La scimmia bianca, completata la sua silenziosa azione di protesta, con una piroetta e un paio di capriole aveva riguadagnato la buca. Soffiai fuori il fiato che avevo trattenuto.
- Non è stato gentile da parte sua – mi apostrofò il Grande Verme, continuando a fissarmi con quei suoi occhietti di pulce. – Le serva da lezione per il futuro: dovrà imparare ad avere più rispetto per il popolo di sotto.
Ricordo che balbettai qualche scusa, ma senza riuscire a distogliere lo sguardo dalle odiate foglie d’autunno che si erano riappropriate del mio bel prato. Maledette! E maledetta anche la bertuccia!
- Alla buon’ora! – si risolse l’invertebrato. – Dimentichiamo questo spiacevole episodio e torniamo a noi. Mi diceva di Robert Peary e del dottor Cook.
- Sì, ma adesso, le foglie… Guardi che schifezza! – Scrutai febbrilmente fra l’erba, in cerca della fedele ramazza.
- Lasci perdere le foglie: se ne occuperà dopo – sollecitò in tono spazientito, autoritario. Ebbi di nuovo la tentazione di rispondergli per le rime e di piantarlo in asso, quel despota strisciante. Ma chissà perché, per l’ennesima volta, decisi per la stoica sopportazione; molto a malincuore, mi decisi a riprendere il filo di quella sorta di relazione dotta sulla questione della Terra Cava: – E va bene. Le racconto quello che so di Peary e del dottor Cook. Scoprirono entrambi nuove terre e si contesero il primato per aver raggiunto, primi uomini, il Polo Nord geografico. Peary, esperto esploratore, fra il 1905 e il 1906 aveva scoperto la Terra di Croker, e così nel 1908 s’avventurò in una seconda spedizione con l’intenzione di ritornarci; andò persino oltre, e riuscì a raggiungere il Polo Nord il 6 aprile del 1909. Al ritorno in patria, tuttavia, lo attendeva una sorpresa: Frederick Cook aveva guidato una spedizione segreta al Polo Nord nel 1907 e, seppure con un certo ritardo, dichiarò di averlo raggiunto il 21 Aprile 1908, il che voleva dire un anno prima di Peary. Le polemiche si trascinarono per molti mesi, ma ai fini del nostro argomento, poco importa stabilire chi dei due arrivò per primo; interessa, piuttosto, che Cook rese noto di aver localizzato a distanza, nell’avvicinarsi al Polo, una terra misteriosa di cui riportò anche testimonianze fotografiche, e di non essere riuscito, nel viaggio di ritorno, a rintracciarla.
- E qui, al mistero del miraggio si aggiunge un dilemma. Giusto? – intervenne il Grande Verme, strappando con la bocca una piantina dalle foglie frastagliate.
- Già. Molti si domandarono per quale ragione il Governo degli Stati Uniti avesse deciso di sovvenzionare una spedizione segreta al Polo; e si chiesero anche per quale motivo il dottor Cook, esploratore di notevole fama ed esperienza, avesse rischiato di giocarsi la reputazione, riferendo di quel miraggio manifestatosi, come egli stesso ammise, a distanza di molti chilometri. Sta di fatto che Cook non fu preso per visionario e che le sue rivelazioni, al contrario, furono tenute in debita considerazione, tanto che, successivamente, l’esploratore americano Donald Mac Millan guidò ben tre spedizioni per cercare nel bacino artico la fantomatica terra sconosciuta. Quelle sue missioni, tuttavia, non risultarono produttive.
Il Grande Verme sputò le foglie masticate, che evidentemente non erano risultate di suo gusto. Ma tu guarda! Non bastavano le stupide foglie di quercia a sporcare il mio bel prato! – E poi fu la volta dell’esploratore nordamericano Vilhjalmur Stefansson, l'uomo che rivoluzionò la tecnica esplorativa artica – disse.
