Pensi che in Italia si possa vivere ”solo” scrivendo fantascienza o fantasy?
Ne dubito. Non c’è un mercato sufficientemente ampio come negli Stati Uniti. Se avessi scritto il mio libro in inglese — fermo restando che il mio inglese non può neanche lontanamente competere con quello di uno scrittore anglosassone, non dico americano o inglese, ma persino indiano o sudafricano — con molta probabilità avrei avuto la possibilità di vendere almeno dieci volte tanto le copie che presumibilmente venderò in Italia. D’altra parte, se scrivi in inglese, una volta saturato un mercato, ad esempio quello statunitense, hai sempre la possibilità di spostarti su quello britannico, australiano, persino di altri paesi dove comunque l’inglese è una seconda lingua. Se scrivi in italiano, invece, l’unica speranza è che un giorno qualche editore decida di tradurre il tuo libro in inglese e che la traduzione mantenga un minimo della qualità e dello stile che ti sono costati così tanto quando hai scritto nella tua lingua.
Come scrittore, come organizzi la tua giornata lavorativa? Ogni scrittore ha una sua ritualità nello scrivere, quale è la tua?
Scrivo essenzialmente al computer, a parte gli appunti sul blocchetto che uso quando sono lontano dal mio PC. Prima di scrivere scaldo i muscoli, ovvero mi metto a fare uno di quei giochini che richiedono cervello ma seguono regole semplici, quasi automatiche, come un solitario (carte, mahjong, ecc…). Quando sono “caldo”, mi concentro sul pezzo che devo scrivere rileggendo alcuni brani precedenti ad esso correlati, per rientrare nelle storia, farmi avvolgere di nuovo dall’ambientazione. Contemporaneamente attingo a tutte le fonti che mi servono. Uso molto Internet per raccogliere informazioni, ma faccio anche molte simulazioni sul campo. Per esempio, molte delle battaglie presenti nel secondo volume non sono solo il risultato di studi di battaglie storiche realmente avvenute, ma anche di simulazioni sia al computer che “dal vero”, sfruttando alcuni amici miei esperti di giochi di ruolo e war games. Alcuni duelli li ho provati veramente, sia con la spada che con la lancia, studiando non solo le tecniche e i movimenti, ma interiorizzando le sensazioni provate durante il combattimento. È molto importante non limitarsi a descrivere qualcosa semplicemente dall’esterno, ma riuscire anche a ricreare l’atmosfera, le sensazioni, le emozioni. In quanto all’organizzare la giornata, non lo faccio. Scrivo quando posso, quando riesco, quando ho qualcosa da scrivere. In genere amo il silenzio, quindi scrivo di notte, ma mi è capitato di scrivere in treno o in aereo. Inoltre guardo poco la televisione, e solo se c’è qualcosa che realmente m’interessa: questo mi permette di avere qualche ora in più, se non sono troppo stanco dopo una giornata di lavoro.
Quale è stato lo stimolo (letture, film o altro) che ti ha dato l’idea di scrivere La Lama Nera?
Non lo so. O meglio, non c’è stato uno stimolo interno. A volte ho l’impressione di non aver inventato nulla, ma piuttosto che la storia sia venuta dall’esterno, da sola, come se ci fosse qualcuno che ogni tanto butta un’idea nella mia testa come un foglio accartocciato lanciato in un cestino a mo’ di canestro. Forse non sono io a scrivere, ma è la storia che si materializza tramite me: credo abbia una vita propria, e io non vedo alcun motivo per ostacolarla. Lascio che succeda. Tutto qui.
È vero che hai costruito a computer il mondo (Reta) dove si svolgono le avventure di Aggart?
