- Sei libera.
Mi guarda in modo critico, con l’unico occhio rimastole a incorniciare il viso butterato. Poi allunga le braccia e mi attira a sé, donandomi un bacio lungo e appassionato. Avevo dimenticato il brivido che mi dava mordere quelle labbra; un brivido che ora si spegne in un fiotto amaro. Estrarla da quella bara trasparente ha prosciugato ogni sentimento, ogni passato.
La lascio mentre si dimena, con la bocca screpolata aperta in una voragine di paura che solo un naufrago abbandonato può provare.
Già so che il rumore delle unghie di Alice che si spezzano sul pavimento, mi accompagnerà per sempre.
La villa tremola come un budino venuto male.
Siamo tutti qua, finalmente, dopo ore d’incertezza e discussioni. Facciamo un passo ed entriamo, attraversando le pareti che non esistono. Tutto quel che resta è solo un vortice color crema che mi fa rizzare il pelo; gli altri mi seguono a debita distanza, per niente convinti di essere lì.
Ogni tanto, qualcuno deve prendere certe decisioni.
- Siamo tutti pazzi - constata il Ghignagatto. - Altrimenti che ci staremmo a fare qui?
Il Bruco tace. Sembra l’unico ad avere un briciolo di fiducia mentre la truppa ondeggia impaurita davanti a quello spettacolo inusuale. Il Cappellaio mi fissa con lo sguardo appannato di un gabbiano. - E allora - chiede, - adesso che facciamo?
Bella domanda. Alle nostre spalle il Confine galoppa divorando l’orizzonte, i palazzi, i giardini. Impiegherà poco per arrivare fin qua. I miei amici mi osservano, e io odio essere in ritardo sulle risposte da dare. Pelo dritto o no, ho deciso. E poi una volta ci sono stato, e non era così male.
Emetto un sospiro che tengo dentro da chissà quanto. - Andiamo di là, no?
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