- Quello che so di lui è che nelle circa settecento pagine del suo libro The Friendly Artic si cercheranno inutilmente descrizioni di situazioni estreme, di sforzi ai limiti della resistenza umana per combattere il ghiaccio, il freddo o la fame. Sembra che Stefansson, a differenza dei suoi predecessori, fosse riuscito a calarsi in una sorta di simbiosi con l’ambiente artico, fino ad allora considerato assolutamente inospitale, assumendo un atteggiamento non più di ostilità ma di adattamento. Nel libro ci racconta di come riuscisse a riconoscere le increspature dei ghiacci e sostentarsi facilmente con le risorse della regione attraversata, a viaggiare e a riposare sempre all’asciutto; a sopravvivere, insomma, senza particolari affanni.
Il presuntuoso mi strizzò l’occhietto nella solita espressione saputa. – E così a qualcuno venne il sospetto che Stefansson, magari senza rendersene conto, si fosse addentrato proprio nella strana terra di cui si ipotizzava… E di Wilkins che cosa mi racconta?
Sì, adesso te lo racconto, grosso verme gonfiato che non sei altro!, pensai. – Se ne parlò molto agli inizi del ‘900 – dissi, invece, con inflessione impersonale. Ero preda di un bizzarro status interiore: nutrivo un forte sentimento d’avversione nei confronti del lombricone indisponente, ma non mi riusciva d’esternare l’astio che mi ispirava. E sì che avrei voluto farlo, e in modo violento, anche. – Il Capitano Sir George Hubert Wilkins, australiano di origine, fantasioso e imprevedibile, portò a termine numerose esplorazioni, in aereo e in sommergibile; rilevò al Polo Nord le stesse anomalie territoriali e climatiche riferite da chi lo aveva preceduto, e decise di verificare eventuali analogie al Polo Sud. Organizzò due spedizioni nell’Antartide, una nel 1928, che si protrasse fino al 1929, e un’altra nel 1929, che proseguì fino al 1930, e riferì di avere riscontrato anomalie analoghe a quelle rilevate in territorio artico. Un certo Dumbrova, esploratore russo, dichiarò in proposito: “La memorabile scoperta, compiuta dal capitano Wilkins di una terra finora sconosciuta, al di là del Polo Sud, esige che la scienza riveda la concezione che, per centinaia di anni, si era fatta del profilo sud della Terra”.
L’invertebrato si pregiò di regalarmi una delle sue smorfie sapute. – Ed eccoci, finalmente, a Richard Evelin Byrd.
- Ho letto abbastanza sul Contrammiraglio, e so che è considerato, in qualche modo, il continuatore di Wilkins, del quale tenne in buon conto le scoperte. Dopo aver raggiunto in aereo, nel 1925, il Polo Nord, con una missione che gli procurò contestazioni ma anche l’appellativo di Eroe degli Stati Uniti, Byrd, come Wilkins, cambiò obiettivo e si dedicò all’esplorazione della distesa antartica. A una prima trasvolata del 1929, fece seguire, nel 1933, una spedizione molto ben organizzata, che durò tre anni e che poté contare sull’ausilio di valenti scienziati e di tecnici preparati. Questa missione è ritenuta da molti la fase spiritualistica del Contrammiraglio: per molti mesi visse in completo isolamento presso una stazione meteorologica, unendo all’interesse scientifico una forte spinta alla ricerca interiore; questo anelito d'accrescimento spirituale costituisce premessa e giustificazione per quanto rivelerà qualche anno più avanti. Sì, perché dopo una spedizione intermedia al Polo Sud del 1939, Byrd ne guidò una particolarmente imponente alla fine del 1946, che vantò l’impiego di circa 4700 uomini, tredici navi, una portaerei e molti aerei. Fu durante quella spedizione, nel febbraio del 1947, che David Eli Bunger, pilota di un idrovolante, individuò una vasta zona di terra libera dai ghiacci e con tracce evidenti di vegetazione e specchi d’acqua; planò su alcuni laghi e scoprì che l’acqua era salata e non molto fredda. La scoperta di quei territori, cui fu dato il nome di Oasi di Bunger, costituì avvenimento clamoroso e, in seguito ai bollettini della Marina americana, i giornali più importanti del mondo ne parlarono. Byrd, tuttavia, poco persuaso dal racconto, volle spingersi personalmente all’interno dell’Antartico; lo fece a bordo del suo aereo, in compagnia di un certo Howie che gli fece da secondo pilota. E, com’era uso, scrisse un dettagliato resoconto della missione, procurandosi, fra l’altro, notevoli problemi.
