Il padre dei gemelli Bill e Hal ha abbandonato da tempo la famiglia lasciando dietro di sé un armadio pieno solo di vecchie cianfrusaglie. La madre non sopporta quella robaccia, ma i due trovano in una scatola l’inquietante giocattolo di una scimmia che, con un caricatore a molla, suona un tamburello. Dopo aver girato il meccanismo i ragazzi non gli danno più peso, ma con la strana morte della loro babysitter capiscono che il giocattolo non è affatto innocuo come pensavano. Anche la madre cade vittima dell’oggetto demoniaco e i fratelli vengono affidati a una zia. Anni dopo Hal, che ha perso da molto tempo i contatti con Bill, riceve da questi una telefonata che lo avverte che la zia è morta. Nella cittadina stanno avvenendo stranissimi omicidi e forse il giocattolo che i due fratelli avevano buttato in un pozzo è tornato a mietere ancora delle vittime. Hal non vorrebbe essere coinvolto ma la scimmia è legata in maniera indissolubile alla sua famiglia e ciò mette in pericolo suo figlio Petey. 

Dopo il successo del cupo Longlegs, Oz Perkins torna al cinema con un film che non poteva interpretare l’horror in maniera più diversa. Già nell’incipit The Monkey dichiara il suo humor nero e la volontà di non prendersi sul serio, rielaborando un vecchio racconto di Stephen King della storica raccolta Scheletri, come se fosse un nuovo capitolo di Final Destination. Se in quella saga le morti erano bislacche in The Monkey il meccanismo è ancora più evidente, e il gore vira deciso verso la commedia, dimostrando che a Oz riesce benissimo (non è un caso che si regali un cameo perfetto). Con una consapevolezza evidente ma non compiaciuta il genere viene preso, smontato nei suoi meccanismi e rimontato per il divertimento dello spettatore, con una consapevolezza teorica e tecnica che rendono The Monkey lontanissimo dal banale horror per teen ager alla Smile, e molto più ricercato di Thanksgiving.

The Monkey
The Monkey

Dietro a una leggerezza nella sceneggiatura scritta sempre da Oz, c’è un gusto nel taglio delle inquadrature, nel montaggio e nell’idea di un’estetica che comprende luci e colori, e che percorre tutto il suo cinema. February – L'innocenza del male, Sono la bella creatura che vive in questa casa e Longlegs vedevano l’horror in chiave thriller e drammatica, tutti film legati a un’estetica estremamente ricercata che non manca in The Monkey, in cui l’azione non è affidata a un banale jumpscare ma a gag in stile “buccia di banana” con il morto. A dare la direzione alla pellicola aiuta anche il cast con la scelta di Christian Convery nel interpretare entrambi i gemelli da piccolo, ma soprattutto Theo James (Bill e Hal da grandi), che già nella serie The Gentlemen di Guy Ritchie aveva dimostrato di possedere il giusto aplomb, stando perfettamente a cavallo tra azione, dramma e commedia. 

Everybody dies, and that’s fucked up dice la madre ai gemelli dopo la prima morte, quella della babysitter, in un discorso che dovrebbe confortare due bambini ma che in realtà risulta agghiacciante, gettando una luce trasversale su The Monkey. Se è vero tutto ciò che è stato detto fino ad ora, bisogna anche riflettere sul fatto che, non può essere un caso, che l’unica morte davvero spaventosa di tutto il film sia quella della madre. Alla luce della biografia del regista si può leggere un messaggio nel film non così superficiale, in cui si dice che la fine arriva per tutti, per alcuni in modo sereno per altri in modo orribile. Come a dire che la scimmia c’è e non può essere eliminata, prima o poi suonerà, e l’unica cosa che può fare un padre è tenerla d’occhio e proteggere chi ama.