Dal Molin riaprì gli occhi. I giullari si consultarono, soppesando la proposta del capotribù. Poi, centinaia di manine voltarono il pollice verso il basso: niente da fare. A morte.
I battiti dell'uomo ripresero a galoppare.
Il re fece ruotare il braccio, si avvitò un po’ su se stesso e “sparò”, ma il colpo finì a pochi passi da lui.
Dal Molin, dopo un sussulto, ebbe la forza per arricciare verso l’alto un angolo della bocca. Lentamente si alzò in piedi. Deve aver finito la luce nelle mani, pensò.
Sul suolo, nel punto dove il folletto aveva sparato, si materializzò una sfera di colore rosso, che prese a girare su se stessa. Sempre più veloce. Si ingrandì. Il debole sorrisetto di Dal Molin si raffreddò fino a diventare una smorfia incredula.
Mio Dio, pensò, e ricadde in ginocchio. Quello è un carrigapuca!
Fu l’ultima cosa coerente che pensò. L'istante successivo, la sfera si sollevò e partì verso di lui, che la vide ingrandirsi man mano che si avvicinava.
Prismi di colore azzurro-verde. Buio. La sfera si frantumò, scoppiò, diventando fumo, infilandosi nelle narici non più protette di Dal Molin. Il cacciatore di folletti fu percorso da una scossa e catapultato a terra, dove rimase, con tutti i muscoli contratti. Rabbrividì di nuovo, batté i denti, inarcò la schiena in uno spasmo e tentò con tutte le sue forze di resistere alla furia del carrigapuca rosso che stava scorrendo dentro di lui come una scossa di terremoto nelle carni. Sbloccò i polmoni e mandò un urlo, ma durò poco. Smise di dimenarsi e rimase impietrito in quella posizione innaturale, l'incantesimo che non aveva ancora smesso di dilaniargli le viscere.
Quando sottili striscioline di fumo azzurrognolo cominciarono a uscirgli dalle orecchie, il capotribù alzò una mano atteggiata a coppa e richiamò a sé la sfera, come se il lancio si svolgesse al contrario. La sfera svanì nel palmo della sua mano.
– Duat nac 'n at, carrigapuca – disse il folletto dal berretto bianco, serio, indicando il cadavere del cacciatore.
I giullari annuirono, d’accordo con quell'ipotesi.
10 commenti
Aggiungi un commentoMolto carino, complimenti. Ti posso "rimproverare" solo una cosa e cioè il nome del protagonista, perchè ogni volta che lo leggevo mi veniva in mente la polemica che c'è stata sulla base militare americana di Vicenza. Si chiamava Dal Molin anche lei, purtroppo!
Ciao a tutti, no, i puffi a dire il vero non c'entrano Oppure, mettiamola così: mi sono immaginato dei simil-puffi un po' bastardelli
Dal Molin: è una coincidenza, il racconto risale a prima dei fatti di Vicenza. Avevo semplicemente pescato fra i cognomi veneti più diffusi.
E per quanto riguarda il lieto fine... c'è o non c'è?
Ciao!
Non c'è
Sono sempre portato a tifare per il protagonista anche nel caso sia un pò bastardo (credo sia l'aggettivo più adatto).
Sono d'accordo con Bartimeus: il lieto fine non c'è, perchè anch'io sto sempre dalla parte del protagonista. Anche quando è il cattivo!
Lo immaginavo che il nome del protagonista lo avevi scelto prima dei fatti di Vicenza, purtroppo sono io che il racconto l'ho letto dopo quella polemica e che continuavo a ripetermi: "Dal Molin, ma dove l'ho già sentito?" Insomma mi sono rovinata un po' l'atmosfera della storia a forza di ripensare che cosa mi ricordava. Comunque è un bel nome, molto musicale.
Eh, lo so, Dal Molin era simpatico anche a me ma non aveva speranze!
Se mai un giorno dovessi farci un romanzo o una storia più lunga... il finale potrebbe essere diverso
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