Il vermone stiracchiò gli anelli organici, nel movimento ondulante che avevo già conosciuto, e si sporse a sbirciare dalla parte del buco. Mi sembrò impaziente, come se si aspettasse di vedere qualcosa. – E così siamo giunti al punto, eh? Credo lei sia a conoscenza del fatto che il Contrammiraglio non aveva nessuna intenzione di renderlo pubblico, quel resoconto, probabilmente consapevole dei guai che la sua divulgazione gli avrebbe causato. Tant’è che ebbe l’accortezza di trascrivere le parti salienti della missione tra le pagine bianche del famigerato diario del 1925.
Brutto saccente! Mi aveva tenuto lì per ore a raccontare, e adesso stava tentando di rubarmi il finale. Questo no, non glielo avrei permesso. – Lo so benissimo. Fu un tale di nome Goerler, capoarchivista del Polar Byrd Research Center, dell'Università di Columbus nell’Ohio, che, nel sistemare il materiale delle spedizioni, scoprì le pagine nascoste. E la figlia di Byrd, Pauline, confermò il fatto che il Contrammiraglio era solito redigere diari accurati di tutti i suoi viaggi e che, guarda un po’, era proprio quello relativo alla spedizione del 1947 a mancare.
Il Grande Verme si sollevò un pochino sugli anelli e recitò a memoria: – "Devo scrivere questo diario di nascosto e in assoluta segretezza. Riguarda il mio volo antartico del 19 febbraio dell'anno 1947. Verrà un tempo in cui la razionalità degli uomini dovrà dissolversi nel nulla, e si dovrà allora accettare l'ineluttabilità della verità”.
- Ehi! L’ha imparato a memoria!
Il saccente abbandonò il temporaneo irrigidimento e tornò ad afflosciarsi sull’erba. – No, non tutto. Il resto dovrà leggerlo.
- Leggere cosa?
- Il diario di Byrd. Eccolo che arriva.
La bertuccia era ricomparsa, silenziosa e bianca come un fantasma, e recava un opuscolo dalla copertina in pelle scura. Aveva ancora stampato in viso un ghigno iroso e, quando mi allungò il libercolo, sollevai istintivamente la mano a proteggermi la testa.
L’invertebrato distorse il pertugio stretto che gli faceva da bocca in quel suo caratteristico sorriso sfottente. – Lo prenda, non abbia paura. Questa è la copia che conserviamo di sotto, epurata dalle inutili segmentazioni cronologiche tipiche dei diari di bordo e da altre imprecisioni che inquinano le vostre versioni. Cominci pure a leggere.
- Ma… insomma! Lo conosco. L’ho già letto, quel diario. – Dal mio status bino, l’esasperazione combatté strenuamente per sconfiggere l’atteggiamento accondiscendente. E perse anche quell’ultima battaglia. Così, presi il diario dalle mani del burbero primate e mi risolsi a leggere: – “Devo scrivere questo diario di nascosto e in assoluta segretezza. Riguarda il mio volo antartico del 19 febbraio dell'anno 1947. Verrà il tempo in cui la razionalità degli uomini dovrà dissolversi nel nulla, e si dovrà allora accettare l'ineluttabilità della Verità. Io non ho la libertà di diffondere la documentazione che segue, forse non vedrà mai la luce, ma devo comunque fare il mio dovere e riportarla qui con la speranza che un giorno tutti possano leggerla, in un mondo in cui l'egoismo e l'avidità di certi uomini non potranno più sopprimere la Verità.
19 febbraio 1947
- la preparazione per il nostro viaggio è completata, e siamo in volo con il pieno di carburante.
- aggiustato l'afflusso di carburante al motore destro e il “Pratt Whitneys” vola tranquillamente.
- controllo della posizione con il sestante, nuovo controllo della prua con la bussola, eseguito lieve cambio di direzione ed eccoci sulla rotta stabilita.
