Raggiunge il bandito a pomeriggio inoltrato, quando l’astro di Luhus ha superato metà giorno. La luce diurna arriva debole in quell’intrico vegetale, ma lei ha altri sensi che la guidano.
Scorge Uhn poco distante e sorride: sta mangiando e non si è accorto del suo arrivo. Gli si avvicina trattenendo il ringhio che le sale dalla gola: vuole che muoia di paura quando la vedrà. Ma il bandito si volta e non sembra meravigliato: lascia cadere il pasto e sorride; il sottobosco si squarcia vomitando un ammasso di peli, artigli e zanne.
L’odore selvaggio che lei ha notato in precedenza è tanto forte da stordirla; si dà della stupida per non aver intuito la trappola.
L’essere si contorse quando Dàhar scoprì la ferita per cambiare la medicazione. La fascia era intrisa di sangue, ma la carne sottostante guariva velocemente.
Osservò meglio la creatura: era l’incrocio tra una femmina umana, una volpe e un leone. Indossava un perizoma, ma per il resto era nuda; un accenno di seno le sbocciava sul petto, aveva una coda lunga e gonfia, il muso prognato, il corpo muscoloso coperto di pelo fulvo. I denti erano da cane, ma i piedi e le mani erano armate di artigli retrattili, come quelli di un felino.
D’un tratto, gli occhi gialli e selvaggi si spalancarono a fissarlo. Dàhar si ritrasse e mise mano alla spada; l’essere fece per alzarsi, ma scivolò e cadde sul fianco, prese le distanze strisciando sulle natiche, le labbra si ritirarono mostrando le zanne, forse a causa di una fitta, e un ringhiare sommesso fece vibrare l’aria.
Fèral voleva mettersi in piedi, ma il dolore era lancinante, portò istintivamente la mano alla ferita e si accorse di essere stata curata.
– Tranquilla – la rassicurò lo sconosciuto, allontanando la mano dalla spada.
– Chi sei? – gli chiese.
– Dàhar Oho’tak. Sei fuori pericolo.
– Eh già! – disse lei, osservando il fianco parzialmente guarito e le bende che giacevano nell’erba. Aveva perso molto sangue, era viva per miracolo, o grazie a quello sconosciuto.
– Come ti chiami? – le chiese l’uomo.
– Fèral – gli sussurrò. – Tu porti un nome da nano, ma non sei un nano.
– Si vede? – le rispose lo sconosciuto, accennando un sorriso sbilenco.
– E Oho non sembra il nome di una famiglia di nani – aggiunse pensierosa.
– Oho’tak significa figlio di nessuno.
– Io so di chi sono figlia – disse scrutando i propri artigli, – ma è come se fossi anch’io un Oho’tak. Siamo quasi parenti! – Si sforzò di sorridere a sua volta, ma il dolore le fece socchiudere gli occhi.
Dàhar le tese una mano restando impassibile. Lei la strinse e si mise in piedi reprimendo una smorfia.
– Male?
– Eh già!
L’uomo prese un sacchetto dalla cintura e vi nascose la mano, traendone un pugno di polvere verdognola.
Fèral spalancò gli occhi quando la vide. – E’ polvere dei cacciatori! Sei uno di loro?
– Non uno della Gilda.
– Allora sei ricco, se puoi permetterti quella roba.
– Ho amici tra gli affiliati.
Dàhar sorrise di più e lei fu colpita da come il suo volto ne risultasse illuminato; lo esaminò attentamente per la prima volta: era piacente e giovane, ma aveva i capelli completamente bianchi, un occhio era grigio e attento, mentre l’altro era deturpato da una cicatrice lunghissima, che spaccava il lato destro del viso e attraversava la bocca; attraverso le labbra sfigurate si intravedevano i denti bianchi, o gli spazi lasciati da quelli strappati assieme alla carne. Un piccolo neo ad anello campeggiava sulla fronte pallida.
Fèral gli porse il fianco ferito. Dàhar vi mise la mano, lasciando che la polvere si appiccicasse alla carne viva, poi la coprì con un panno pulito e la strinse con un lembo del mantello.
– Bravo – commentò muovendo il braccio, – ottima fasciatura.
– Grazie.
– Sono stata fortunata.
– Che ci facevi qui?
– Seguivo un bandito…
– Uhn! Anch’io lo seguivo, e ho trovato il tuo sangue.
– Eh già! Sono stata una stupida…
Dàhar la interruppe di nuovo: – Credevo fosse sangue di Uhn: la sua banda è stata attaccata e….
– …è stata macellata – gli disse senza nascondere l’eccitazione, – lo so: sono stata io.
– Da sola? – l’uomo sembrava sinceramente impressionato.
– Eh già! Sto cercando di farmi una reputazione tra i cacciatori di taglie.
– Ci sei riuscita! Che ne è stato di Uhn?
– E’ scappato, ma aveva un complice che lo aspettava nella foresta.
– Una bestia potente, se ha potuto ferire te che hai massacrato dieci banditi.
29 commenti
Aggiungi un commentoFèral rotolò sul fianco che non le faceva male, le foglie scricchiolarono sotto il suo peso e la ferita la costrinse a urlare;
Ma se rotola sul fianco che non le faceva male, benedetto ragazzo, perchè la ferita la fa urlare? Questo passaggio genera confusione.
Poi: non è certo una novità che le foglie scriocchiolano sotto il suo peso. Prova a lanciarci uno scoiattolo, su quelle foglie secche, e le sentirai ugualmente scricchiolare.
...vi pose con cautela la mano pelosa, che poi annusò per non dimenticare l’odore del mostro che le aveva quasi staccato una costola. Il pensiero che il sangue sul palmo non fosse solo il suo, la fece sorridere e rifletté che, forse, un giorno avrebbe avuto la sua vendetta.
Ci sono 4 'che'. Non ti sembrano un po' troppi?
Svenne.
E pure il lettore, ci scommetto.
Se hai un fianco ferito a quel modo, anche muovere l'alluce ti farebbe urlare comunque può generere confusione, hai ragione
Bellissimo. Critica sacrosanta...
E' bello avere un lettore attento, anche se solo per le prime battute, essendo svenuto subito dopo
Bella questa!
Ho appena finito di leggerlo.
COmplimenti all'autore; il tuo racconto mi è molto piaciuto.
...e grazie al lettore: anche il tuo commento mi è molto piaciuto!
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