Il film segue l’odissea di Helena, una quindicenne che vive in un circo una vita la maggior parte dei coetanei definirebbero da sogno, ma che in realtà sogna un’esistenza normale. Helena è sopraffatta dal senso di colpa quando la madre si ammala dopo un amaro litigio e si ritira in un mondo di fantasia in cui la stessa madre è sia benevola regina che acerrima nemica. Helena vivrà un’odissea freaky all’interno di una delle illustrazioni che adornano la sua camera da letto, un universo alterato che è un fiorire di fantasmagorie.

Accompagnata da un Jolly joker mascherato chiamato Valentine (Jason Barry), Helena impara che deve trovare la "mirror mask" per salvare la madre (Gina McKee), la buona regina del mondo dell'ombra, e tornare alla propria realtà. 

Dorothy, scusate, Helena ha un altro motivo per tornare al suo mondo e fuggire dalle grinfie della regina di Darkland, che desidera tenerla con sé come sostituta della figlia scomparsa: per mezzo dello specchio-portale, Helena scopre che la versione malvagia di sé che ha preso il suo posto nel mondo reale.

Sembra confuso? E’ la sensazione che non vi lascerà durante la visone del film.

Prodotto dal Jim Henson Company, questo fantasy è diretto e progettato da David McKean, non rischia di cadere nelle grinfie del demone del genere: la banalità. Mirrormask, è sorprendente, meraviglioso e allo stesso tempo frustrante. La fusione di live action e computer animation creata dalla Jim Henson Company è un esempio di sontuosità per un piccolo risultato.

Lo schermo è troppo piccolo per contenere tutte le idee che i vulcanici Gaiman e McKean vorrebbero infilarci. Ci sono idee che volano dappertutto, come i gemelli giganti di pietra che galleggiano nello spazio; i gatti alati che mangiano libri volanti; le creature con quattro zampe infinite e un becco lunghissimo che sembrano uscite da un quadro di Dalì; i branchi di pesci che sciamano nell’aria; i libri magici che tornano da soli alle biblioteche e sfingi con volti umani che propongono assurdi enigmi; i bizzarri individui mascherati; le strane creature similuccelli e gli insetti monocoli.

Se MirrorMask è una meraviglia di ingegnosità visiva, la scenografia è troppo piena per rendere un'illusione di profondità e genera un senso di sconnessione fra gli attori e il loro ambiente, così come fra il pubblico e il film.

Come Dorothy "nel mago di Oz" Helena (Stephanie Leonidas, somigliante a una giovane Helena Bonham Carter) nel suo sogno incontra le versioni trasformate della gente dalla sua vita reale, e alla fine rimane se stessa, anche dopo la scoperta (temporanea) che nessun posto è come casa. E si riduce a essere una riluttante comprimaria dei veri protagonisti della pellicola: i sogni di McKean

MirrorMask" ha debiti nei confronti di L. Frank Baum e Lewis Carroll, anche se la terra di sogno in cui  Helena vaga somiglia solo vagamente al paese di Alice o al mondo di Oz: molto più ambiguo, Freudiano,  indistinto e nebbioso. Lo stile inimitabile di Gaiman e McKean viene trasmesso alla pellicola, ma lo scritto è cerebrale e adatto ai fan più accaniti, piuttosto che al grande pubblico.

Le originali composizioni surrealiste di McKean da sole non bastano a reggere la tediosità della pellicola; la fantasia di Mirrormask è troppo strana e sconnessa per attirare il grande pubblico, abituato alle visioni Jacksoniane, ma le straordinarie rappresentazioni di McKean mostrano un talento ancora imbrigliato e che vuole esprimersi con mezzi diversi da quelli che il fumetto.

Giganti volanti
Giganti volanti

Il linguaggio figurato e l’immaginario dell’inesperto (come regista) McKean richiedono una sorta di traduzione, un ‘pesce di Babele’, che non tutti possiedono, e che lo scritto di Gaiman non aiuta a decifrare. 

Certamente se Gaiman e McKean avessero concentrato i loro sforzi su una graphic novel, i risultati sarebbero stati sorprendenti, ma il cinema richiede ritmi diversi da quelli che il lettore è abituato a scegliersi. 

"Mirrormask" è il tipo di film che può essere definito visionario, perché non somiglia a nulla che si sia già visto, ma risulta lento e spesso s’impantana nei tentativi di dare corpo alle proprie pretese; è freddo e distante, come guardare un videogame giocato da qualcun'altro

Nonostante ciò si intuisce che la realizzazione dei due autori è un atto d’amore nei confronti della fantasia, in qualsiasi forma la si voglia rappresentare.