- controllo radio con il campo base: è tutto a posto e la ricezione è normale.
- si nota una lieve perdita di olio al motore destro, tuttavia l'indicatore della pressione sembra normale.
- notata una leggera turbolenza da est, a un’altitudine di 2321 piedi: correzione a 1700 piedi, la turbolenza cessa ma aumenta il vento in coda; piccolo aggiustamento della manetta, l'aereo procede ora normalmente.
- controllo radio con il campo base: situazione normale.
- incontrata nuova turbolenza, saliti a 2900 piedi di quota, di nuovo ottime condizioni di volo.
- distese di ghiaccio e neve sotto di noi, notate delle colorazioni giallognole con disegni lineari; notate anche colorazioni violacee e rossastre; controllata l'area con due giri completi e ritornati in rotta programmata; effettuato un nuovo controllo di posizione con il campo base e riportate le informazioni circa le colorazioni nel ghiaccio e nella neve sottostanti.
- sia la bussola magnetica che la girobussola cominciano a ruotare e a oscillare, non ci è possibile mantenere la nostra rotta con la strumentazione; rileviamo la posizione con la bussola solare, tutto sembra ancora a posto; i controlli sembrano lenti nel rispondere e nel funzionare, ma non c'è indicazione di congelamento.
- in lontananza sembrano delinearsi delle montagne.
- 29 minuti di volo trascorsi dal primo avvistamento dei monti, non si tratta di un'allucinazione: è una piccola catena di montagne che non avevo mai visto prima.
- cambio altitudine a 2950 piedi, incontrata di nuovo una forte turbolenza.
- stiamo sorvolando la piccola catena di montagne e procediamo, per quanto possiamo appurare, verso nord; oltre le montagne vi è ciò che sembra essere una vallata con un piccolo fiume o ruscello che scorre verso la parte centrale; non dovrebbe esserci nessuna verde valle qui sotto; c’è qualcosa di decisamente strano e anormale; dovremmo sorvolare solo ghiaccio e neve; sulla sinistra ci sono grandi foreste sui fianchi dei monti; i nostri strumenti di navigazione girano ancora come impazziti, il giroscopio gira avanti e indietro.
- modifico l'altitudine a 1400 piedi ed eseguo una stretta virata completa a sinistra per esaminare meglio la valle sottostante; è verde con muschio ed erba molto fitta; la luce qui sembra diversa; non riesco più a vedere il sole; facciamo un altro giro a sinistra e avvistiamo ciò che sembra essere un qualche tipo di grosso animale; assomiglia a un elefante; no, sembra essere un mammut; è incredibile eppure è così; scendiamo a quota 1000 piedi e uso il binocolo per esaminare meglio l'animale; è confermato, si tratta assolutamente di un animale simile al mammut; riporto questa notizia al campo base.
- incontriamo altre colline verdi: l'indicatore della temperatura esterna indica 24 gradi centigradi; ora proseguiamo sulla nostra rotta; gli strumenti di navigazione sembrano normali adesso; sono perplesso circa il loro comportamento; tento di contattare il campo base; la radio non funziona.
- il paesaggio sottostante è più livellato e normale; avanti a noi avvistiamo ciò che sembra essere una città; è impossibile! L'aereo sembra leggero e stranamente galleggiante; i controlli si rifiutano di rispondere. Mio Dio! Alla nostra destra e alla nostra sinistra ci sono apparecchi di uno strano tipo; si avvicinano e qualcosa irradia da essi; ora sono abbastanza vicini per vedere i loro stemmi: è uno strano simbolo; non lo rivelerò. È fantastico. Dove siamo? Cosa è successo? Ancora una volta tiro decisamente i comandi: non rispondono; siamo trattenuti saldamente da una sorta di invisibile morsa d'acciaio.
- la nostra radio gracchia e giunge una voce che parla in inglese con accento che sembra nordico o tedesco; il messaggio è: Benvenuto nel nostro territorio, Ammiraglio. Vi faremo atterrare esattamente tra sette minuti. Rilassatevi, Ammiraglio, siete in buone mani. Mi rendo conto che i motori del nostro aereo sono spenti; l'apparecchio è sotto uno strano controllo e ora vira da sé; i comandi sono inutilizzabili.
