Queste dodici fatiche furono anche interpretate come allegorie dei lavori agricoli nei dodici mesi dell’anno. Oltre alle dodici fatiche, Eracle compì altre leggendarie imprese. Liberò Prometeo incatenato, separò i monti Abila e Calpe sullo stretto di Gibilterra, creando le famose Colonne d’Ercole. Liberò Esione, uccidendo il mostro marino che la minacciava, e in seguito uccise il padre della fanciulla, il re di Troia Laomedonte, che non aveva pagato il compenso stabilito. Volle poi sposare Iole, la figlia di Eurito, che non gliela concesse. L’eroe allora, preso da un nuovo accesso di follia, uccise Ifito, il solo dei figli di Eurito che gli era favorevole.

Per espiare questo nuovo delitto, consultò l’oracolo di Delfi, e gli fu ordinato di servire come schiavo per tre anni la regina di Lidia, Onfale. Qui riuscì a liberare il paese dai predoni e la regina, ammirata, gli ridiede la libertà e lo sposò. Ma Eracle tornò nel Peloponneso e ripose sul trono di Sparta Tindaro. Si innamorò poi di Deianira, figlia di Eneo, re dell’Etolia, e la sposò. Ma i due sposi furono costretti ad allontanarsi da Calidone perché Eracle aveva involontariamente ucciso un uomo con un pugno. Durante la fuga, i due sposi dovettero attraversare il fiume Eveno in piena. Il centauro Nesso, che si era offerto di aiutarli a passare, in realtà tentò di violentare Deianira, ed Eracle allora lo uccise con una delle sue frecce fatali. Ma il centauro, per vendicarsi, prima di morire immerse la sua tunica nel sangue avvelenato e la donò alla giovane sposa, dicendole che l’indumento avrebbe avuto il potere di mantenerle l’amore del marito.

Deianira gli credette e quando Eracle, dopo aver mosso guerra a Eurito, che in passato gli aveva rifiutato la mano di Iole, e dopo averlo ucciso, ne prese prigioniera la figlia, la giovane moglie, gelosa, pregò il marito di indossare la fatale tunica. Eracle la accontentò, ma la tunica impregnata di sangue avvelenato gli si attaccò alla pelle e l’eroe non riuscì a liberarsi del micidiale indumento. Incapace di sopportare quelle atroci sofferenze, Eracle salì sul monte Eta, dove costruì una pira a cui l’amico Filottete diede fuoco, e si gettò sul rogo. Ma Zeus provò pietà per l’eroe e scese, fra tuoni e fulmini, a prenderlo per portarlo nell’Olimpo, dove divenne immortale e sposò Ebe.

I Romani identificarono Eracle con Ercole, una divinità benefica a cui furono dedicati molti templi, che proteggeva gli agricoltori e i lavori dei campi. I Romani facevano risalire la presenza di Ercole in Italia ai tempi di Evandro, quando l’eroe, reduce dalla decima fatica e dalla cattura dei buoi di Gerione, incontrò sul Palatino il re dei Latini.

Giunone – Era

Figlia di Crono e di Rea, sorella e sposa di Zeus. Si diceva che fosse stata allevata da Oceano e da Teti. Le nozze con Zeus furono celebrate con grande solennità e partecipazione degli dèi e degli uomini. Solo Chelonea, una ninfa, si rifiutò di recarvisi e anzi derise la cerimonia. Per questo atto di empietà Ermes la trasformò in tartaruga e la condannò a un eterno silenzio (la tartaruga era considerata dagli antichi il simbolo del silenzio). Era divenne la regina degli dèi e la signora del cielo e della terra. Dipinta dai poeti come dea dispotica e capricciosa, perseguitò con la sua gelosia le donne amate da Zeus e i figli nati dalla sua infedeltà. Per questo erano frequenti i suoi litigi con l’augusto sposo. Un particolare accanimento mostrò nei confronti di Eracle, concepito da Zeus con Alcmena Il suo risentimento verso Paride, dopo il famoso episodio della mela d’oro, la rese spietata avversaria dei Troiani, di Priamo e di tutta la famiglia del re, causando loro infinite sciagure e lutti.

Era proteggeva i matrimoni fecondi e le spose illibate. Il dittamo, il papavero e il giglio erano i suoi fiori preferiti, gli animali che le erano sacri erano il falco, il pavone e l’oca. Aveva un culto particolare ad Argo, a Samo, a Micene, a Sparta e a Corinto. Le venivano offerti in sacrificio un agnello e una scrofa ogni primo giorno del mese. Non le venivano invece mai immolate le mucche, perché quando gli dèi, durante la guerra con i Giganti, fuggirono in Egitto, Era assunse la forma di quell’animale.

A Roma fu adorata come Giunone ed era onorata in Campidoglio, le cui famose oche erano a lei sacre. I consoli, quando entravano in carica, le tributavano solenni sacrifici. Le erano dedicate delle feste dette Caprotinae nonae, il 7 luglio. Presiedeva ai parti e in questa veste era soprannominata Lucina.

Marte – Ares

Figlio di Zeus e di Era, era il dio della guerra, amato da Afrodite, che con lui tradì Efesto, e da cui ebbe i figli Armonia, Phobos (la Paura), Deimos (il Terrore), e forse anche Eros e Anteros. Per assicurare l’intimità dei suoi incontri con la dea della bellezza, Ares aveva messo di sentinella il giovane Alettrione, perché avvertisse i due amanti del sopraggiungere del giorno. Ma il guardiano si addormentò e il dio infuriato lo mutò in gallo. Ares era amante dei tumulti, dei conflitti sanguinosi e del furore della battaglia, ed era perciò la divinità meno amata dai Greci, che prediligevano il raziocinio anziché la forza bruta.

Per aver ucciso Alirrozio, fu giudicato davanti al tribunale ateniese, che da allora si chiamò Areopago (“Colle di Ares”). Durante la guerra fra Zeus e i Giganti, Oto ed Efialte imprigionarono Ares e lo tennero chiuso in una giara per quindici mesi, finché Ermes non lo liberò. Durante la guerra di Troia parteggiò per i Troiani, ma fu ferito da Diomede e tornò precipitosamente sull’Olimpo.

I Romani identificarono questo dio con Marte e gli tributarono maggiori onori dei Greci. Lo consideravano il protettore della loro città, in quanto padre di Romolo, il loro primo re. Al culto di Marte erano addetti i sacerdoti Salii.