- Sinossi
- Il cinema di Christopher Landon: tra spaventi e risate
- Un White Lotus formato speed date
- In sala
- Finale
Sinossi
Nella Chicago dei giorni nostri è diventata molto popolare una applicazione del cellulare chiamata Digi-Drop. Funziona secondo criteri di geolocalizzazione simili a certe app per incontri: permette a chi la usa di inviare messaggi, filmati o foto a tutti coloro che l’hanno scaricata, a patto che l’invio avvenga entro un raggio di massimo 15 metri di distanza, anche in pieno anonimato. Viene usata per fare scherzi, ben sapendo che “il burlone” si trova nei paraggi e può essere velocemente individuato o tenuto lontano. Ovviamente la adorano i ragazzini. Ma è facile che ogni tanto si verifichino situazioni spiacevoli come quella che dovrà vivere la bionda Violet (Meghann Fahy), nel giorno del suo primo appuntamento al buio con il misterioso Henry (Brandon Sklenar).
Lei ha un tragico passato alle spalle, non si è arresa ma è diventata negli anni un po’introversa. Tende a vestirsi con abbinamenti orribili che la fanno sembrare un enorme lecca lecca e deve quindi essere supportata nelle scelte dalla sua sorella e babysitter personale Jen (Violette Beane). Aiuta professionalmente le donne vittime di abusi. Vive con suo figlio di dieci anni, Toby (Jabob Robinson), che ama i cavalieri, i popcorn e zia Jen: che lui chiama “zia spasso”. Arriva puntuale agli appuntamenti.

Il suo uomo del mistero è timido e sfiduciato dalle donne, dal mondo e dalla vita. Lavora come fotografo alle dipendenze dell’ufficio del sindaco, tende a scusarsi molto e arrivare tardi.
Si sono incontrati virtualmente per caso sui social e pur temendo di finire nelle fauci di un serial killer hanno prenotato per la serata un tavolo nell’esclusivo ristorante Palate: una bomboniera di marmo nero e oro illuminata da lampadari simili a bolle di sapone, situato negli ultimi piani di un palazzo lussuoso.
Al centro della sala, il bar gestito dalla ricciola Cara (Gabrielle Ryan) offre superalcolici, supporto psicologico e possibili vie di fuga nel caso l’incontro prenda una brutta piega.
Il pianista Phil (Ed Weeks) è un po’sopra le righe e ci prova con tutte le clienti, ma sa il suo mestiere e può suonare a richiesta la canzone-simbolo-ossessione di tutte le mamme single come Violet: Baby Sharks.
Il giovane Matt (Jeffrey Self) è un cameriere chiassosamente entusiasta e onnipresente, alla sua primissima serata e un po’timoroso di cosa ha previsto per lui quel giorno l’oroscopo, ma può soddisfare ogni tipo di richiesta.
La responsabile di sala (Niamh McHenry) ha un’aria professionale ma uno sguardo gelido e severo.
Agli altri tavoli si possono incontrare comitive di uomini d’affari asiatici, uomini soli che osservano il cellulare annegandosi nell’alcol (Travis Nelson), perfino un’altra coppia al primo appuntamento come Violet e Henry: anche se questa decisamente “male assortita”, per via di foto poco veritiere usate nei profili prima dell’incontro.
Henry, puntualmente in ritardo, appare dopo che Cara ha offerto il primo calice di vino rosso.
L’imbarazzo inizia a diradarsi, il tavolo prenotato gode di una finestra panoramica che domina tutto lo skyline, i grattacieli e la notte stellata.
Il cellulare di Violet vibra e “deve vibrare”, perché in caso di qualsiasi necessità Toby e Jen possano raggiungerla, ma a mandare gli ultimi messaggi c’è un estraneo che utilizza Digi-Drop.
Violet non ha mai installato Digi-Drop, ma può averlo fatto Toby o Jen.

