Mickey Barnes deve lasciare velocemente la Terra perché uno strozzino sadico a cui deve dei soldi vuole farlo fuori. Andarsene però è difficilissimo e lui non ha particolari abilità spendibili su un’astronave alla ricerca di pianeti da colonizzare, ma ha i minuti contati ormai, così senza prestare troppa attenzione firma un contratto e si imbarca come expendable, ovvero un sacrificabile. Grazie a una stampante 3D il suo corpo può essere riprodotto infinite volte e la sua mente “salvata” in una sorta di backup con tutte le esperienze vissute, per poi essere installata nel nuovo contenitore. Una volta atterrati sul pianeta Mickey 17 subisce una rovinosa caduta, ma è salvato dalle creature indigene e quando rientra alla base trova a dormire nel proprio letto Mickey 18 stampato di fresco, uguale a lui ma con uno spirito più ribelle. La legge però è chiara: in caso di multipli tutte le coppie devono essere eliminate e la mente cancellata, ma i guai peggiorano quando Kenneth Marshall il proprietario dell’astronave e sua moglie Ylfa, non solo scoprono Michey e il suo doppio ma credono sia una buona idea sterminare tutti gli alieni.

Dopo l’enorme successo di Parasite, vincitore nel 2019 della Palma d’Oro e dell’Oscar, Bong Joon-ho con una pellicola liberamente ispirata al romanzo di Edward Ashton, torna alla fantascienza e a una produzione americana (dopo Snowpiercer). Mickey 17 presentato alla Berlinale 2025 fuori concorso nella sezione Special Gala, porta in scena molti dei temi frequenti nel cinema del regista coreano, in particolare quello della disuguaglianza sociale. Jooh-ho ha dichiarato di non essersi ispirato per la parte di Kenneth Marshall a nessun politico in particolare, ma non è difficile riconoscere echi, voluti o meno, di Donald Trump nell’politico/imprenditore a capo dell’astronave colonialista. D’altra parte è evidente che Mickey 17 voglia raccontare il presente e provi a farlo in modo stratificato.

Quella che racconta il film è una società in cui l’empatia è completamente assente e i poveri/lavoratori sono disposti e costretti a tutto pur di sopravvivere, diventando letteralmente spazzatura. Non solo i ricconi al vertice del potere se ne fregano come è assodato ormai avvenga, tanto che questi sono raccontati da Bong Joon-ho con grottesche parodie, ma le classi medie, diremo i cittadini comuni, lo accettano con naturalezza. Il regista mostra la ripetuta morte di Mickey con ironia, ottenendo però l’effetto di massima repulsione nei confronti di chi guarda ciò a cui è sottoposto nella totale indifferenza. Più che disgusto per il padrone/dittatore è verso tutti gli altri che autorizzano un sistema di sfruttamento totale, che va il biasimo dello spettatore ma non può condannare, come non lo fa Mickey, nessuno in particolare.

Che cosa renda unico un individuo è un altro dei temi affrontati, forse in modo più nascosto, in Mickey 17 che non riconosce se stesso nell’incontro con il suo doppio 18. Robert Pattinson è straordinariamente bravo grazie a  un lavoro sulla voce, a distinguere i due doppi che sono lo stesso individuo ma in momenti diversi della sua vita. La domanda che il film ci pone è: chi sono gli altri noi che ci hanno preceduto prima che diventassimo la persona che siamo oggi? Quanti siamo stati e chi saremo? Se ci mettessimo in relazione con il noi del passato ci riconosceremmo o ci piacerebbe ciò che vediamo?

Anche il colonialismo dell’uomo occidentale, sia verso la natura sia verso chi viveva in un luogo da prima, entrano in gioco in Mickey 17, in maniera didascalica un po’ alla Avatar, ma anche funzionale per la chiusura della storia. Un ottimismo quello dell’epilogo in linea con il tono da commedia della pellicola ma meno con il cinema di Bong Joon-ho, spesso cinico se pensiamo alle chiusure non solo di Parasite, ma anche di Memories of Murder o del bellissimo Madre.