Siamo in un universo immaginario, simile all’Europa centrale del 1850, governato da un re durante un periodo di guerra.
E’ questo lo scenario che fa da sfondo alle vicende di Sophie, una ragazzina dai capelli rossi impiegata in un negozio di cappelli, che il bello, giovane e vanitoso mago di Howl salva dalle grinfie di due militari e allo stesso tempo condanna alla maledizione della vecchiaia.
La perfida Strega delle Lande Desolate, infatti, equivocando sulla natura del rapporto fra i due giovani, la trasforma in una vecchina, un incantesimo che non può essere sciolto da un umano.
Solo il grande mago di Howl, che vive in un bizzarro castello errante, può porre rimedio
Nella sua ricerca Sophie libera uno spaventapasseri dalla buffa testa di rapa (Kabu, rapa, appunto), che conduce fino a lei il castello errante; fa la conoscenza con lo spirito demoniaco Calcifer, custode e motore del castello, con il quale Howl ha stretto un patto, e decide di autoassumersi come donna delle pulizie.
Hauru no ugoku shiro, in Italia Il castello errante di Howl, è tratto dall'omonimo romanzo della scrittrice Dianne Wynne Jones. (del quale FantasyMagazine ha pubblicato il primo capitolo http://www.fantasymagazine.it/notizie/1564
L'autore dei pluripremiati La città incantata e La principessa Mononoke, torna ai lungometraggi d’animazione, strizzando l’occhio al fantasy e alla magia, restando comunque vicino alle amate tradizioni giapponesi.
Lo spirito della foresta Totoro, simbolo dello Studio Ghibli, ci introduce a questa nuova avventura nel colore e nel sogno. Un lavoro atipico e certamente meno riuscito dei celebrati capolavori di Miyazaki (chi non conosce ancora il maestro giapponese può leggere un approfondimento al seguente indirizzo http://www.fantasymagazine.it/rubriche/114).
Per Il Castello Errante di Howl, come per La Città Incantata, i creativi dello Studio hanno realizzato tutti i disegni e gli sfondi a mano ed effettuato processi come pittura, colorazione e “fotografia” al computer.
Questo riflette la linea guida data da Miyazaki, secondo cui “il disegno manuale costituisce lo standard di produzione, anche se alcuni processi vengono sviluppati digitalmente”. Le fantasiose creazioni si basano su quelle del pittore francese Albert Rorida, contemporaneo di Jules Verne, che alla fine dell’800 immaginò un futuristico e tecnologico XX secolo pieno di guerre e macchine volanti.
Le immagini evocative nulla hanno da invidiare a quelle dei precedenti film, eppure il Castello non raggiunge gli stessi livelli, probabilmente a causa di un finale quasi frettoloso (dopo una proiezione di due ore) e della protagonista, sprovvista dello stesso fascino di Chihiro (la ragazzina della Città incantata).
A differenza dei precedenti, l’immancabile figura centrale femminile non vuole prendere una posizione di fronte alla guerra, come invece ha fatto lo stesso Miyazaki rifiutando di recarsi a Los Angeles a ricevere l’Oscar e ignorando la conferenza stampa organizzata a Tokyo per l’occasione. Un modo personale di protestare contro il conflitto in Iraq. Stupisce quindi la dichiarazione dello stesso Miyazaki: “Non ho voluto deliberatamente mandare messaggi educativi al pubblico. Se simili messaggi davvero sono nei miei lavori, è perché si rivelano naturalmente. Molta gente pensa che io dica profonde verità. Quello che mi piace di più in realtà è la semplicità.”
Ma afferma anche: “La ragione per cui abbiamo realizzato Il Castello errante di Howl è che nel mondo ci sono troppe cose brutte, come le guerre e le crisi economiche. Ci piacerebbe che attraverso il film la gente potesse ritrovare il coraggio e la speranza in un mondo futuro migliore. Per noi è importante sopravvivere ed esplorarlo”.
Miyazaki sceglie di porre l’accento sulle minacce della guerra, dove nel libro della Dianne Wynne Jones si accenna a un conflitto tra i regni vicini. Ben poca cosa resterebbe dell’intera vicenda, una sorta di riflesso del dysneiano La bella e la bestia, se non tenessimo conto dei temi affrontati: la vecchiaia, l’eterna lotta fra il bene e il male, nella sua forma catramosa e mutevole e in quella avveniristica e tecnologica della guerra.
Rimarrebbe una collezione di splendide immagini, ma d’altra parte questo pare essere il limite maggiore del Castello di Howl e della visione di Miyazaki: sembra che l’insieme sia meno importante delle sue componenti, e che esse non siano al servizio della storia, ma l’opposto. L’intera vicenda non è altro che un pretesto per mostrare alcuni momenti di rara bellezza.
Capita quindi di rimanere senza fiato per le inquadrature, i colori, l’invenzione in grado di plasmare un mondo in continuo mutamento e di accostare la tecnologia alla magia.
Il susseguirsi di questi magici frammenti, però, non ha la stessa energia e alcune scelte del regista possono disorientare: una su tutte, Sophie nel corso della vicenda muta aspetto obbedendo a ragioni poco chiare (stato d’animo?). Così capiterà di vedere la vecchina novantenne saltellare, e nell'inquadratura successiva una giovane con i capelli color delle stelle dormire nel proprio letto; ovviamente si tratta della stessa persona.
L'attenzione di Miyazaki sembra essere totalmente assorbita dal problema della rappresentazione, così vengono trascurate informazioni che nei precedenti film svelavano il carattere e la personalità dei protagonisti.
E' prematuro pensare a un declino, c'è tutto il tempo per produrre altri capolavori, sempre che il maestro non abbia deciso, come al solito, di smettere dopo l'ultimo film girato.
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