VIII

Gli eroi della Pointe du Hoc vennero ricoverati nell’ospedale da campo di Caen. Malgrado la confusione della battaglia il loro comportamento non era passato inosservato: nudi, avevano immerso le mani nei corpi sanguinanti degli avversari urlando in una lingua sconosciuta, insensibili al dolore come se fossero stati sotto l’effetto di una droga fortissima. Peccato che l’unica droga che avessero assunto fosse del brandy scadente. Ricucire i corpi fu ordinaria amministrazione, ma quello che lasciò sconcertati i medici fu l’evidente stato di alterazione psichica. Imbottiti di tranquillanti, la bocca piena di una strana bile verde, gli eroi sopravvissuti avevano farfugliato di aver combattuto in una foresta, pur sapendo che quella punta era una distesa di scogli e terra brulla. Davanti ai medici attoniti avevano parlato di spade, di una donna vestita di pelli, di una nebbia rossa davanti agli occhi e una gioia ferina, sanguinaria nell’uccidere. Tutti avevano ammesso di aver seguito il soldato semplice Jonathan Sage, che fino ad allora quasi non conoscevano, ma avevano sentito essere il loro capo al momento dell’attacco.

Sage era stato l’unico a non dire niente. Aveva preso le sue medicine con calma fissando il muro in un silenzio impenetrabile. Solo le sue dita continuavano a correre avanti e indietro come se accarezzassero un cane invisibile. Il medico militare diagnosticò un caso di isteria collettiva e i soldati si affrettarono a relegare l’accaduto fra quei ricordi di guerra che è meglio non raccontare troppo in giro. L’importante era che sul petto di tutti brillasse una medaglia.

Anche quella di Sage brillava, appesa al posto d’onore fra i trofei sportivi del college e la foto dei nonni. Così come brillavano i vetri della finestra nella luce tersa del New Jersey, le tazze ordinate sulle mensole, il sorriso di porcellana di sua madre. Peccato che Jonathan continuasse a sentire il vento del Cotentin urlargli nella testa e i cavalli scalpitare contro un suolo di pietra compatto.

Scese in cantina e vide un fuoco rosso di braci, lo sguardo giallo di una capra. Pensò a san Michele Arcangelo, ed era strano visto che lui non era cattolico.

Immerse un pennello in una latta di vernice e osservò le proprie mani tracciare sul muro uno strano simbolo; non sapeva cosa significasse ma ricordava di averlo già inciso con il coltello su una casamatta subito dopo l’attacco.

Quindi prese una corda e si impiccò alla trave più alta.

Alla Pointe du Hoc, sotto un cielo indifferente, un enorme cane grigio si acquattò in attesa fissando l’orizzonte, mentre il vento fra le rocce fischiò sibilando, incerto, con un suono a metà fra il riso e il pianto.