- Da questa parte! La voce di Stavros deformata e moltiplicata dall’eco li attirò al centro della sala.
Tre oggetti oblunghi dal profilo smussato dalla polvere, che proprio in quel punto sembrava più densa e spessa, rivelarono alla luce instabile delle torce la loro inequivocabile natura.
- Sarcofagi - appuntò Stavros, quasi compiaciuto - Sapete che significa in greco? Mangiatori di carne.
Due erano quasi del tutto affondati nella sabbia, mentre il terzo, forse più recente, ne emergeva completamente. Quella che, in un primo momento, poteva sembrare una decorazione di fattura rozza e sommaria, a un più attento esame risultò uno spesso strato di incrostazioni marine. I pochi spazi liberi dalla fitta stratificazione organica lasciavano intravedere a tratti un marmo antichissimo e finemente lavorato. Bruno, sulla scia di una precisa intuizione, abbandonò l’ispezione del sarcofago e cominciò a far scorrere la luce della torcia lungo il perimetro della caverna. Migliaia di conchiglie fossili, incastonate nelle pareti di pietra, stavano lì a suggerirgli una verità insospettata: un tempo quel luogo e tutto quello che vi era custodito si trovavano - non poteva essere altrimenti- sotto il livello del mare. Le immagini di un cataclisma immane e remoto, di una natura dalla forza scatenata che proiettava verso l’alto l’intera montagna e la sua grotta affollarono la mente di Bruno, distraendolo per un tempo imprecisato da quanto stava accadendo all’interno della caverna. Poi una serie rabbiosa di colpi di scalpello, lo stridere sinistro del marmo che scivola lentamente sul marmo, le voci concitate dei compagni, un tonfo rauco, soffocato dalla sabbia. E Bruno si trovò in un attimo di nuovo lì, al centro della grotta, la torcia puntata sul lungo coperchio del sarcofago rovesciato nella polvere, liscio e lucido come l’interno di una gigantesca ostrica.
Intorno di nuovo silenzio.
- E’ là dentro, la prova che vi ho promesso - sibilò infine Stavros.
Incerto, il fascio della torcia di Giulio penetrò il vano nero del sepolcro. Sabbia, ancora. Abbagliante, quasi madreperlacea.
- Tutto qui, amico?
Il greco non gli rispose. Si chinò sul sarcofago e immerse fino al gomito le braccia in quella polvere. Poi ancora, fino al punto in cui sparirono quasi del tutto. Per riemergere, infine. Lentamente. Sollevando qualcosa.
Furono le squame fitte, minuscole, imbrunite come scaglie di cuoio da un oscuro processo di mummificazione, a respingere per lunghi istanti l’assurda evidenza di quell’ovale quasi perfetto, di quelle orbite cieche dove si perdevano in piccoli rivoli le ultime tracce di sabbia.
Era una testa. Larga, priva di labbra, la bocca semiaperta come in un grido scopriva una doppia fila di piccoli denti acuminati. Un attimo dopo, spogliate dal sudario di polvere, affiorarono le braccia e le mani. Le dita lunghissime dalle unghie adunche e taglienti apparivano tese in avanti come se la morte avesse colto quell’essere in un ultimo spasmodico tentativo di liberarsi da qualcosa. Un peso, forse, o più probabilmente un laccio. In ogni caso, doveva aver sofferto terribilmente. Infine senza il minimo sforzo Stavros sollevò la mummia e la depose con cautela al suolo. Il lungo corpo inarcato formava una sorta di ponte scuro sulla sabbia candida. Illuminata dai frenetici lampi dei flash e dalla luce saettante delle torce apparve, squamosa e irta di pinne, la metà inferiore della creatura. Non potevano esserci dubbi. Era l’inconfondibile coda di un pesce.
- La vedi? - gridò Giulio, trionfante, afferrando Bruno per un braccio come per scuoterlo da un profondo torpore. - E’ una sirena!
- Io ho concluso. Andiamo. - Le parole di Stavros si abbatterono sui due amici come uno schiaffo, riportandoli bruscamente alla realtà. Giulio lasciò la presa della sua Nikon, che cadde lampeggiando un ultimo flash sulla coltre di sabbia.
- Concluso? Questa era solo la ‘prova’, ricordi? Tu mi hai promesso ben altro, e io sono venuto fin qua per ben altro.
- Per quanto mi riguarda, - rispose serafico Stavros, raccogliendo la macchina fotografica e porgendola con ossequiosa ironia a Giulio, - considero il mio compito finito e attendo quanto mi spetta.
- Scordatelo, greco! - Giulio stava perdendo il controllo. - Tu mi hai parlato di sirene vive, ricordi? Sai dove sono, e mi hai promesso di catturarne una! Per questo, e solo per questo, sarai pagato!
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