La contessa Jeanne Valois de la Motte, artefice della truffa della collana
La contessa Jeanne Valois de la Motte, artefice della truffa della collana

La notorietà dei personaggi coinvolti e la pubblicazione degli atti del processo fa della vicenda un vero e proprio scandalo, che assume dimensioni incontrollabili. Mentre il Parlamento vaglia i memoriali degli accusati e le prove, l'opinione pubblica, alimentata anche da fantasiose dicerie ed episodi maliziosi, segue attentamente lo svolgersi del processo. Specialmente le testimonianze di Cagliostro e Serafina hanno un grande successo tra la popolazione, che si schiera in gran parte con loro; il popolo è commosso dalla carcerazione ingiusta inflitta ai coniugi. Gli investigatori conducono un buon lavoro, e man mano risalgono ai fatti. Serafina viene scarcerata dopo pochi giorni; Cagliostro deve sostenere interrogatori pesanti e confronti drammatici con la contessa de la Motte, che continua a incolparlo. La contessa è però arrivata alla disperazione e fa troppi errori, il suo memoriale è incongruente, e continua ad accusare tutti, Rohan, Cagliostro e la stessa regina. Ma le sue testimonianze, vacillanti e contraddittorie, non convincono i giudici.

Infine arriva la sentenza. La contessa de la Motte è giudicata colpevole e viene condannata alla fustigazione, a essere marchiata a fuoco e all'ergastolo. Il comportamento del cardinale Rohan è giudicato onesta e regolare, l'unica sua colpa è quella di essersi fatto ingannare, ma era in buona fede. Tutte le accuse contro Cagliostro cadono e viene assolto con formula piena, tra l'esultanza della popolazione. Cresce così ancor di più la popolarità del conte e anche i più scettici ora si interessano alle arti misteriose di cui è maestro, e che lui ha sempre usato per “il bene del genere umano”, come ha scritto anche nel memoriale. Ma i problemi non tardano a risaltar fuori per il famoso guaritore. Poco dopo l'assoluzione gli viene recapitata una lettera che gli impone di lasciare la Francia entro tre settimane. La sentenza del Parlamento ha indignati i sovrani, che continuano a ritenerlo colpevole, e si vendicano costringendolo all'esilio. Anche il cardinale Rohan viene scacciato dalla corte, e il Papa lo sospende, lasciandogli però inalterate le rendite. Cagliostro si rende conto della pericolosità della situazione e parte in anticipo, tornandosene in Inghilterra.

Ma la partenza di Cagliostro non serve a placare l'eco dello scandalo. L'opinione pubblica, il clero, i nobili, il parlamento non cessano la discussione dell'argomento, arrivando infine ad accusare gli stessi sovrani, la cui condotta sembra dubbia. Si pensa che abbiano responsabilità dirette nella vicenda, e le abbiano mascherate con il clamoroso processo. “L'affare della collana” sarà uno degli elementi determinanti nella sorte della dinastia capetingia. Da lì a pochi anni le tensioni porteranno infatti alla tragica Rivoluzione Francese del 1789. Una giuria popolare condannerà alla ghigliottina Maria Antonietta e Luigi XVI, resisi colpevoli di sperperi di favolose ricchezze, solo per sostenere lo sfarzo della corte, incuranti della miseria e della fame del popolo. Così si avvereranno le profezie di Cagliostro, che avrà rivalsa per il suo ingiusto esilio. Ma il declino del conte è ormai iniziato, anche perché le persecuzioni di quanti continuano a ritenerlo colpevole lo seguono aspramente a Londra.

La condanna dell'Inquisizione e la fine

La coppia cerca di risollevarsi compiendo vari viaggi. Prima in Aix in Savoia e poi in Italia, a Torino, Genova, Rovereto. In queste città il conte continua a svolgere l'attività di taumaturgo e a instaurare logge massoniche. Nel 1788 giunge a Trento, dove viene accolto con favore dal vescovo Pietro Virgilio Thun. Ma Serafina desidera rientrare a Roma e Cagliostro, pur di assecondarla, è disposto a stabilirsi nella città, che però è notoriamente ostile alla massoneria, considerata faziosa e reazionaria. Il vescovo aiuta la coppia a ottenere i permessi necessari e alla fine Cagliostro e Serafina si stabiliscono nella città. Ma l'ambiente non è favorevole. Cagliostro poi ha preannunciato la presa della Bastiglia e la caduta dei sovrani di Francia e questo, unito alla sua intraprendenza massonica, desta preoccupazioni nei poteri forti.

Non trova aiuto negli ambienti massonici, che cominciano ad abbandonarlo e a considerarlo un volgare trufffatore. È evidente che il taumaturgo non gode più dei favori di una volta. Prova comunque a costituire anche a Roma la sua loggia di tipo egiziano, invitando a Villa Malta, nel settembre del 1789, molti patrizi e prelati romani. Il tentativo è un insuccesso completo, rispondono all'invito solo il marchese Vivaldi e il frate cappuccino Francesco Giuseppe da san Maurizio. Ma questo basta a preoccupare la Chiesa che, sentendosi sfidata, comincia a tenere d'occhio il conte, attraverso il Sant'Uffizio.

L'occasione per procedere all'arresto viene offerta proprio dalla moglie. Serafina, ovvero Lorenza, consigliata dai parenti (che evidentemente avevano che capito che l'aria era cambiata) viene indotta a denunciare il marito come eretico e massone. Cagliostro in realtà ha già capito di non potersi più fidare della moglie e, finita la rivoluzione in Francia, ha scritto un memoriale all'Assemblea nazionale francese, dando il suo appoggio al nuovo governo e sperando di rientrare in Francia, essendo ormai caduta la monarchia. La sua relazione viene però intercettata dall'Inquisizione, che redige un dettagliato rapporto sulle attività politiche e antireligiose del “Gran Cofto”. Papa Pio VI decreta così, il 27 dicembre 1789, l'arresto di Cagliostro, della moglie, e del frate cappuccino.