L'ispettore di polizia Kenichi Takabe, indaga su una serie di omicidi brutali e apparentemente scollegati tra loro. Ogni vittima è uccisa con la stessa modalità: una grossa "X" incisa sul collo. Tuttavia, i colpevoli vengono sempre trovati sulla scena, spesso in stato confusionale, senza alcun movente e incapaci di spiegare perché abbiano ucciso. Takabe è un uomo razionale ma è sotto pressione a causa della moglie, che soffre di crisi depressive e amnesie, e ciò lo rende sempre più instabile. Le indagini prendono una svolta quando emerge una figura misteriosa: un giovane di nome Mamiya, apparentemente affetto da una grave forma di amnesia. Sembra che, poco prima degli omicidi, l’uomo abbia avuto modo di parlare con i futuri colpevoli, guidandoli inconsciamente verso l’atto violento. Con l’aiuto di uno psichiatra, Takabe scopre che Mamiya potrebbe aver appreso tecniche ipnotiche avanzate attraverso antichi testi di mesmerismo, diventando così un catalizzatore per il male, capace di disintegrare l’equilibrio mentale delle persone e innescare in loro impulsi omicidi sopiti. Anche l’ispettore comincia a perdere il controllo e i confini tra il suo ruolo di investigatore e quello di potenziale vittima si fanno sempre più labili.

Sebbene sia spesso Ring (1998) di Hideo Nakata a essere considerato il capostipite del J-Horror moderno, Cure di Kiyoshi Kurosawa, lo precede di un anno e getta le basi più profonde del genere. Là dove la pellicola di Nakata lavorava sul folklore e la paura del soprannaturale, Kurosawa si concentrava invece sul male come parte insita della psiche umana. L’idea che sta alla base di Cure, è che chiunque può essere indotto a uccidere se privato della propria coscienza, motivo per il quale il film è stato paragonato a un saggio sull’identità, la volontà e il libero arbitrio. Mamiya non è un villain classico, ma un personaggio che distrugge l’identità altrui facendo leva sulle crepe già esistenti, mettendo le persone di fronte a un vuoto interiore che non sapevano di avere.

Non a caso lo stile scelto da Kurosawa è l’opposto del classico horror con jumpscare, poiché non usa effetti speciali, non c’è musica, le inquadrature sono lunghe e la camera spesso è fissa. Questo minimalismo visivo amplifica la tensione e porta lo spettatore a concentrarsi su ogni dettaglio amplificando un senso di inquietudine che cresce lentamente, e si insinua nella mente dello spettatore esattamente come fa Mamiya con le sue vittime. Tale angoscia si rispecchia nella stessa Tokyo che viene raccontata da Kurosawa come un luogo perduto, squallido e perennemente grigio, che consuma lentamente l’identità delle persone.

Cure è una pellicola cruciale perché ha trasformato l’horror in un mezzo di riflessione filosofica, spingendolo oltre i confini del genere per esplorare le zone oscure della mente e della società. Ha ispirato un’intera generazione di registi, in Giappone e nel mondo, introducendo temi che sarebbero diventati centrali nell'immaginario del XXI secolo: la dissoluzione dell’identità, la manipolazione psicologica, l’alienazione dell’individuo in ambienti spersonalizzati. Non è un film che colpisce con la paura tout court, ma con un'inquietudine profonda, che lavora sull’anima.

CURE - Trailer 4K

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