La scoperta risale al 1935, e già il periodo è quello del film di Peter Jackson. Lo scopritore ha un nome nobile, da aviatore della Prima Guerra Mondiale: Gustav Heinrich Ralph von Koenigswald, che di professione faceva il paleontologo.

Il tutto ha inizio in una farmacia di Hong Kong; gli sconvolgimenti politici che stanno attraversando la vecchia Europa sono lontani. Von Koenigswald, tedesco, lavora per il Governo Coloniale Olandese, per il quale ha redatto la carta geologica di Giava. E proprio su quell’isola, a Sangiran, ha scoperto da meno di un anno un importante sito paleontologico.

Deve essere piuttosto soddisfatto della sua carriera, mentre fa uno dei suoi soliti giri alla ricerca di ossa di drago, reperti fossili che, secondo la medicina cinese, hanno effetti curativi sull’organismo.

È allora che si trova di fronte a un molare grande quanto un bicchierino da grappa.

Questo fu l’inizio degli studi sul Giganthopithecus Blackii, una scimmia antropomorfa alta fino a tre metri e pesante sui 550 chili.

Per molti anni non si è saputo un granché su questo bestione, per via di una certa mancanza di reperti. Niente di strano: per centinai d’anni, in Cina, le ossa fossili sono state polverizzate con la convinzione che avessero poteri di guarigione.

Di recente, il reparto di geocronologia della McMaster University di Hamilton, in Canada, è riuscito a determinare che il nostro King Kong dagli occhi a mandorla visse nel Pleistocene: la sua storia evolutiva durò circa un milione di anni e si estinse intorno ai centomila anni fa.

Per un po’, quindi, convisse con l’Homo Sapiens. Da vittima, probabilmente, dato che lo scimmione si nutriva solo di bambù; e non è da escludere che i nostri antenati furono una delle cause della sua estinzione.

Niente tirannosauri a cui dare la colpa: erano spariti dalla faccia della terra già da un bel pezzo.