Il mondo di Athas è un susseguirsi di lande desolate, deserti infuocati e sterminate pietraie roventi negate agli uomini e regno di creature innominabili. Isolate città stato, rette da sovrani dispotici, sorgono a grande distanza le une dalle altre e governano aridi imperi.
In una di esse, la città di Tyr, Kalak, un immortale re-stregone, ha instaurato un regno millenario che, un tempo imponente, è ormai fondato sull’esercizio sistematico della violenza al servizio della sanguinaria sete di potere del sovrano. La pratica della magia, il cui utilizzo incontrollato sottrae sempre maggiore energia vitale al pianeta, è concessa soltanto all’imperatore e ai suoi fedelissimi, la schiavitù è una prassi usuale, la popolazione è vessata dalle opprimenti leggi poste in atto dai Templari - il corpo speciale delle milizie imperiali.
Questa imponente struttura tirannica, però, è ormai fiaccata nelle fondamenta. Sette segrete, mosse da ideali di libertà, tramano contro l’impero, il malcontento serpeggia tra le classi meno abbienti di una popolazione ormai spossata, Tyr è sull’orlo della rivoluzione.
Toccherà allora a un manipolo di eroi cercare di porla in atto. Un ricco senatore mosso da nobili ideali e possessore dei segreti della Via, l’arte psionica che dona incredibili poteri, un gladiatore appartenente alla razza dei Mul, metà uomini e metà nani, allevati per combattere nell’arena in virtù della straordinaria forza fisica e un’affascinante maga mezzelfa decideranno di dar voce alla loro disperazione.
Il Passaggio Smeraldo, primo libro della “Pentalogia del Prisma”, è l’ennesima trasposizione romanzata di un’ambientazione del gioco di ruolo Advanced Dungeons & Dragons, la celebre Dark-Sun. Gli esiti di queste operazioni sono stati spesso discutibili, soprattutto per via degli autori di scarso talento alle quali sono state affidate troppe volte. In questo caso il discorso è, almeno parzialmente, diverso. Troy Denning non è certo un maestro, i suoi limiti stilistici emergono infatti con evidenza in molte parti del romanzo, però ha dei meriti che gli devono essere riconosciuti.
In primo luogo la vitalità con la quale rende un’ambientazione piuttosto originale, caratterizzata anche da alcuni tratti che, non me ne vogliano gli appassionati di storia (tra i quali penso peraltro di potermi annoverare), possono lontanamente rimandare all’antico Egitto. La città di Tyr, il mondo nel quale sorge, le numerose razze che la popolano, la sua organizzazione politica, sono tutti elementi resi vivi con buona dovizia di particolari nonostante la brevità del romanzo. Un romanzo di 253 pagine è infatti una rarità nel panorama della letteratura fantasy ma, tutto sommato, questo può costituire un incentivo a prendere tra le mani un libro che si può leggere davvero in pochissimo tempo.
In secondo luogo si deve evidenziare un elemento strettamente connesso proprio alla brevità: il ritmo incessante con il quale si sviluppa l’intreccio. L’azione non conosce pause, macchinazioni politiche si susseguono a combattimenti cruenti, catturando il lettore e catapultandolo in un vortice di eventi che, a dir la verità, sfociano in un finale anche troppo approssimativo e, per certi versi, ingenuo.
C’è poi da segnalare il modo in cui opera la magia nel mondo di Athas. Il potere viene tratto dalla vita o, per meglio dire, dalle sue forme, in particolare dalle piante. Ed è proprio questa una delle cause che ha ridotto il pianeta a un enorme deserto. Infatti, l’utilizzo indiscriminato del proprio potere ha portato i maghi a consumare la forza vitale della terra, nella quale solo poche, resistentissime specie vegetali riescono a prosperare. Accanto a questo tipo di magia trova poi posto un potere del tutto diverso; la Via, la potente arte psionica che si può governare, attingendo all’energia interiore del nexus, solo grazie a un durissimo addestramento e a una ferrea disciplina.
Mi preme ora sottolineare un ultimo aspetto. Il Passaggio Smeraldo è sì il primo libro di una serie di cinque, ma è anche una storia in tutto e per tutto “autoconclusiva”. Il finale, e questo è ovvio, lascia aperte le porte a sviluppi successivi, ma chi legge questo romanzo non è poi necessariamente costretto a comprare gli altri quattro per sapere come va a finire il tentativo di rivoluzione innescato dai tre protagonisti
A questo libro, dunque, non mancano le caratteristiche in grado di catturare l’attenzione di tutti gli appassionati, non solo degli amanti dei giochi di ruolo e della vecchia ambientazione in particolare. Ma, purtroppo, non manca neanche la - sempre presente - sensazione che si poteva fare di meglio con il materiale a disposizione. Lo stile di Denning appare spesso troppo grossolano, i personaggi sono, generalmente, poco rifiniti e alcuni eventi vengono scarsamente approfonditi, quasi strappati via senza che gli venga concesso lo spazio dovuto.
Alla luce di queste ultime considerazioni un buono può sembrare un giudizio eccessivamente benevolo. Voglio però mettere in risalto la leggibilità di un libro che resta comunque piacevole, al di là degli evidenti difetti, nella speranza che i volumi successivi possano migliorare, dove necessario, salvaguardando quanto di buono è stato fatto in questo primo volume. Faccio questo, peraltro, nella piena consapevolezza di essere un po’ largo di maniche.
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