Io non ho più due ma dieci, cento braccia, e ognuna mena intorno colpi di morte; nessuno riesce a sottrarsi alla mia spada che guizza e vibra come animata di un’invincibile forza. Il mio fedele molosso mi corre vicino pronto a saltare alla gola dei cavalli nemici, finisce i feriti dilaniandoli a morsi.
Vedo uno dei miei uomini correre ventre a terra, saltare sul dorso dei destrieri con unghie forti come artigli; ha perso le armi ma non sembra darsene conto, combatte a mani nude in preda a una gioia selvaggia. Anch’io fatico a trattenere la spada, viscida per il sangue che ormai mi intride fino alle ascelle.
Ed ecco che giunge la notizia urlata a gran voce da un coro sempre più vasto: il perfido Aroldo è morto per una freccia in un occhio.
I sassoni si stanno sbandando, incerti, ma io e i miei uomini continuiamo a stringerli sui fianchi, balziamo come fiere su di loro senza alcuna pietà fino alla totale vittoria.
Lentamente sento il berserk rientrarmi nelle viscere, gonfio e soddisfatto.
La stanchezza e il dolore mi crollano addosso all’improvviso, vomito qualcosa di rosso e acido che forse è vino ma si mescola con il sangue di cui sono ricoperto.
Subito mi viene portata una tazza con nuovo vino per rinfrancarmi, ma sono così stremato che non riesco nemmeno ad alzare le braccia e lo staffiere deve imboccarmi come un lattante.
Dei miei uomini molti sono morti, altri ansimano contorcendosi al suolo, i corpi devastati tremanti di spossatezza e di freddo.
La distruzione intorno è indescrivibile.
Il vescovo Odon che ha seguito da lontano la battaglia ci si avvicina guardandoci con sospetto, ma Guglielmo lo scosta, imperioso, e viene verso di noi a braccia aperte. Ha vinto, e da oggi nessuno lo chiamerà più il Bastardo, bensì il Conquistatore, sire di Normandia e d’Inghilterra.
Appena tornati in forze, io e i miei uomini abbiamo ripreso una nave per tornare sulla costa normanna lasciando in terra inglese Guglielmo e il suo seguito.
Appena raggiunto il largo però il cielo si è fatto di piombo. Il vento che pareva favorevole si è rigirato su se stesso, e malgrado la forza dei remi il vascello vibra come una festuca di paglia.
La dolce terra è finalmente in vista dall’altro capo dello stretto, posso riconoscere la Pointe du Hoc stagliarsi fra le onde, appare e scompare come un fantasma nella pioggia scrosciante.
Il mare s’è imbizzarrito e ci spinge su e giù per i flutti fra spruzzi di schiuma biancastra; le nubi si sono rotte e un uragano ci ha avvolto d’improvviso fra boati di tuoni e saette.
Il vento ha masticato le vele e le ha risputate nell’acqua come stracci inservibili.
Nel turbinio degli elementi, aggrappato all’albero maestro con tutta la mia forza, invoco l’Arcangelo Michele in questa che forse è la giusta vendetta di Dio, la Sua punizione per aver invocato gli idoli pagani dei nostri padri. Invoco il nome di Michele e gli raccomando l’anima, a lui e alla santissima Vergine, ma non mi pento. Io ho fatto quello che era giusto fare per la gloria del mio sire e per la mia terra.
E se c’è l’inferno ora ad attendermi ci entro a testa alta, con il mio seguito, con la dignità di chi ha compiuto il suo dovere senza indietreggiare dinanzi a niente.
La nave sta crollando nell’abisso in un fragore d’urla e legni infranti; la spiaggia è vicinissima ma irraggiungibile, scogli invisibili ci bloccano dilaniando quel che resta dello scafo con punte aguzze come coltelli. Sento la morte gracchiare sul mio capo e tendere verso di me le mani adunche, le sue ali nere già mi oscurano lo sguardo.
Ma la magia rimane, è più forte.
Nel buio della capanna ho chiesto alla strega il berserk non per una battaglia ma per sempre, per ogni volta che il mio sire o la mia terra corressero un pericolo. Per sempre, e questo va ben oltre la mia misera vita e la mia storia.
Qualcuno mi si aggrappa al braccio, è un mio uomo, carne della mia carne, più di un figlio. Lo stringo a me mentre l’ultima asse del ponte sprofonda e l’acqua gelida ci avvolge trascinandoci sul fondo.
I pesci mangeranno i nostri occhi e i nostri capelli diverranno alghe; il mare consumerà le nostre ossa fino a renderle indistinguibili dalla rena smossa dall’onda. Ma la magia resterà qui, per sempre: si è accucciata su se stessa come un orso, vigila e attende.
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