Un ragazzino forse poco più grande di Toby, forse una “zia spasso” sotto mentite spoglie, inizia a mandare messaggi in modo piuttosto pressante. I tentativi di privacy di Violet vengono interrotti di continuo da meme, foto e frasi strane, progressivamente sempre meno ironiche. Di colpo arrivano le minacce e un filmato terribile dalle videocamere di sorveglianza della casa di Violet. Chi parla con lei tramite chat non è una persona amichevole.
Non lo è nemmeno l’uomo incappucciato e armato di coltello che ora si trova in cucina, a pochi metri da Jen e Toby. Se Violet cercherà di parlarne con qualcuno, con Henry, lo staff o la polizia, l’uomo nella chat dirà all’uomo incappucciato di agire. L’interlocutore misterioso, per “evitare il peggio”, ha delle richieste specifiche per Violet ed eventuali “punizioni” in caso di mancato adempimento. Qualcosa di terribile e indicibile.
Forse Violet non ha scampo e per salvare Toby e Jen non potrà che agire come un burattino nelle mani di uno sconosciuto.
Ma Digi-Drop è una applicazione che funziona solo a distanza di 15 metri e la sala del Palade è grossomodo di quella dimensione. Lo sconosciuto ricattatore è per forza qualcuno che Violet ha davanti ai suoi occhi al ristorante e forse, con un po’di strategia, può fermare.
Il cinema di Christopher Landon: tra spaventi e risate
Per la capacità di infondere nelle sue opere toni horror e commedia, legandoli insieme tra i colori e le suggestioni del cinema e della cultura pop, il regista, produttore e sceneggiatore Christopher Landon è oggi uno dei nomi più originali e amati del panorama horror moderno.
Dopo un paio di corti e la sceneggiatura di un interessante thriller che veniva scelto nella famosa “black list” (sceneggiature di nuovi autori) da Spielberg, Disturbia, dal 2007 al 2009 Landon assumeva il ruolo di consulente di produzione per la serie cult Dirty Sexy Money. Nel 2010 scriveva e dirigeva il suo primo film: Burning Palms, una pellicola a episodi carica di black humor, in cui le dinamiche e le “coltellate”, proprie del cinema horror-slasher degli anni ‘80 e ‘90, andavano puntualmente a fustigare un “American Way” che, tra buonismo e ipocrisie, appariva sempre più distante e scollegato dalla realtà. Le “vittima designate” erano più che altro i luoghi comuni in voga nella sorridente e superficiale West Coast in cui Landon era nato.
In Italia la pellicola purtroppo non sarebbe mai arrivata, ma era il primo segnale di uno stile personale che sarebbe andato con il tempo sempre più a definirsi.

Nel 2011 Landon entrava invece nel team di Paranormal Activity, come produttore e sceneggiatore fin dal capitolo 2, arrivando nel 2014 a dirigerne lo spin-off Il Segnato. Sceglieva per questo soluzioni narrative e visive peculiari, vicine al piccolo cult “Chronicle” di Josh Trank, ma al contempo non troppo distanti dalle “regole-base” della saga. Landon tratteneva un po’ la sua vena ironica, ma riusciva bene nell’intento di espandere l’universo creato da Oran Peli in direzioni del tutto nuove e sorprendenti.
Soprattutto, dopo Il segnato si era di nuovo innamorato della macchina da presa.
Se, scegliendo uno stile che citava gli antologici horror, in Burning Palms aveva messo alla berlina alcuni stereotipi dell’America più altolocata e patinata, ora le nuove vittime di Landon sarebbero state un altro simbolo molto forte di purezza e buoni propositi: i boy-scout.
Manuale scout per l’apocalisse zombie, del 2015, fondeva insieme la dilagante e inarrestabile “moda” degli zombie movie, con toni e personaggi che sembravano usciti dalle pellicole comico/generazionali dell’infanzia di Landon. Film con protagonisti il più giovane Bill Murray (Polpette, ma anche qualcosa di Stripes- Un plotone di svitati), Belusci la National Lampoon. Il risultato era esilarante e il film si trova oggi negli store online anche in italiano, in dvd, sebbene da noi uscì in sala del tutto in sordina.
Nel 2016 Landon tornò “all’horror puro”, scrivendo il pandemico Viral, diretto da Joost e Schulman: plumbeo, opprimente e che di fatto anticipò molti dei temi e paure che sarebbero diventati più familiari nel corso del Covid-19 ( si trova nel catalogo di Midnight Factory).