- riceviamo un altro messaggio radio; stiamo per cominciare la procedura di atterraggio, e in breve l'aereo vibra leggermente cominciando a scendere come sorretto da un enorme, invisibile ascensore.
- sto facendo un'ultima velocissima annotazione sul diario di bordo; alcuni uomini si stanno avvicinando ai piedi dell'aereo; sono alti e hanno i capelli biondi; in lontananza c'è una grande città scintillante, vibrante di tinte dei colori dell'arcobaleno; non so cosa succederà ora, ma non vedo traccia di armi su coloro che si avvicinano; sento una voce che mi ordina, chiamandomi per nome, di aprire il portellone; eseguo.
Da questo punto in poi scrivo gli eventi che seguono richiamandoli alla memoria. Ciò rasenta l'immaginazione e sembrerebbe una pazzia se non fosse accaduto davvero. Il tecnico e io fummo prelevati dall'aereo e accolti in modo cordiale. Fummo poi imbarcati su un piccolo mezzo di trasporto simile a una piattaforma ma senza ruote. Ci condusse verso la città scintillante con grande celerità. Mentre ci avvicinavamo, la città sembrava di cristallo. Giungemmo in poco tempo a un grande edificio, di un genere che non avevo mai visto prima. Sembrava essere uscito dai disegni di Frank Lloyd Wright, o forse più precisamente da una scena di Buck Rogers. Ci venne offerta una bevanda calda che sapeva di qualcosa che non avevo mai assaporato prima. Era deliziosa. Dopo circa 10 minuti, due dei nostri mirabili ospiti vennero nel nostro alloggio invitandomi a seguirli. Non avevo altra scelta che obbedire. Lasciai il mio tecnico radio e camminammo per un po’ fino ad entrare in ciò che sembrava essere un ascensore. Scendemmo per alcuni istanti, l'ascensore si fermò e la porta scivolò in alto silenziosamente. Procedemmo poi per un lungo corridoio illuminato da una luce rosa che sembrava emanare dalle pareti stesse. Uno degli esseri fece cenno di fermarci davanti a una grande porta. Sopra di essa c'era una scritta che non ero in grado di leggere. La grande porta scorse senza rumore e fui invitato a entrare. Uno degli ospiti disse: "non abbiate paura, Ammiraglio, state per avere un colloquio con il Maestro" Entrai e i miei occhi si adeguarono lentamente alla meravigliosa colorazione che sembrava riempire completamente la stanza. Allora cominciai a vedere quello che mi circondava. Ciò che si mostrò ai miei occhi era la vista più stupenda di tutta la mia vita. In effetti era troppo magnifica per poter essere descritta. Era deliziosa. Non credo che esistano termini umani in grado di descriverla in ogni dettaglio con giustizia. I miei pensieri furono interrotti dolcemente da una voce calda e melodiosa: "Le do il benvenuto nel nostro territorio, Ammiraglio". Vidi un uomo dai lineamenti delicati e con i segni dell'età sul viso. Era seduto a un grande tavolo. Mi invitò a sedermi su una delle sedie. Dopo che fui seduto, unì le punte delle sue dita e sorrise. Parlò di nuovo dolcemente e mi disse quanto segue: "L'abbiamo lasciata entrare qui perché lei è di nobile carattere e ben conosciuto nel Mondo di Superficie, Ammiraglio. Sì, lei si trova nel Mondo Sotterraneo della Terra. Non ritarderemo a lungo la sua missione, e sarete scortati indietro sulla superficie e un poco oltre senza pericolo. Ma ora, Ammiraglio, le dirò il motivo della sua convocazione qui. Il nostro interessamento cominciò esattamente subito dopo l'esplosione delle prime bombe atomiche, da parte della vostra razza, su Hiroshima e Nagasaki. Fu in quel momento inquietante che spedimmo sul vostro mondo di superficie i nostri mezzi volanti, i flugelrads, per investigare ciò che la vostra razza aveva fatto. Questa è ovviamente storia passata, Ammiraglio, ma mi permetta di proseguire. Vede, noi non abbiamo mai interferito prima d'ora nelle guerre e nella barbarie della vostra razza, ma ora dobbiamo farlo in quanto voi avete imparato a manipolare un tipo di energia, quella atomica, che non è affatto per l'uomo. I nostri emissari hanno già consegnato dei messaggi alle potenze del vostro mondo, e tuttavia esse non se ne curano. Ora voi siete stato scelto per essere testimone qui che il nostro mondo esiste. Vede, la nostra cultura e la nostra