"Il Prigioniero", disse l'uomo in nero. "Dà un po' i brividi, vero?"
"La Signora delle Ombre", annunciò l'uomo in nero. "Ti dà l'impressione che abbia due facce, pistolero? E' così."
"La Morte", disse semplicemente l'uomo in nero. "Ma non per te".
Avevamo lasciato L'ultimo cavaliere addormentato in riva a una spiaggia, ed è lì che lo ritroviamo in questo secondo episodio della serie horror-fantasy di Stephen King, che ha appassionato e sta appossionando milioni di fans in tutto il mondo. La Torre Nera è più vicina e gli sprazzi di ka indicati dai tarocchi dell'uomo in nero svelano a Roland la strada da seguire: organizzare un piccolo esercito e partire per un lungo viaggio verso il centro di tutto. Il mondo del pistolero si fonde con il nostro in modo agghiacciante quando la prima chiamata giunge a Eddie, un eroinomane degli anni '80. Lui è il Prigioniero. In pieni anni '60, invece, Roland va a prendere Susannah, un'invalida che soffre di sdoppiamento della personalità, la Signora delle Ombre.
King si stacca dall'ambientazione western-fantasy pura del primo romanzo per creare una commistione assolutamente impeccabile, inserendo nella storia personaggi comuni, disadattati nel mondo reale con un grande compito nel mondo parallelo.
In realtà in La chiamata dei tre quasi nessuno degli interrogativi suscitati nel precedente romanzo trova una sua risposta. L'unica certezza è che l'avventura si preannuncia di dimensioni enormi, ma l'incredibile periodo di grazia dell'autore (fine anni '80) ci fa apparire tutto questo come una benedizione. Sono quattrocento pagine che si leggono d'un fiato, piene di curiosità e di coinvolgimento per le avventure (spesso dolorose) del cavaliere errante.
Nella prefazione, scritta appositamente per le nuove edizioni dei romanzi della saga, che Sperling ha ripubblicato in attesa dei tre capitoli conclusivi, l'autore racconta come nasce l'idea della Torre e proprio in La chiamata dei tre si riesce ad apprezzarne maggiormente il senso. Negli anni '70 il romanzo che influenzò un po' tutti gli autori di genere fu (manco a dirlo) il capolavoro di Tolkien. Alcuni, come Terry Brooks, ne seguirono le orme dando vita a opere molto simili (nei casi peggiori mediocri brutte copie); altri, come King, si accorsero del rischio e preferirono aspettare l'idea originale. In questo caso la grande passione per i film di Sergio Leone fornì quel particolare che ha reso La Torre Nera una saga di straordinaria originalità. Il western fuso al fantasy e il nostro mondo fuso con quello di Roland danno vita a un'ambientazione suggestiva; lo stile dell'autore e la sua capacità di caratterizzare i personaggi come pochi altri autori sanno fare danno spessore alla storia; il mistero della Torre e del destino dell'umanità, infine, mette nello sfondo quel poetico senso di grandiosità che ci fa bramare il capitolo successivo, fino alla fine che è sempre più vicina (I lupi del Calla, quinto dei sette romanzi, è uscito in questi giorni in libreria).
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