Il motivo è legato alle mie origini: facevo parte delle schiere della Superbia, quando questa fu sopraffatta e scacciata dall’Amore, ma non condividevo lo stato d’animo - dettato dall’odio, dall’invidia, dal desiderio di rivalsa - che aveva preso piede tra gli sconfitti. Avevo altre aspirazioni. Ero inquieto, curioso, affamato di conoscenza. Mi separai dagli altri e mi nascosi in questo mondo brulicante di vita. Quindi sono un dissidente. Tuttavia i Vincenti non mi considerano diverso da quelli della mia specie per i quali, in ogni caso, sono un traditore.

Nuova Zelanda, 1329 d.C.

Il Moa è davvero gigantesco e non c’è da scherzare con il suo robustissimo becco. Inoltre è assai intelligente e molto aggressivo. In uno scontro diretto, uno contro uno, è quasi sempre in grado di avere la meglio su un uomo, per quanto ben armato. Infatti noi Maori non lo affrontiamo mai da soli. La caccia si svolge secondo regole rigorose: un gruppo di cacciatori lo incalza e lo costringe a fuggire in una direzione obbligata, spingendolo all’interno di un’area chiusa da insormontabili ostacoli artificiali. Quindi una pioggia di lance chiude la partita. La carne dell’uccello basta a sfamare per una settimana un villaggio di duecento persone.

Anche questa volta uccidiamo un gigante pennuto: è un esemplare molto giovane, una specie di enorme pulcino. Muore con gli occhi sgranati e le piume inzuppate di sangue.

Oggi

La stazione della metropolitana è pochissimo frequentata dopo le cinque del pomeriggio. I Belgi, anche durante la bella stagione, preferiscono rientrare presto in casa oppure si rinchiudono in un bistrot. Sono molto diversi dai mediterranei, sempre ben disposti a restare in giro. Mi fermo sulla banchina a aspettare la prossima corsa. Intorno a me ci sono appena una dozzina di persone: qualche operaio, alcune massaie, un ragazzo e una ragazza che si tengono per mano parlando sommessamente. Dopo pochi minuti si cominciano a percepire le vibrazioni che annunciano l’arrivo del treno. Quindi una coppia di luci violente sbuca dalla curva in fondo al tunnel. Appena il convoglio si ferma, salgo sulla carrozza che mi trovo di fronte.

Londra, 1540 d.C.

Anna di Cleves è straordinaria, per una donna del Rinascimento. Ma il re non la apprezza; le riconosce poche attrattive rispetto a quelle che trovava in Ann Boylen. In realtà la tedesca è decisamente affascinante. Forse un po’ troppo alta e androgina per i canoni di bellezza della prima metà del ‘500. Comunque è assai diversa dalle dame che la circondano. Adoro parlare con lei. E’ una delle poche persone alla corte del Tudor con cui valga la pena discutere.

Patricia Griffin è una dama di compagnia della regina. Ha passato da un pezzo i quarant’anni, un’età piuttosto avanzata per una donna del XVI secolo. Ma possiede quella serena, direi olimpica bellezza delle donne mature. E’ un po’ più alta di me e piuttosto prosperosa. Gli occhi azzurri contrastano piacevolmente con la pelle bianchissima, così come con il rosso delle labbra e il castano dei capelli. Mi sorride sempre e mi ascolta con sincero interesse quando le racconto dei miei viaggi o delle mie letture. La vedo spesso essendo stato ammesso alla corte di Enrico VIII in qualità di precettore del delfino, Henry Fitzroy. Siamo amanti da qualche mese. Naturalmente ho avuto altre donne, più giovani e più belle, ma con lei è un’altra cosa. So che non dimenticherò mai la magnificenza del suo grande corpo bianco disteso sul letto; la sontuosa rotondità delle sue natiche; il rosa delicato dei suoi capezzoli; lo sguardo divertito con il quale esplora il mio corpo; le dolci battaglie tra il mio pene e la sua vagina. Purtroppo non potrò restare a lungo a Londra. Non invecchio e ciò mi costringe, periodicamente, a cambiare aria. Patricia soffrirà, ne sono certo, ma finirà per consolarsi: ha uno stuolo di figli e nipoti ai quali dedicarsi.

Oggi

Non riesco a abituarmi agli spostamenti in metropolitana. Durante il viaggio, al di là del finestrino, vedo le gallerie, le stazioni, le facce anonime degli altri viaggiatori che si accingono a salire. Tutto scorre a velocità folle. Si direbbe una metafora della mia esistenza durante la quale, senza mai invecchiare, ho visto il sorgere e il declino di imperi, il susseguirsi di innumerevoli generazioni. Cosa significa questo attraversare l’esistenza come un osservatore distaccato? Non lascerò niente di mio a tutta questa gente?