scienza sono avanti diverse migliaia di anni rispetto alle vostre, Ammiraglio". Lo interruppi: "Ma tutto ciò che cosa ha a che fare con me, Signore?". Gli occhi del Maestro sembrarono penetrare in modo profondo nella mia mente e dopo avermi studiato per un po’ rispose: "La vostra razza ha raggiunto il punto del non-ritorno, perché ci sono tra voi alcuni che distruggerebbero l'intero mondo piuttosto che rinunciare al potere così come lo conoscono". Annuì e il Maestro continuò: "Dal 1945 in poi abbiamo tentato di entrare in contatto con la vostra razza, ma i nostri sforzi sono stati accolti con ostilità: fu fatto fuoco sui nostri flugelrads. Sì, furono persino inseguiti con cattiveria e animosità dai vostri aerei da combattimento. Così ora, figlio mio, le dico che c'è una grande tempesta all'orizzonte per il vostro mondo, una furia nera che non si esaurirà per diversi anni. Non ci sarà difesa dalle vostre armi, non ci sarà sicurezza nella vostra scienza. Imperverserà fino a quando ogni fiore della vostra cultura sarà stato calpestato, e tutte le cose umane saranno state disperse nel caos. La recente guerra è stata soltanto un preludio a quanto deve ancora avvenire alla vostra razza. Noi qui possiamo vederlo chiaramente a ogni ora. Crede che mi sbagli?". "No,” risposi, “è già successo una volta in passato; giunsero gli anni oscuri e durarono per cinquecento anni". "Sì, figlio mio, gli anni oscuri che giungeranno ora per la vostra razza copriranno la terra come una coltre, ma credo che qualcuno di voi scamperà alla tempesta, oltre questo non so. Noi vediamo in un futuro lontano riemergere, dalle rovine della vostra razza, un mondo nuovo, in cerca dei suoi leggendari tesori perduti, ed essi saranno qui, figlio mio, al sicuro in nostro possesso. Quando giungerà il momento ci faremo nuovamente avanti per aiutare la vostra cultura e la vostra razza a rivivere. Forse per allora avrete appreso la futilità della guerra e della sua lotta. E dopo quel momento, una parte della vostra cultura e scienza vi saranno restituite, così che la vostra razza possa ricominciare. Lei, figlio mio, deve tornare nel Mondo di Superficie con questo messaggio".
Con queste parole conclusive il nostro incontro sembrava giunto al termine. Per un attimo mi sembrò di vivere un sogno, eppure sapevo che quella era la realtà, e per qualche strana ragione mi inchinai lievemente, non so se per rispetto o umiltà. Improvvisamente mi resi conto che i due fantastici ospiti che mi avevano condotto qui erano di nuovo al mio fianco. "Da questa parte, Ammiraglio", mi indicò uno di loro. Mi girai ancora una volta prima di uscire e guardai indietro verso il Maestro. Un dolce sorriso era impresso sul suo anziano viso delicato. "Addio, figlio mio", mi disse, e fece un gesto soave con la sua esile mano, un gesto di pace, e il nostro incontro ebbe definitivamente termine. Uscimmo velocemente dalla stanza del Maestro attraverso la grande porta ed entrammo ancora una volta nell'ascensore. La porta si abbassò silenziosamente e ci muovemmo subito verso l'alto. Uno dei miei ospiti parlò di nuovo: "Ora dobbiamo affrettarci, Ammiraglio, in quanto il Maestro non desidera ritardare oltre il vostro programma previsto e dovete ritornare dalla vostra razza con il suo messaggio". Non dissi nulla, tutto ciò era quasi inconcepibile, e una volta ancora i miei pensieri si interruppero non appena ci fermammo. Entrai nella stanza e fui di nuovo con il mio tecnico radio. Aveva un'espressione ansiosa sul volto. Avvicinandomi dissi: "È tutto a posto Howie, è tutto a posto". I due esseri ci fecero segno verso il mezzo in attesa, salimmo e presto giungemmo al nostro aereo. I motori erano al minimo, e ci imbarcammo immediatamente. L'atmosfera era ora carica di una certa aria di urgenza. Dopo che il portellone fu chiuso, l'aereo fu immediatamente trasportato in alto da quella forza invisibile fino a quando raggiungemmo i 2700 piedi. Due dei mezzi aerei erano ai nostri fianchi, a una certa distanza, facendoci planare lungo la via del ritorno. Devo sottolineare che l'indicatore di velocità non riportava nulla, nonostante ci stessimo muovendo molto rapidamente.
