uomo.

- Non dialogare

Il corpo dell’uomo cadde in avanti, atterrando con un colpo secco su un gradino, schizzando altro sangue. Tekel guardò il liquido che iniziava a colare, lentamente, giù dalla scala.

- Te l’avevo pur detto che questi scalini possono essere pericolosi – Tekel uscì dall’ailen. Si guardò in giro, ma le finestre degli edifici erano ancora buie, tutto era immobile e le fiaccole continuavano a bruciare.

Ora la veste portava i segni sia dello sporco della sua città, che dei suoi miserabili abitanti. Una macchia di sangue del rosso gli aveva imbrattato la manica destra. Il giorno seguente avrebbe servito i clienti – se miracolosamente ce ne fossero stati – in mutande, a quanto pareva. Sbuffò.

Guardò verso il ragazzino, che era rannicchiato contro il muro. Forse aveva esagerato, in effetti, ma l’aveva fatto per difenderlo. Giusto?

- Ragazzo, come…

Il ragazzo non si muoveva. Tekel si avvicinò, e si accorse che aveva gli occhi chiusi. Il suo petto si alzava e si abbassava lentamente. Era svenuto. Non era ferito, quindi non era stato l’impatto col muro.

Sospirò ancora, e lo prese in braccio.

E pensare che era stata una così bella serata.