Ho paura, la sento crescere in me come un serpente. Spero di non restare paralizzato, di non fare figuracce. E’ assurdo, ma quello che mi preme ora è solo di non perdere la faccia con i compagni.
Mia madre, pace all’anima sua in eterno, era una povera contadina di St. Remy che allo scoccare del suo dodicesimo anno venne mandata a servizio a Dinan.
Mio padre è ignoto, per mia vergogna: forse fu un venditore di chincaglierie, forse un sensale di cavalli; o forse il padrone stesso. Fatto sta che mia madre si ritrovò sola, senza onore né mezzi, con me che le crescevo nel ventre.
Da quando il mio sire l’ha conquistata Dinan è una città bella e ricca, perla del regno Normanno. Ma già prima della mia nascita il porto sulla Rance era fitto di navi, grandi case a liste di legno abbellivano le strade spaziose, e le costruzioni in pietra erano numerose e ricche.
Quello però che maggiormente colpì mia madre non furono i sontuosi abiti dei borghesi, né le pellicce dei mercanti o lo splendore dei paramenti dei chierici e i loro turiboli d’argento. Fu invece il passaggio delle truppe a farle sgranare gli occhi e a incantarle il cuore per sempre. Labari di ogni colore riempirono il cielo quel giorno, mentre le else delle spade istoriate con tutte le pietre dell’oriente facevano a gara con lo splendore degli scudi dipinti. Mai aveva visto nulla di più nobile, più bello e potente. Aggrappata allo stipite della porta, sopraffatta dalla meraviglia, decise che anch’io, ancora indistinto frutto del suo ventre, sarei divenuto cavaliere con l’usbergo e la spada nel pugno. Pur nella sua ignoranza di fanciulla si rese tuttavia conto che non era una carriera facile per il figlio bastardo di una serva. Il destino che più probabilmente mi attendeva era di garzone o muratore, nel migliore dei casi piccolo proprietario di bottega se la fortuna e i sentì mi avessero arriso clementi. Così, nel frastuono della parata, fra le urla e gli schiamazzi, si inginocchiò e fece voto solenne all’Arcangelo San Michele fra tutti benedetto, promettendogli un pellegrinaggio se disegnava per me negli astri un futuro di gloria e di guerra.
Mont Saint Michel non dista molto da Dinan, ma mia madre era povera e faticò a trovare i pochi denari necessari per il viaggio. Così quando riuscì a prendere la strada con il bastone lungo e la bisaccia dei pellegrini era già sopraggiunto l’inverno e io le pesavo nel grembo rallentandone il passo, sicché giunse in vista del monastero ormai prossima al parto.
Era quasi sera e l’abbazia, magnifica, si stagliava fra il cielo grigio e la terra come un miraggio.
La sconsigliarono dal proseguire: la marea stava salendo e a quell’ora non avrebbe trovato nessuna guida disposta a condurla in salvo oltre le sabbie mobili. Ma lei sentiva che era giunto il momento e voleva sciogliere il suo voto prima della mia nascita; anzi, le sembrò una buona cosa che io venissi alla luce nel villaggio ai piedi dell’abbazia, sotto l’ala protettrice dell’Arcangelo Santo. Così si trascinò da sola lungo la distesa salata, i piedi che affondavano ad ogni passo nella viscida terra.
La marea arrivò all’improvviso, troppo veloce per il suo incedere lento. Non poteva più avanzare né tornare indietro, e vide la morte correrle incontro al galoppo. Si accasciò nell’acqua che ormai le arrivava al ginocchio raccomandando la sua e la mia anima al cielo mentre le doglie cominciavano a stringerle il ventre come i cerchi infuocati di una botte.
Allora avvenne il miracolo: le acque si ritirarono e presero a vorticarle intorno formando un muro compatto che la circondò senza nemmeno inumidirle la veste. Fu lì che io vidi la luce, e venni battezzato per questo Péril, pericolo, e iniziò il mio destino di gloria.
Colpito dalla stranezza della mia nascita, il buon duca Roberto di Normandia mi volle presso di se a corte ancora infante. Conobbi così le armi, la caccia e i cavalli, finché Guglielmo il Bastardo, generato dal duca nel letto di una contadina ma non per questo meno nobile di animo e di aspetto, mi fece un giorno suo paggio. Eccelso fra tutti per munificenza e ardimento, il mio sire Guglielmo mi innalzò fra gli uomini del suo seguito concedendomi il diritto di cavalcare alla sua destra. Mi insegnò l’onore, la lealtà e il coraggio; ed io a lui giurai fedeltà, a lui e alla sua terra.
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