Ricevemmo un messaggio radio: "Ora vi lasciamo, Ammiraglio, i vostri controlli sono liberi”. Guardammo per un istante i flugelrads fino a quando non scomparvero nel cielo blu pallido. L'aereo sembrò improvvisamente catturato da una corrente discensionale. Ne riprendemmo immediatamente il controllo. Non parlammo per un po’, ognuno di noi era immerso nei propri pensieri.
- sorvoliamo nuovamente distese di ghiaccio e neve, a circa 27 minuti dal campo base; inviamo un messaggio radio, ci rispondono; riferiamo di condizioni di volo normali; dal campo base esprimono sollievo per aver nuovamente stabilito il contatto; atterriamo dolcemente al campo base; ho una missione da compiere.
11 marzo 1947
Ho appena avuto un incontro con lo Stato Maggiore al Pentagono. Ho riportato interamente la mia scoperta e il messaggio del Maestro. È stato tutto doverosamente registrato. Il Presidente ne è stato messo al corrente. Vengo trattenuto per diverse ore (6 ore e 39 minuti per l'esattezza). Sono accuratamente interrogato dal Top Security Forces e da un'équipe medica. È un travaglio! Vengo posto sotto stretto controllo attraverso i mezzi di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti d'America. Mi viene ordinato di tacere su quanto appreso, per il bene dell'umanità. Incredibile! Mi viene rammentato che sono un militare e che quindi devo obbedire agli ordini
30 dicembre 1956
Questi ultimi anni trascorsi dal 1947 a oggi non sono stati buoni. Ecco dunque la mia ultima annotazione. Concludendo, devo affermare che ho doverosamente mantenuto segreto questo argomento, come ordinatomi, durante tutti questi anni. Ho fatto questo contro ogni mio principio di integrità morale. Ora sento avvicinarsi la grande notte e questo segreto non morirà con me, ma, come ogni verità, trionferà. Questa è la sola speranza per il genere umano. Ho visto la verità ed essa ha rinvigorito il mio spirito donandomi la libertà. Ho fatto il mio dovere nei confronti del mostruoso complesso industriale militare. Ora, la lunga notte comincia ad avvicinarsi, ma ci sarà un epilogo. Come la lunga notte dell'antartico termina, così il sole brillante della verità sorgerà di nuovo, e coloro che appartengono alle tenebre periranno alla sua luce. Perché io ho visto quella Terra oltre il Polo, quel Centro del grande Ignoto”.
- Bene – disse il Grande Verme, che stranamente non aveva mai interrotto la lettura. – Si potrebbe aggiungere che Richard Evelin Byrd, prima di morire, a cavallo fra il 1955 e il 1956, organizzò la sua quinta spedizione nell'Antartico, e che pur non portandola a termine, riuscì comunque a completare un'altra missione aerea e a penetrare nel mondo sotterraneo per la seconda volta. I giornali dell’epoca ne diedero notizia. Ma mi sembra che a questo punto il quadro sia già abbastanza completo.
