Alice, preoccupata dal non avere più ammiratori, non si accorse di nulla, eppure ci voleva poco per capire che era l’elemento catalizzatore della nostra rovina. Il suo essere contrastava con la nostra realtà, semplicemente, come qualcosa di negativo che si espande trovando terreno fertile.

Fu in quel momento che decisi di usare la teca di cristallo per salvarci, sperando che contenendo all’interno ciò che ella rappresentava, i nostri destini si sarebbero sigillati di nuovo ritrovando l’antica sostanza. Ma, egoisticamente, volevo salvarla prima di tutto, perché sapevo che non avrei potuto rinunciarvi, e dopo che gli altri decisero che ucciderla sarebbe stata l’unica soluzione, quella apparve ai miei occhi come l’ultima possibilità rimastami e, non pago, decisi persino di sposarla, sapendo che facendomi Re nessuno avrebbe potuto contestare le mie decisioni.

Per un po’, la cosa funzionò.

E alla fine i loro mediatori arrivano, all’ora di pranzo, maleducati come le uniformi color verde oliva che indossano.

Il capo, un tizio allampanato con delle mani enormi, tentenna un po’ prima di togliersi la maschera. Poi annusa l’aria, come per individuare veleni sospesi, ma tutto quel che respira è solo profumo di gelsomino e cioccolata. Un gesto, e anche gli altri denudano il viso.

A guardarli, sembrano immaginazioni e sogni della notte prima: ti svegli, e scopri di averli persi con facilità. Incredibili, non fosse per il fatto che appartengono alla stessa razza di Alice, come sospettavamo.

Si voltano intorno incuriositi, gli occhi da bambini cattivi che hanno scoperto la strada per il paese delle meraviglie e non vedono l’ora di smontarlo, pezzo per pezzo. Il capo si presenta: qualifica, grado, codice... Uno stile impeccabile che viene meno nel momento in cui gli tendo la zampa ribattendo laconicamente che sono il Re.

Ci siamo tutti, radunati nel parco del Croquet. Persino il Ghignagatto che da anni non si faceva vedere. L’eccitazione mi fa vibrare le orecchie, ma è una cosa inevitabile quando si ha sentore che le cose stanno per cambiare.

- ...Solo per caso - sta spiegando il capo. - Abbiamo fatto degli esperimenti dimensionali, ma non pensavamo che...

Gli altri ascoltano annoiati, tranne il Cappellaio che ha stampata in faccia l’espressione rabbiosa di sempre. Loro sono sul “chi va là”, armi in pugno che tanto qui non funzionerebbero, ma è una cosa che ancora non hanno avuto modo di scoprire. Io invece rido, pensando a quanto possano essere terrorizzati nonostante il tono di sfida, ognuno a fissare un Bruco, un Gatto che appare e scompare a seconda di come tira il vento, alcune Guardie a forma di carta da gioco, un tizio con un cappello enorme in testa, una Lucertola accompagnata da un Dodo, due Valletti in livrea e un coniglio bianco in doppio petto e guanti immacolati, che sarei io.

Tace il capo, titubante, ha capito che non lo stiamo ad ascoltare. Aspetta qualcosa, un gesto, una parola, una sfida, purché venga da me, qualcosa che a dire il vero non posso dargli perché, detto tra noi, non ho capito cosa chiedono al nostro mondo morente. Non ho tempo da perdere, neanche per instaurare un processo equo. La Vecchia Regina avrebbe già risolto la cosa, ma lei era di tutt’altro stampo. A me, la soluzione sboccia davanti con qualche minuto di ritardo.

- Tagliate loro la testa - ordino.

Non l’avrei mai immaginato così il momento dell’addio.

Mi pervade la sensazione che quella sposa non esista neppure, imbalsamata e gelida e in attesa di venire liberata, un ammasso di visioni ancestrali che si agitano dentro di me, di peregrinazioni, di sentimenti inutili. Solo ora mi rendo conto di come siano banali le figure dei sovrani, senza speranze da offrire, sepolti in qualche posto, accatastati come tesori, o ricchezze nelle cripte.

- Ti sei pentita di restare? - chiedo ad Alice, fissando quel suo sorriso sbieco che affiora come una smorfia di dolore. Spesso la sofferenza fa emergere qualcosa di diabolico sul viso della gente.

La sua espressione ammantata dal perenne e bizzarro velo d’ironia s’accende. No, fa segno col capo.

Apro la teca, quasi fosse scoprire un tesoro dopo secoli di abbandono. Alice si piega all’indietro, cedendo alla cicatrice che diagonalmente le corre dietro alla schiena, dove prima c’era la spina dorsale. Persino in quel momento di assoluto silenzio, tutto sembra ruotare intorno a lei come un tempo. Sono relegato al ruolo di comparsa, di buffone, l’unica tragedia del nostro amore l’ha riservata a se stessa.