Nel 2017 diresse quello che sarebbe diventato il suo più grande successo, Auguri per la tua morte, scritto da Scott Londell. L’idea, folle quanto geniale, tornava idealmente “al cinema di Bill Murray” della sua infanzia: nello specifico a Il giorno della marmotta – Ricomincio da capo. Solo che questa volta era un Ricomincio da Capo fuso insieme allo slasher Scream di Wes Craven, con alcuni spunti pure da Ritorno al Futuro di Zemekis. Due film simbolo della cultura pop anni 89/90, innaffianti nelle atmosfere dello slasher ad ambientazione scolastica più pop in assoluto, con una protagonista fantastica, Jessica Rothe, “condannata a ripetere più volte”, gli ultimi giorni prima della sua morte, fino a che non in grado di scoprire l’identità di un assassino con una strana maschera. Il grande successo internazionale generò all’istante un sequel, questa volta scritto da Londell insieme a Landon, sempre per la regia di quest’ultimo.
Si vocifera vicina l’uscita di un terzo capitolo, già attesissimo da legioni di fan, ma Landon nel frattempo ha realizzato un altro film divertente e se vogliamo con una formula simile: Freaky.
Il riferimento è anche qui a una classica commedia degli anni ‘70, Freaky Friday, conosciuta da noi come “Tutto accade un venerdì”, con Jodie Foster e Barbara Harris.
Un film divertentissimo e ben orchestrato, che generò un filone infinito di commedie similari (tra cui Viceversa), nonché due suoi remake, uno con protagonista Jamie Lee Curtis (Quel pazzo venerdì). La trama vedeva le vite di una madre e di una figlia adolescente scambiarsi magicamente nell’arco di una notte, di fatto attraverso uno “scambio dei corpi”. La “variazione sul tema” di Landon vedeva il corpo di una ragazza adolescente scambiarsi con quello di un serial killer mascherato uscito dal classico horror slasher, qui interpretato da un Vince Vaughn davvero irresistibile.
Con Drop, Christopher Landon è intenzionato a tornare a farci ridere e terrorizzare insieme, come nel suo stile.
Un White Lotus formato speed date
Nel febbraio del 2024, dopo essere uscito con molto dispiacere dal progetto di Scream 7, Christopher Landon annunciava il suo coinvolgimento in un nuovo thriller per Blumhouse e Platinum Dunes. Protagonista assoluta la star di The White Lotus Meghann Fahy, candidata come miglior attrice non protagonista agli Emmy Awards del 2022, proprio per la sua performance durante la seconda stagione della serie tv antologica targata HBO. Trentaquattrenne, nata nella piccola cittadina di Longmeadow, in Massachusetts, la Fahy aveva deciso con Drop di partecipare a un classico “thriller old school”; ma se vogliamo l’intero progetto assomigliava già moltissimo, fin dall’inizio, a un “The white lotus in miniatura”.
Se la serie HBO raccontava di un resort di lusso, il White Lotus, al cui interno, nell’arco di una stagione vacanziera, si intrecciavano tra il thriller e il romantico le vite dei turisti e dello staff, Drop di Blumhouse e Platinum Dunes ci portava nel lussuoso ristorante Palate, dove nell’arco di un paio d’ore si intrecciavano, tra passione ma soprattutto tantissimi spaventi, le vite di una coppietta al suo primo appuntamento al buio, insieme alle vite degli altri presenti nel locale.

Un White Lotus “formato speed date”, in cui una tecnologia legata alle chat dei social fungeva da motore della suspense. Un meccanismo tecnologico-narrativo che per molti versi poteva apparire come una versione, aggiornata e “più sentimentale”, del thriller del 2014 Non-Stop, diretto da Jaume Collet-Serra. In quel caso i messaggi molesti/minacciosi/inquietanti da parte di uno sconosciuto arrivavano a un Liam Neeson passeggero su un volo di linea, forse anche lui diretto a un resort o a un appuntamento al buio… Ma tra gli sceneggiatori c’era sempre, come del resto c’è in Drop, Chris Roach. Un Chris Roach che aveva esordito come autore delle “trame” della World Wrestling Entertainment, che insieme a Jillian Jacobs, nel 2018, scriveva la sceneggiatura di uno dei più grandi e inattesi successi della casa di produzione fondata da Jason Blum. Il thriller che, sull’onda del successo dei film sulla tavola Ouija (prodotti da Platinum Dunes), declinava all’horror il celebre “gioco della bottiglia” delle feste del liceo: Obbligo o verità. A monte di giudizi della critica “ondivaghi”, per il film diretto da Jeff Wadlow si parlava di un budget di 3,5 milioni trasformati con il passaparola in 82,9 milioni al botteghino.
Intascato quel successo, Roach, Jacobs e il regista Wadlow vennero tutti imbarcati, sempre da Blumhouse, in un progetto che se volgiamo, almeno sulla carta, poteva assomigliare già a The white lotus: il remake cinematografico del 2020 della serie tv Fantasy Island. A monte di un giudizio della critica decisamente negativo, ma soprattutto a causa della chiusura delle sale per il COVID-19, da un budget “raddoppiato” a 7 milioni, motivato anche dalle riprese effettuate nelle isole Fiji, la pellicola macinò “solo” 47.3 milioni.

