In tempi moderni l'Odissea è stata rappresentata in televisione. Ricordiamo la splendida serie televisiva prodotta nel 1968 dalla RAI e da Dino De Laurentis. Diretta da Franco Rossi, questa serie ci ricorda con nostalgia di cosa poteva essere capace la RAI di una volta. L'Odissea è piena di creture leggendarie e di ambienti fantastici e non era certo facile negli anni Sessanta rappresentare tali meraviglie. Il budget poi, anche se di tutto rispetto, non era certo quello di una produzione hollywoodiana.

Scilla afferra uno dei compagni di Ulisse
Scilla afferra uno dei compagni di Ulisse

L'interpretazione di Bekim Fehmiu (Ulisse) e Irene Papas (Penelope) erano comunque in grado di compensare tutto quello che i soldi non potevano comprare. Vale poi la pena sottolineare che, pur parlando di una produzione televisiva e tenendo conto del periodo, in questa serie non sfigurano affatto gli effetti speciali, anzi. Per l'epoca alcune cose erano sbalorditive. Basti pensare, uno su tutti, all'episodio del ciclope Polifemo, diretto guarda caso da un certo Mario Bava.

Nonostante questo, però, in questa produzione non troviamo Scilla e Cariddi. Pur con tutto l'impegno, sarebbe stato troppo difficile rendere adeguatamente un episodio simile. E infatti nello sceneggiato di Rossi si passa dall'episodio delle Sirene direttamente all'approdo sull'isola del Sole, con la scena delle vacche sacre di Iperione (la divinità che impersonifica il Sole) e poi all'isola di Calipso.

Bisogna attendere fino al 1997 per vedere una nuova versione dell'Odissea per la televisione. Questa volta la produzione è della RHI. Fanno parte del cast le nostre Greta Scacchi (Penelope) e Isabella Rossellini (Atena). Ad Armand Assante invece l'onore (e l'onere) della parte di Ulisse. Il mitico Christopher Lee interpreta il profeta cieco Tiresia, e c'è anche un "omaggio" alla vecchia versione, con Irene Papas (stavolta però in un ruolo di secondo piano) nella parte di Anticlea. I tempi sono cambiati, siamo alla fine degli anni Novanta e la grafica digitale può ormai fare di tutto. È il momento di vedere Scilla e Cariddi prendere finalmente vita sullo schermo.

Anche questa versione si prende qualche libertà sull'episodio. Allo scontro con Scilla infatti segue subito quello con Cariddi, in cui Ulisse perde la nave e tutti gli uomini, rimanendo solo.

Cariddi spalanca le fauci
Cariddi spalanca le fauci

Manca quindi la parte nell'isola del Sole, e Ulisse si ritrova, dopo il naufragio, nell'isola di Calipso. Gli effetti speciali sono piuttosto buoni, il passaggio per cui navigano Ulisse e compagni è una gola strettissima, che certo non richiama alla mente lo Stretto di Messina. C'è anche da dire che stando al racconto di Circe i due pericoli distano "un tiro di freccia l'uno dall'altro", quindi la scena rende bene. Ma non bisogna dimenticare che all'origine della leggenda ci sono la Calabria e la Sicilia. Certo non distano l'una dall'altra di un tiro di freccia, ma è lecito supporre che Omero abbia un po' "drammatizzato" la situazione, come spesso fanno anche gli autori moderni.

Ulisse contro Scilla e Cariddi

Abbiamo accennato al fatto che gli Argonauti fecero una strada diversa ed evitarono lo Stretto. Orfeo li salvò dalle Sirene grazie alla sua abilità musicale con la lira. Trasse infatti una musica ancora più melodiosa delle Sirene. Era e Teti, insieme alle Nereidi, guidarono poi gli Argonauti per un'altra via. Ulisse invece non ebbe scelta, dovette affrontare i mostri. Torniamo al racconto dell'Odissea e vediamo come se la cavano Odisseo e compagni. Il gruppo è appena uscito indenne dai pericoli delle Sirene, quando Ulisse vede del fumo e un gran vortice d'acqua, e ode un rombo.

Il divino Odisseo
Il divino Odisseo

«Ai compagni, atterriti, sfuggirono di mano i remi che con un tonfo ricaddero nella corrente. Là si fermava la nave, poiché essi più non spingevano i remi dalla punta sottile. Ma io percorrevo la tolda e incitavo i compagni con parole suadenti fermandomi accanto a ciascuno: "Amici, noi conosciamo i pericoli: e questo non è più grande di quando il Ciclope a forza ci chiuse nel suo antro profondo. Ma anche di là fuggimmo, per il mio accorto consiglio e il mio valore: così anche di questo potremo ricordarci, io credo. Ma fate ora tutti come vi dico: voi, seduti sui banchi, battete coi remi le acque del mare profondo, nella speranza che Zeus ci conceda di salvarci e scampare al disastro. E a te, nocchiero, io ordino questo: imprimilo bene nel cuore perché sei tu a tenere la barra della concava nave: da questo fumo tienla lontana, e dal vortice d'acqua, e bada agli scogli, che non ti sfugga se vi si lancia contro, che tu non ci mandi in rovina."

«Così parlavo, ed essi ascoltarono le mie parole. Non dissi loro di Scilla, sciagura senza rimedio, perché dal terrore non lasciassero i remi per nascondersi dentro la nave. Dimenticai, allora, l'ordine severo di Circe, che mi imponeva di non rivestire le armi: io invece indossai le mie armi gloriose e stringendo due lunghe lance in entrambe le mani salii sulla tolda: di là pensavo che mi sarebbe apparsa sopra le rocce Scilla, per fare del male ai compagni. Ma non riuscivo a vederla: i miei occhi erano stanchi di scrutare dovunque sul tetro scoglio.