Sì. In effetti, nei primi tre mesi di lavoro non ho scritto una sola riga di testo. Ho passato settimane a costruire l’ambientazione. Ho utilizzato un simulatore chiamato Celestia per riprodurre un sistema solare che avevo realizzato con l’aiuto di un paio di astronomi, un italiano e un americano, conosciuti in rete. Ho lavorato sulle dimensioni e sulla densità del pianeta, cercando di capire dove e come posizionare le lune, fondamentali per una società prevalentemente agricola come quella medioevale. Poi ho usato la tettonica a zolle per posizionare le masse continentali, la teoria dei frattali per costruire le coste e i vari elementi orografici, fermo restando che montagne e bacini idrografici dovevano avere una loro collocazione non solo da un punto di vista meramente geometrico, ma in base a considerazioni geologiche e climatologiche. Insomma, ho lavorato molto chiedendo consiglio a decine di esperti tutte le volte che mi trovavo di fronte a domande del tipo: «Ma qui ce la posso mettere una montagna?», oppure «Qui, come dovrebbero scorrere i fiumi?». Ho scritto fin dall’inizio la trama di tutta la trilogia, e ho già una serie di elementi relativi ad un’eventuale seconda, per cui è fondamentale poter contare su una scenografia già bella e pronta in tutti i particolari. Ho sviluppato decine di fogli elettronici che mi permettono di calcolare il tempo di percorrenza lungo determinati percorsi in funzione del terreno, del clima, del mezzo di trasporto, ho disegnato carte dei venti e delle precipitazioni, realizzato simulazioni di ogni genere, persino un meccanismo per sapere in un certo giorno dell’anno e in una certa regione, quante ore di luce ho a disposizione. Un mucchio di lavoro, ma una volta fatto è lì, pronto per essere riutilizzato. Tutto materiale che il lettore non vedrà mai, anche se qualcosina la può trovare sul sito www.lalamanera.it, ma assolutamente indispensabile per potersi concentrare sulla trama senza doversi preoccupare di tutto il resto.
Nei volumi successivi quale sarà la funzione del mago Ona? Tornerà fisicamente?
Eh, no. Questo non si può dire! Posso solo anticipare che avrà ancora un ruolo, e non solo lui, ma anche altri personaggi secondari della prima storia. Non vi aspettate tuttavia troppi happy ending. La mia è una storia vera, dove le cose vanno come vanno e non sempre c’è una logica o una giustizia in tutto ciò. Non amo gli eroi tutto muscoli e nobiltà, le principesse in abiti succinti e i mostri cattivi senza cuore. Certo, il cattivo nella storia c’è, ma la maggior parte dei personaggi sono nel mezzo, in quel limbo fumoso dove non c’è solo il bianco e il nero, e neppure solo il grigio, ma mille colori, così tanti che non è neanche possibile capire con quale metro valutare i vari personaggi e il loro modo di ragionare.
Nel primo volume ci sono chiari riferimenti a un recente passato di devastanti guerre, di un usurpatore che i Quattro Regni hanno deposto ecc. È un accenno a fatti che andrai a raccontare magari in un altro ciclo? Oppure hai altri programmi?
Beh, non ho creato un mondo così dettagliato per usarlo una sola volta. L’idea di base — ma è solo un’idea, dipenderà poi dall’editore e soprattutto dal successo o meno della prima trilogia, se diventerà qualcosa di più — è quella di creare un ambiente in cui sviluppare più di una trilogia, e magari anche singoli romanzi o anche racconti. Si potrebbe persino pensare un giorno di “prestare” l’ambientazione ad altri autori, ma devo ragionarci ancora su. Di certo c’è che ho nella testa una seconda trilogia, antecedente cronologicamente a quella della Lama Nera. In effetti, ho già deciso sia i protagonisti che la storia, ma adesso è troppo presto per parlarne.
6 commenti
Aggiungi un commentoA parte che questo può essere vero alle prime armi e meno imprenscindibile quando si ha un po' di esperienza o sicurezza... credo che comunque si possa imparare molto (anzi, quanto basta) anche dalla non-narrativa. E comunque il senso era "non leggere fantasy", e non "non leggere narrativa".
Leggi (troppo) nel "tuo stesso genere" e:
A) L'immaginazione ne resta condizionata. Non saprai battere che strade già battute. Solo quelle, infatti, ti sembreranno naturali.
B) Rendendoti conto del punto A e volendo inseguire qualcosa di originale potresti persino finire per bloccarti completamente.
In realtà non è così assurdo. Lo dico per esperienza diretta. Vedi, quando leggi un romanzo, non ti limiti mai a leggere una storia, ma assorbi un mondo, un insieme di idee e situazioni delle quali molte rimangono a livello inconscio. Non so se ti è mai capitato -- posso darti del tu, visto che siamo fra amici, qui? -- di fare una pausa mentre stai leggendo un romanzo, e di ritrovarti a fantasticare su ramificazioni della trama assolutamente tue personali. Se hai molta fantasia è una cosa normale.
