L’orrore del cannibalismo
Esistono tutta una serie di testimonianze, nella storia dell’uomo, di come la pratica del cannibalismo possa suscitare il fascino perverso dell’orrido. Pensiamo al Titano Crono, nella mitologia greca, che mangia i suoi figli, o al Conte Ugolino della Divina Commedia di Dante. Nel mondo moderno, il cannibale più famoso della letteratura è lo psichiatra-serial killer Hannibal Lecter, nato dalla penna di Thomas Harris.
Major H. Long, un esploratore dell’Esercito degli Stati Uniti, riporta una chiara testimonianza in un suo scritto del 1823. Prima asserisce che un altro nome per definire il cannibale è Wâdigó, poi racconta di una tribù di indigeni che viveva intorno al 1811 in una località chiamata Band of the Crossridge, in tutto una quarantina di individui. Inverno e carestia fecero diminuire il loro numero e i superstiti cominciarono ad alimentarsi coi corpi dei defunti. Alla fine fu trovata solo una donna, accanto ai cadaveri del marito e dei figli, dei quali aveva già cominciato a cibarsi.
La tribù che in seguito la prese con sé, dichiarò di credere che chi si ciba una volta di carne umana poi non riesce più a smettere; uccisero la donna, bruciandone poi il cadavere.
La cultura dei Nativi Americani sembra essere molto sensibile al tema del cannibalismo, mai visto come l’atto di un essere disperato ma sempre come una sorta di malattia cronica, di cui il Wendigo è la personificazione.
Il famoso geologo-paleontologo James Carnegie, Conte di Southesk, durante il suo viaggio attraverso le montagne rocciose fra il 1859 e il 1860, assistette a una cerimonia in cui un indiano Salteaux fu sepolto vivo perché accusato di cannibalismo. Pare che non mangiasse da giorni e manifestasse un forte desiderio di assaggiare carne umana. Dopo la morte del poveretto, la tribù ne bruciò le ceneri.
Tutto questo lo apprendiamo dal diario dello studioso.
Le testimonianze di episodi del genere sono numerose e alcune di esse sono da considerarsi attendibili. I colonizzatori bianchi hanno sempre avuto la tendenza a credere alla leggenda, pur sentendosene inizialmente immuni. Ma col passare del tempo anche loro hanno dovuto ricredersi.
Famosa e largamente documentata è la vicenda di un commerciante della baia di Hudson, Charles Janvier, che nel 1799 uccise e mangiò le guide indigene durante uno dei suoi viaggi.
Gli studiosi hanno classificato la cosa come Psicosi del Wendigo, una malattia psichica cui sono soggetti soprattutto gli individui di lingua algonchina, per motivazioni legate a fenomeni di suggestione psicologica. Ma i sintomi della psicosi, schizofrenia, comportamento antisociale estremo, desiderio di mordere gli altri esseri umani, vengono accostati alla licantropia degli europei, spesso fatta coincidere con la rabbia.
Gli anni settante registrarono uno scoppio di casi, in Canada e Minnesota.
Ma c’è davvero?
I paleoantropologi sono tutti d’accordo: al di là dell’homo sapiens, non ci sono testimonianze fossili di scimmie antropomorfe vissute in Nord America o Canada in tempi tali da poter ragionevolmente pensare che siano sopravvissute fino ai giorni nostri.
Le leggende e i presunti avvistamenti di giganteschi esseri semi-umani sono numerosi in questa parte del mondo tanto quanto lo sono in Europa. Non si parla di Yeti ma di Bigfoot, Sasquatch o un po’ più in basso, verso la Florida, di Skunk Ape.
Per alcuni, la leggenda del Wendigo potrebbe essere l’ulteriore prova dell’esistenza di una creatura antropomorfa nel Nuovo Mondo.
Fra questi ci sono i criptozoologhi Patick Huyghe e Loren Coleman. Secondo il loro libro The Field Guide To Bigfoot, Yeti, And Other Mystery Primates Worldwide, il Wendigo è un primate violento incline all’omicidio e alla mutilazione, appartenente a una specie originaria della Mongolia e imparentata col Sasquatch quanto l’homo sapiens lo è col neanderthal.
Una curiosa testimonianza arriva da Theodore Roosevelt (1858-1919), già presidente degli Stati Uniti, che nel suo libro Hunting Trips of a Ranchman & the Wilderness Hunter del 1885, racconta dell’uccisione di un suo compagno di caccia, tale Bauman, sventrato da un essere mezzo uomo mezza bestia che ha lasciato sul collo del poveretto i quattro fori delle zanne.
Tutte le facce del Wendigo
Inutile dire che una creatura accattivante come il Wendigo ha finito per esser protagonista di tutta una serie di opere letterarie e cinematografiche.
La sua prima apparizione fra le pagine di un libro dovrebbe risalire al racconto The Wendigo dello scrittore horror Algernon Blackwood (1869-1951), pubblicato nel 1910 su The Lost Valley and Other Stories. Qui il nostro mostro è un demone fatto vento e ghiaccio, più simile a uno spirito che a una creatura animale. Purtroppo non ci sono traduzioni italiane recenti del lavoro di Blackwood.
Ci sono stati adattamenti a fumetti negli anni quaranta e una piccola serie televisiva negli anni sessanta.
Marvel Comics ha attinto a piene mani nella leggenda del Wendigo, dando sempre un’interpretazione antropomorfa del mostro. Il brutale personaggio ha più volte incrociato gli artigli con un altro canadese ben più famoso: Wolverine. Proprio nella storia d’esordio di quest’ultimo, un albo di Hulk datato 1974 e firmato da Len Wein e Herb Trimpe, faceva la sua apparizione il Wendigo.
Nel 2001 è stato prodotto un film horror intitolato Wendigo, per la regia di Larry Fessenden (Chinatown). Fra gli interpreti Patricia Clarkson (Dogville) e Jake Weber (Amistad). Nella pellicola il Wendigo è lo spirito di un nativo americano assetato di sangue. Nel 2002 Fessenden ha diretto anche un documentario intitolato Searching for the Wendigo.
L’Insaziabile, del 1998, con Robert Carlyle (Trainspotting) e Guy Pearce (Memento) diretti da Antonia Bird (The Amburg Cell), contiene elementi tipici della leggenda del Wendigo, benché non ci sia nessuna trasformazione da effetti speciali hollywoodiani.
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