- La Regina riceve una visita dell’antico consorte! - ribatte il secondo altrettanto solennemente, per non essere da meno.
Con passo spedito attraverso i corridoi venati di marmo rosso, le stanze circondate da colonne sbilenche e sbreccate come i denti guasti di un gigante. Il tempo incustodito ha esteso il suo abbraccio persino qui, dove pensavamo che lei sarebbe stata al sicuro da noi, e noi da lei.
Un velo di polvere ricopre la teca di cristallo, al centro della sala in passato riservata alle udienze. I drappi male accostati lasciano filtrare un barbaglio di luce dalle finestre che danno sui vecchi giardini abbandonati. La nuova Regina, dopo aver perso l’occhio destro nello scontro con la Duchessa per la successione al trono, non ha mai sopportato troppo bene la luce, se non quella delle candele ormai consumate.
Appoggio la zampa sulla teca e tolgo un po’ di polvere, quel tanto che basta per vedere il suo occhio che si ravviva alla mia vista, come un fuoco riattizzato dopo molti anni. Un semplice sguardo è più che sufficiente per capire che l’amo ancora. Non importano gli anni che qui non hanno valore, è tutto come il primo giorno: sarò destinato a sorgere e cadere, sorgere e cadere ogni volta che la vedrò.
S’è fatta donna col tempo, nonostante il corpo martoriato. Non è come le altre, anche così resta bella, scaltra, con quella dolcezza cattiva che ha sempre confuso tutti noi. Possiamo rimproverarle di essere ascesa più in alto dei suoi meriti, di aver abusato dell’ambizione a discapito dell’umiltà, ma mai, in nessun caso, ha ceduto al rancore, neanche nei miei confronti il giorno in cui la rinchiusi nella teca grande, tagliandola all’altezza della vita per impedirle di fuggire da me, e gettando le gambe dove potessi dimenticarle.
Capì che era un atto d’amore.
La sua bocca si schiude con lentezza, cercando di dare vita alle corde vocali recise. Accarezzo il vetro, sorridendole. - Alice...
Nel silenzio di quelle sale che odorano d’incenso, è come un grido d’aiuto.
Raramente arrivo al Confine per fare una passeggiata, malgrado in passato fosse una delle attività che preferivo. Non sopporto più quel muro lattescente che giorno dopo giorno ingoia terreno. Farlo, tuttavia, mi aiuta a riflettere.
Il Cappellaio veglia il Confine con abnegazione, nella speranza di riuscire a fermare la sua avanzata. Lo vedo da qui, piegare le ginocchia e unire le mani in un cenno di preghiera, borbottare, raddrizzarsi, lanciare il cappello in aria e infilarselo in testa al volo, prima di ricominciare da capo. E’ ammirevole.
Ode i miei passi sulla ghiaia, dove prima c’era erba. - Ah, sei tu - rimbrotta, seccato per la distrazione. Dopo un istante, disperato, aggiunge: - Un metro e mezzo! Dico, un metro e mezzo da ieri sera!
- Sta accelerando.
Mi si avvicina, rincalzando il cappello sulla testa enorme. - E’ colpa sua, lo vuoi capire? Dobbiamo ucciderla prima che ci conduca al disastro. - Si volta indicando una tavola apparecchiata che per metà emerge dal muro di niente. - Guarda là, la Lepre non ha voluto abbandonare il suo posto, e neanche il Ghiro, e tra un po’ scomparirà anche la tavola... Con chi prenderò il the, adesso?
Non so cosa dire, è difficile da spiegare. - Mi dispiace, ma non dipende solo da Alice, ne sono arrivati altri. Ucciderla non servirebbe.
- E allora, dobbiamo restare qui a finire tutti nel cesso? - urla arrotolando i denti, l’aria stizzita. - Una volta riuscivo a parlare col tempo, a rallentarlo, fermarlo addirittura, ci ero in buone relazioni, e adesso invece posso solo guardare quel muro opaco mangiarsi tutto quello che ho senza poter fare niente. Ti sembra giusto?
No, non lo è.
Se la presero con Alice, ovviamente, dopo che ebbe sconfitto la Duchessa impadronendosi dello scranno della Regina di Cuori. Era un elemento di disturbo, il classico sassolino nella scarpa del quale non ci si riesce a liberare ed ella, pur usando tutta la dolcezza di cui era dotata, non riuscì a ricucire il rapporto con gli altri che, in modo del tutto inevitabile, marcì come la sua bellezza.
Qualche tempo dopo notammo i primi cambiamenti nelle cose, persino nel paesaggio. La prima ad andarsene fu la dimora della Lepre Marzolina: comignoli a forma di orecchie, tetto di pelo e tutto il resto. Spostammo il tavolo del banchetto, ma servì a poco. Poi morì la Falsa Testuggine, mettendoci in guardia raccontando una storia che fu qualcosa di unico e commovente. Sperammo, ma lo sfacelo non si fermò, anzi, si materializzò quello che ormai tutti chiamiamo Il Confine: l’orizzonte da dove il nostro paese comincia a scomparire chissà dove.
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