Leonardo ha 19 anni e non sa bene verso quale direzione andrà la sua vita dopo il diploma. Raggiunge le sorella a Londra per studiare Economia, ma capisce subito che non è la sua strada. Torna in Italia e decide di studiare letteratura a Siena, ma qui non si integra, né con i coinquilini, né con i pur accoglienti colleghi, e tantomeno con i docenti, con i quali entra in rotta di collisione. Passa quindi un anno ondivago, immerso in una dimensione tutta sua, tra l’onirico e il metafisico, fino a un incontro con un amico di famiglia a Torino. Sarà l’occasione di un chiarimento definitivo?

Diciannove
Diciannove

Opera prima di Giovanni Tortorici, Diciannove è un film che racconta bene lo spiazzamento di quei periodi di passaggio, alla fine di un ciclo nel quale si sa cosa si era, e ci si approccia davanti all’ignoto, non sapendo bene cosa si vuole essere. Leonardo sa che deve fuggire da Palermo, da una madre ansiogena e oppressiva, ma non sa bene perché e cosa cercare. L’attore protagonista Manfredi Marini incarna totalmente il senso di confusione, ben trasmesso allo spettatore, ampliato da scelte registiche spiazzanti.

Leonardo condivide la sua inquietudine con gli anti-eroi della Nouvelle Vague, come una versione aggiornata di Antoine Doinel, non a caso alter ego di Truffaut come Leonardo lo è di Tortorici.

In un epoca di immagini rassicuranti nel cinema italiano,  Tortorici aggiunge un senso dell’immagine molto personale, una visione “sporca”, come in fondo è sporca e senza fronzoli la verità. 

Ed è questo che colpisce e resta dentro alla fine di Diciannove, l’idea di non aver assistito non a un arco narrativo ben costruito ma artefatto, ma di aver condiviso con il protagonista la parte necessaria a trasmetterci solo il momento, lasciando alle nostre considerazioni sia il percorso precedente che il successivo. Come spesso capita nella vita, con incontri con persone che poi non rivedremo più, perché la vita non conclude le sue sottotrame come le narrazioni.