Uno scrittore è un artista, ma è anche un artigiano, e un tecnico, e un ingegnere. Un buon scrittore deve avere sempre il controllo della sua storia, come un pittore avere la mano ferma e completo controllo della tecnica che ha deciso di usare. Questo vuol dire che se introduci nella tua opera un elemento preso da un altro romanzo -- lo fanno tutti, fosse solo come riconoscimento verso un autore che li ha ispirati --lo devi fare a ragion dovuta e cosciente di quello che stai facendo, non come risultato di un'inflenza inconscia.
Ecco perché mentre scrivo di fantasy NON leggo fantasy. Ho diecimila altre scelte: dai saggi agli articoli de «Le Scienze», ed eventualmente qualcosa di fantascienza molto tecnologica o romanzi storici. Ma non fantasy. E' un sacrificio, ma va fatto, per rispetto dei lettori, che hanno il diritto di vedersi proposto un prodotto nuovo, originale, e non la solita trama trita e ritrita.
Non concordo su nessuna linea (salvo quella di darsi del tu )
per NK: due negazioni non fanno un'affermazione in questo caso
Ciao Dario,
ho letto il tuo romanzo e mi è piaciuto. Devo rimandare più in là un discorso più approfondito (a quando avrò un po' di tempo per scriverne una personalissima recensione sul mio sito - magari te la segnalo qui).
Una cosa mi incuriosisce, di quello che hai scritto. Sembra tu ritieni che se leggessi fantasy, mentre stai scrivendo, il romanzo ne uscirebbe di conseguenza meno originale (addirittura "trito e ritrito"). Non so se ho capito male io, ma se così è a me sembra un concetto assurdo (o quantomeno distante da me anni luce. E la cosa, di conseguenza, mi incuriosisce di te).
Il romanzo lo puoi studiare a tavolino, prima di scrivere la prima stesura, e puoi studiarlo un po' oppure fin nei minimi dettagli. Che una lettura del momento sconvolga il tuo impianto al punto tale da rendere ciò che avevi infuso d'originalità in qualcosa di trito e ritrito... non capisco.
Personalmente, ritengo che la via all'originalità sia frutto della consapevolezza dei propri mezzi e del bagaglio delle proprie letture. Prima di cominciare a scrivere un romanzo, so sempre cosa di esso è originale e cosa, invece, ricalca il classico. E' bene essere padroni, più che della tecnica, dell'essenza del romanzo. Sapere cosa si sta per scrivere, senza mentire a se stessi.
Personalmente, non sono contro il fantasy classico, a patto che sia scritto bene, denunci l'impegno dello scrittore e mi avvinca ed emozioni (e per questo sono pochissimi i romanzi che mi entusiasmano). Né, come molti dei ragazzi qui presenti sanno, sono per l'originalità a tutti i costi.
Il mio ultimo romanzo, "La Rocca dei Silenzi", è un romanzo di stampo molto classico, con personaggi al limite della stereotipizzazione (perlomeno dapprincipio), ma che aveva un tema di fondo e uno sviluppo non molto comuni. Questo l'ho dichiarato sul mio sito proprio mentre stavo scrivendo la prima stesura, presentandolo. E così è stato, stando alle risposte dei lettori, pur avendo io continuato a leggere fantasy durante i mesi di scrittura e revisione.
Penso che i nostri romanzi siano il risultato del proprio bagaglio e della propria visione della vita. Più ricco è il bagaglio e più piena e vissuta la nostra vita, più ricco e pieno può essere il risultato finale. Se, mentre mi cimento nell'arduo tentativo di fare qualcosa di buono con le parole, aggiungo un altro po' di ricchezza al mio bagaglio, che male mi può fare?
Pur non avendo ricevuto risposta da Dario, e quindi non sapendo se legge il forum o il suo è stato un intervento più unico che raro, inserisco qui il link alla mia recensione de "La lama nera", come promesso.
http://www.negrore.com/recensioni/02lalamanera.htm
Un saluto a tutti!
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