Pensai che, finalmente, fosse arrivato il momento di prendermi una piccola rivincita. – Le ho riferito quanto sapevo sulla Terra Cava. Adesso tocca a lei, che sostiene di venire dal mondo sotterraneo, raccontare la sua verità. E’ quello che aveva promesso, se non sbaglio.
L’invertebrato, preceduto dal primate candido, incominciò a strisciare in direzione della buca, trascinando gli anelli organici con un movimento a fisarmonica. – Certo, è giusto. Vuole conoscere la verità? Venga, le faccio vedere.
La scimmia, che non aveva mai addolcito l’espressione di sdegno, s’infilò per prima nell’apertura. Sparì per un attimo, ma poi testa e busto rispuntarono, procurandomi un sobbalzo. Reggeva qualcosa nelle palme a coppa: una manciata di foglie d’autunno e una pagina di giornale accartocciata; mi fulminò con un’ennesima occhiataccia, gettò foglie e rifiuto sul prato e si precipitò a testa in giù nel buco.
- Eh, l’ha resa davvero furiosa! – commentò l’esca per balene, scuotendo il testone.
- Sì, d’accordo per le foglie, ma con il giornale io non c’entro – puntualizzai.
- Non dia retta e guardi nel buco, piuttosto. – Dovette notare la mia esitazione, poiché subito dopo aggiunse: – Non tema, a quest’ora è già lontana.
Mi chinai a sbirciare.
- Vede?
- Che cosa dovrei vedere? Non vedo proprio un bel niente!
- Si sporga di più – consigliò il Grande Verme.
Mi sporsi e strinsi gli occhi, cercando di perforare il buio, ma continuavo a non distinguere nulla. Così mi sporsi ancora un po’. E poi ancora di qualche centimetro. Con l’antipatico che mi incalzava. Fin quando l’equilibrio si fece precario e il mio stesso peso mi trascinò nell’apertura. A testa in giù. Come la bertuccia. Di quello che accadde dopo, ricordo solo il buio che mi veniva incontro.
Ecco, è così che andò quella volta con il Grande Verme. E non c’è molto altro da raccontare se non che, quando ripresi i sensi, mi ritrovai riverso in una fossa poco profonda e senza sbocchi di sorta. Dentro c’erano pietre puntute, alcune delle quali macchiate di sangue. Le tempie mi martellavano e quando passai la mano sulla nuca anche quella si sporcò di sangue rappreso. Mi tirai su a sedere e attesi che il cervello mi si schiarisse. Cosa diavolo poteva essere successo? C’era un’unica spiegazione: dovevo aver inciampato malamente e, cadendo, dovevo aver battuto la testa contro le pietre nella fossa… E così mi ero sognato tutto, l’incontro con il Grande Verme, l’ira della bertuccia e il resto. Mossi lo sguardo dintorno, animato da un’improvvisa speranza. Macché! Le foglie d’autunno, quelle maledette, non me le ero sognate, erano tutte lì a schernirmi e a sporcare il mia amata erbetta. E tuttavia, fra l’abominio color ocra, c’era un particolare più stonato che mi dava da pensare: un pezzo di giornale accartocciato. Lo raccolsi e lo spiegai. Doveva trattarsi della pagina consunta di una qualche rivista scientifica, e l’articolo che la riempiva era quasi completamente illeggibile. A eccezione di un trafiletto che, fra le colonne di testo sbiadite, risaltava nitido come un’oasi d’inchiostro:
Con grande sconcerto del mondo scientifico, le telecamere AVCS del satellite meteorologico ESSA 7 hanno effettuato, in corrispondenza del Polo Nord geografico, riprese ottiche di un’apertura oscura sul ghiaccio, di diametro valutabile nell’ordine dei 2300 chilometri. Il foro, che nelle prime immagini appare nitido, risulta nelle riprese successive più evanescente, fino a non mostrare più confini ben delineati. La sonda ESSA 7 era stata lanciata dalla NASA, in orbita polare, il 16 Agosto 1968. A commento della notizia, ricercatori sovietici dichiarano di essere già in possesso da tempo di immagini analoghe.
Tutto qui. Come ho già detto, in quella pagina consunta non si riusciva a leggere altro.
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