L'Odissea e l'avvertimento di Circe

L'Odissea è forse la madre di tutte le avventure che mettono l'uomo di fronte al mito. Non tutti sanno, però, che molti degli episodi del viaggio, fondamentali e suggestivi, si svolsero in Italia; almeno stando alle teorie più accreditate.

Dopo lo scontro con il ciclope Polifemo, Ulisse e compagni raggiunsero l'isola di Eolo; il dio donò loro un otre dove imprigionò tutti i venti impetuosi. In questo modo all'esterno rimase solo una brezza leggera e favorevole, che doveva riportare la nave a Itaca. Ma i compagni di Ulisse, credendo che l'otre contenesse dell'oro, lo aprirono scatenando un uragano. Successivamente gli uomini approdarono nel territorio dei Lestrigoni, identificato con la costa nei pressi di Formia e Gaeta. I Lestrigoni erano divoratori di uomini; fecero strage di gran parte dei marinai che Ulisse aveva riportato da Troia e distrussero tutte le navi. Solo Ulisse stesso, con la sua nave e i compagni più stretti, riuscì a salvarsi e a fuggire. Arrivarono poi all'isola di Ea, dimora della maga Circe. Ancora oggi in quella parte della costa laziale si erge il Monte Circeo.

All'inizio Circe aveva trasformato in porci i compagni di Ulisse, e lui avrebbe fatto la stessa fine se non fosse stato per l'aiuto di Hermes. Il dio infatti gli diede delle erbe magiche per contrastare gli incantesimi della maga. Circe rimase stupita dal potere di Ulisse e acconsentì a riportare i suoi compagni alla forma naturale. Stabilita così una pacifica convivenza con Circe, gli uomini passarono in agiatezza più di un anno. Vinse infine il desiderio di tornare in patria.

Purtroppo ancora molte tragedie attendevano Odisseo (così viene chiamato Ulisse nell'Odissea) e i suoi seguaci, prima di giungere all'agognata Itaca. È Circe stessa che avvisò Ulisse delle prove che lo aspettavano. Prima avrebbe dovuto superare le Sirene, che "stregano con il loro canto soave, sedute sul prato". Gli eventi successivi sarebbero stati ancora più impegnativi: se mai fosse riuscito a non rimanere intrappolato dalla malefica bellezza delle Sirene, Ulisse avrebbe dovuto passare per lo Stretto di Messina. Qui, per proseguire, ci sarebbero state due vie. Circe gli dice:

«Si ergono da una parte altissime rocce, sulle quali le onde del mare oscuro con fragore si frangono. Rupi erranti le chiamano gli dei beati. Di là neppure gli uccelli passano, neppure le colombe trepide che portano ambrosia al padre Zeus: una ne afferra sempre la nuda roccia, e allora il padre un'altra ne invia per completare il numero. Di là nessuna nave riuscì a passare quando vi giunse, la furia del mare e del fuoco funesto trascina legni di navi e corpi di uomini. Una sola passò, delle navi che solcano il mare, Argo, che tutti conoscono, tornando dal regno di Eeta. E veniva anch'essa gettata contro le altissime rupi, ma Era la fece passare, perché le era caro Giasone.»

Ciò significava che la prima via, luogo dove passarono Giasone e gli Argonauti, col favore di Era, la dea sposa di Zeus, e delle Nereidi guidate da Teti, non era praticabile. Ulisse di fatto poteva percorrere solo l'altra via, attraverso lo stretto, che a sua volta nascondeva due insidie: Scilla e Cariddi.

«Dall'altra parte vi sono due scogli, uno con la vetta aguzza sfiora il vastissimo cielo, lo avvolge una nuvola scura che mai l'abbandona e mai, né estate né autunno, è limpido il cielo intorno alla vetta. Un uomo non potrebbe scalarla né potrebbe salirvi neppure se venti piedi avesse e venti mani: così liscia è la pietra che par levigata. A metà dello scoglio vi è un antro nebbioso, rivolto all'Erebo, verso occidente: qui volgi la concava nave, glorioso Odisseo. Un uomo forte che dalla nave scagliasse una freccia non potrebbe colpire quella cava spelonca. Vive là dentro Scilla, che latra in modo pauroso. La sua voce è quella di un cucciolo, ma essa è un orribile mostro. Di vederla nessuno godrebbe, neppure un dio. Ha dodici piedi, ancora informi, sei colli lunghissimi e su ciascuno una testa orrenda, con tre file di denti, numerosi e fitti, pieni di morte nera. Per metà si cela dentro la cava spelonca, ma sporge le teste fuori dall'orrido antro. E pesca, spiando bramosa intorno allo scoglio, foche, delfini e mostri anche più grandi, di quelli che nutre a migliaia il mare sonoro. Di là nessun marinaio riesce a scampare, illeso, con la sua nave: con ognuna delle sue teste essa afferra un uomo, strappandolo alla nave dalla prora azzurrina.»

Ecco quindi il terribile aspetto di Scilla, un tempo ninfa e ora trasformata in questa mostruosità. Come è diventata così, qual è la sua storia? Lo scopriremo più avanti, ora continuiamo ad ascoltare il racconto di Circe, perché un altro mostro attende i naviganti: Cariddi. Purtroppo Ulisse si troverà a dover scegliere tra i due mali. Ancora oggi l'espressione "essere tra Scilla e Cariddi" indica il trovarsi tra due pericoli, rischiando di sfuggirne uno per trovarsi nell'altro. Ed è proprio questa la situazione in cui si trova Odisseo per poter proseguire. Da una parte lo scoglio con l'antro dove si nasconde Scilla. Dall'altro…

Lo Stretto di Messina visto dal satellite
Lo Stretto di Messina visto dal satellite

«Un altro scoglio, più basso, vedrai vicino, Odisseo; distano un tiro di freccia l'uno dall'altro. Un grande fico c'è sopra, pieno di foglie, sotto c'è la divina Cariddi che inghiotte l'acqua scura. Tre volte, durante il giorno, la inghiotte, e la rigetta tre volte, orrendamente. Non devi trovarti là, quando la inghiotte: neppure il dio Poseidone potrebbe sottrarti alla morte. Allo scoglio di Scilla tienti accostato e, rapido, spingi oltre la nave, perché è molto meglio piangere sei compagni piuttosto che piangerli tutti.»

Quindi Circe consiglia nonostante tutto di passare per l'antro di Scilla, perché Cariddi inghiottirebbe la nave intera. Ulisse non crede alle sue orecchie e ancora chiede a Circe se esiste un modo migliore, se si possa difendere da Scilla e provare a salvare i compagni. Circe allora risponde:

«Sciagurato, tu pensi ancora ad azioni di guerra e non vuoi cedere agli dei immortali. Non è mortale, Scilla, è un mostro immortale, spaventoso, tremendo, selvaggio, invincibile. Non c'è via di scampo, la cosa migliore è fuggire. Se indugi vicino allo scoglio per indossare le armi, si avventerà di nuovo, ti raggiungerà con le sue teste, ti porterà via altrettanti compagni. Tu spingi forte la nave e chiama in aiuto Crataide, la madre di Scilla che la generò per la rovina degli uomini. Lei saprà impedirle di lanciarsi di nuovo.»

Insomma, qualsiasi scelta avesse fatto Ulisse, le conseguenze sarebbero comunque state tragiche…

Ma come sono nati questi mostri?