Quando si risvegliò, con un dolore tremendo alla testa, pensò di essere già all’inferno.
Sbatté le palpebre. Si trovava sulla spiaggia del Salotto del Doge, e circa duecento giullari lo stavano guardando arricciando il labbro superiore e mostrandogli i dentini affilati.
Portò subito le mani sul volto, accorgendosi che era senza maschera. I giullari dovevano avergliela tolta. Aiutandosi con le braccia, arretrò sulla sabbia. – Via! - gridò, facendo dei gesti. – Via!
Si udì un brusìo e il gruppo di ometti blu si aprì in due file per far passare il capotribù, in piedi sopra uno scudo trasportato da quattro servi, fiero e impettito.
Solo allora Dal Molin si accorse che il sole stava tramontando, e lo guardò con aria trasognata. Il colpo che gli avevano dato alla nuca, dopo che si erano introdotti nel fortino, lo aveva lasciato tramortito solo per qualche ora. Sembrava un fatto accaduto giorni prima, invece era sempre il… Quel giorno di febbraio, qualunque fosse.
Spostò lentamente lo sguardo e notò i resti carbonizzati e fumanti del fortino. Poco distante, la sua maschera era stata affissa a un bastone piantato nel terreno, come un trofeo.
Deglutì e si alzò in piedi, distaccato e beffardo.
Il folletto con il berretto bianco saltò giù dallo scudo e si incamminò verso di lui con passi nervosi. Era alto un braccio. Negli occhietti stretti come due fessure c’era tutta la rabbia e la frustrazione di secoli di persecuzioni.
Quando fu vicino a Dal Molin, alzò la testolina per guardarlo in faccia.
– Feuch an 'g canich! – esclamò, ponendo particolarmente enfasi sull’ultima parola, e indicò qualcosa in lontananza.
Dal Molin seguì la traiettoria del suo dito, ma non vide altro che acqua. Poi capì: il lago. Voleva che se ne andasse dall'isola. A nuoto. Rise e scosse la testa, tremando. – No - ribatté - Da qui non mi muovo.
Il folletto chiuse i pugni e irrigidì la mascella. – An ’g canich.
– No – ribadì il cacciatore con più sicurezza, prendendo tempo. Non avrebbe potuto fare l’eroe ancora per molto, però: gli serviva un'idea, subito. Con la coda dell’occhio calcolò quanti passi ci fossero da lì alla boscaglia. Se l’avesse raggiunta, non lo avrebbero più preso, correva più veloce di loro, e avrebbe potuto usare i fuochi che aveva nascosto sopra una roccia a strapiombo sul lago: quelli dei villaggi sulla riva orientale sarebbero arrivati presto, e lui, nel frattempo, si sarebbe nascosto nella grotta lì vicino. Poi si disse di non fare lo stupido: i folletti erano armati di fionde e balestre, ci voleva un'idea un pelo più intelligente.
– Feuch an 'g canich!
Immaginandosi sott'acqua con i vestiti appesantiti, sul punto di affogare, l'uomo deglutì e arretrò. Non posso, pensò confusamente. Non posso, lo capisci?
Alcuni giullari si mossero verso di lui, ringhianti. Dal Molin pensò che i folletti erano meno impauriti, dopo la scoperta che la sua era solo una maschera. Per loro non era più un mostro, una sorta di divinità con il volto d’uccello, ma un uomo. Il trucco era stato svelato.
Il capotribù fece loro cenno di fermarsi. Guardò Dal Molin con aria di sfida. – Cothamòre, 'm avich – sibilò, annuendo. Lo disse con un tono da: “D'accordo. L'hai voluto tu”.
Si tolse il mantello, sfoderò la spadina con fare teatrale e consegnò il tutto a un servo. Arrotolò le maniche del suo vestitino e, per un istante, Dal Molin ebbe l’assurda idea che re folletto volesse fare a pugni.
Il capotribù, invece, si sfregò le mani e poi buttò le braccia in avanti, come a voler gettare via qualcosa.
Dal Molin vide chiaramente un fascio di luce sprigionarsi dalle sue dita e rotolò per terra, schivando il colpo.
Maladetto furfante, pensò, rialzandosi subito. Ecco con che cosa mi hanno sparato, prima. Come ha fatto?
Finalmente la situazione gli apparve in tutta la sua folle realtà: era da solo, su un’isola maledetta, impegnato a litigare con un mezzo uomo blu che conosceva la magia. Un essere che si batteva perché il suo popolo non fosse più trasformato in vasi, ciondoli e vestiti.
Dal Molin si abbassò e schivò di nuovo il colpo.
I giullari si erano disposti in cerchio attorno ai duellanti, che ora si muovevano con cautela in senso orario, studiandosi.
Dal Molin era piuttosto robusto, il re dei folletti gli arrivava alle ginocchia ma era armato e furente. E si stava di nuovo sfregando le mani.
L’uomo si mise in posizione di difesa, pronto a buttarsi a destra o a sinistra, a seconda della traiettoria del lancio.
Una cosa era certa: doveva uccidere il folletto con il berretto bianco. Con un re morto, gli altri giullari sarebbero stati meno pericolosi di una banda di ragazzini.
Il cacciatore si leccò le labbra. Fare scacco al re. Ecco, la cosa stava tutta lì. Guardò il folletto.
Sinistra!
Fu colpito di striscio. Risucchiò aria e si rialzò, premendosi la spalla. La vista gli si annebbiò quasi subito. Cadde in ginocchio.
Re folletto si voltò verso il suo popolo e chiese qualcosa.
10 commenti
Aggiungi un commentoMolto carino, complimenti. Ti posso "rimproverare" solo una cosa e cioè il nome del protagonista, perchè ogni volta che lo leggevo mi veniva in mente la polemica che c'è stata sulla base militare americana di Vicenza. Si chiamava Dal Molin anche lei, purtroppo!
Ciao a tutti, no, i puffi a dire il vero non c'entrano Oppure, mettiamola così: mi sono immaginato dei simil-puffi un po' bastardelli
Dal Molin: è una coincidenza, il racconto risale a prima dei fatti di Vicenza. Avevo semplicemente pescato fra i cognomi veneti più diffusi.
E per quanto riguarda il lieto fine... c'è o non c'è?
Ciao!
Non c'è
Sono sempre portato a tifare per il protagonista anche nel caso sia un pò bastardo (credo sia l'aggettivo più adatto).
Sono d'accordo con Bartimeus: il lieto fine non c'è, perchè anch'io sto sempre dalla parte del protagonista. Anche quando è il cattivo!
Lo immaginavo che il nome del protagonista lo avevi scelto prima dei fatti di Vicenza, purtroppo sono io che il racconto l'ho letto dopo quella polemica e che continuavo a ripetermi: "Dal Molin, ma dove l'ho già sentito?" Insomma mi sono rovinata un po' l'atmosfera della storia a forza di ripensare che cosa mi ricordava. Comunque è un bel nome, molto musicale.
Eh, lo so, Dal Molin era simpatico anche a me ma non aveva speranze!
Se mai un giorno dovessi farci un romanzo o una storia più lunga... il finale potrebbe essere diverso
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