Dal 2020 al 2024, inizio della produzione di Drop, Roach e Jacobs erano rimasti in stand-by. Il regista Jeff Wadlow nel frattempo aveva invece realizzato il piuttosto controverso “horror sull’orsetto” Imaginary.
Messa al centro della produzione una attrice in ascesa come Meghann Fahy, attualmente nelle sale anche con Il bambino di cristallo (ma reduce anche dalla serie di successo The Perfect Couple del 2024 e già attesissima per la prossima serie tv Sirens, al fianco di Julianne Moore), Landon, Roach e Jacobs, con un budget di 10 milioni di dollari, avevano l’opportunità di collaborare insieme e iniziare le prime riprese in Irlanda, verso la fine di aprile 2024.
Molta importanza veniva data alla “caratterizzazione” del Palate: a tutti gli effetti un ambiente che diventa co-protagonista della vicenda. Per una fotografia in grado di valorizzare i dettagli veniva scelto l’esperto Marc Spicer (Escape Room 1 e 2, Lights Out). Per le scenografie, claustrofobiche e raffinate, è stata chiamata Susie Cullen (Abigail). Per un montaggio e una colonna sonora in linea con le opere “concitate e divertenti”di Lando, venivano richiamati suoi vecchi collaboratori come Ben Baudhuin ( Freaky, Viral, Auguri per la tua morte, ma pure Oculus di Flanagan e il folle action in prima persona Hardcore! di Ilya Naishuller) e Bear McCreary ( Auguri per la tua morte, Freaky, ma anche Demeter, La bambola assassina).

Come co-protagonista veniva scelto in prima battuta Brandon Sklenar, attore delle serie tv Westworld e 1923. Al cast si sono aggiunti poi Jeffery Self (nel ruolo del cameriere Matt), Gabrielle Ryan Spring (la barista Cara), Violette Beane (la “zia spasso”).
In sala
Drop rientra a pieno titolo in quella categoria di film in cui il protagonista si trova suo malgrado al telefono con “qualcuno di pericoloso”. Ci sono film dall’animo più action-thriller come Cellular di David R.Ellis, In linea con l’assassino di Schumacher, la saga di Die Hard di John McTiernan o la serie Taken prodotta da Besson. Ci sono film dall’animo più horror come Scream di Wes Craven o Quando chiama uno sconosciuto di Fred Walton. È un genere sconfinato che potremmo espandere a trame in cui l’interlocutore è soprannaturale (come in The Call, The Phone, The Ring, Black Phone), trame in cui la comunicazione avviene tramite una app misteriosa ( Bedevil, Countdown, Nerve), trame che riguardano le video-chiamate ( Smile, Unfriended, Friend Request, Host).

Christopher B.Landon però sa distinguersi all’interno dei film di genere: cavalcare i generi, destrutturarli e rileggerli gioiosamente in un modo molto personale. Giocando con sarcastico e black humor, senso dell’eccesso e sofisticato citazionismo. Spiazzando e scompigliando le regole del gioco in modo rispettoso e al contempo anarchico, Landon ama sorprendere e coccolare lo spettatore.
Tutte cose che si trovano felicemente anche in questo Drop.
Una struttura narrativa da thriller psicologico, crepuscolare e “pensoso”, ma che non disdegna l’idea di “trasformarsi e sfogarsi” in un action movie anni ’80. Personaggi mai unicamente decorativi, che sanno risultare, con poche riuscite battute, profondamente e amabilmente sfaccettati: buffi, romantici e inquietanti.
Una regia attenta e un montaggio ben ritmato sono in grado di rendere movimentato e carico di spunti originali un racconto che è ben oliato, pur se di fatto si svolge quasi in un unico (bellissimo) scenario.
La scrittura di Roach e Jacobs nelle parti “da commedia” risulta fresca anche grazie all’ottima direzione data agli attori e alla buona complicità che sembra essere nata tra gli interpreti sul set.
I momenti “thriller”, a contrasto dominati per lo più dai silenzi o da flashback carichi di urla e caos, riescono di contro a essere angoscianti e spiazzanti, caricando la storia di una tensione sempre ben gestita, mai “posticcia”.
I momenti più propriamente “action” sono mattissimi e fuori di testa.

Un plauso al modo in cui i “messaggi dello sconosciuto” interagiscono sulla scena: quasi “prendendone possesso” con caratteri grafici “enormi e freddi” che si dipingono sulle pareti del ristorante. Frasi dal sapore distaccato, crudelmente neutro, che contribuiscono a rendere ancora più alieno e inafferrabile lo “sconosciuto”: una creatura senza forma e senza una voce che ne sveli umori o intenzioni.
Drop diverte e spaventa, anche se forse da un marchio come Blumhouse qualcuno può ricercare dei toni horror o splatter che qui sono poco marcati o quasi assenti. La tensione e l’ironia di Landon a ogni modo non mancano.
Finale
Drop è una pellicola godibilissima che rilegge in modo originale e interessante il genere thriller, grazie a una messa in scena sempre accattivante, personaggi interessanti e un mix di generi cinematografici ben amalgamato. Bravi gli interpreti e tutto il cast tecnico.
Manca forse il guizzo di un’opera “davvero originale” e forse c’è troppo poco horror nella ricetta, ma ci sono tutti gli ingredienti giusti per divertire il pubblico in un’ora e mezza che vola in un attimo, trascinandoci su un divertente ottovolante di emozioni.
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