La fortezza di San Leo – foto tratta dal sito del Comune di San Leo
La fortezza di San Leo – foto tratta dal sito del Comune di San Leo

Grande scalpore causa la notizia, che circola rapidamente in tutta Europa, divulgata da tutti i giornali e le riviste dell'epoca. Il Papa, preoccupato dai poteri e dalle gesta del grande alchimista, ha deciso infine di consegnare la sua sorte all'Inquisizione, il tribunale più temuto dell'epoca. Incarcerato a Castel Sant'Angelo, Cagliostro attende per alcuni mesi l'inizio del processo. Nelle indagini grande importanza viene data al Rituel de la Maçonnerie Egyptienne, il manoscritto che contiene le teorie massoniche di Cagliostro. Il Sant'Uffizio ne affida la disamina a due esperti di materie massoniche, il domenicano Tommaso Vincenzo Pani, commissario generale dell'Inquisizione, e Padre francesco Contarini, consultore. L'opera e il pensiero di Cagliostro sono giudicati eretici e pericolosi per l'integrità del credo cattolico. Il pontefice ordina la distruzione del manoscritto e di tutti gli strumenti adoperati dal conte, sequestrati a Villa Malta. La sentenza viene eseguita in una pubblica cerimonia detta autodafé: davanti a una folla acclamante vengono bruciati libri e oggetti del rito egiziano. Giudicato colpevole di eresia, massoneria e attività sediziose, Cagliostro viene condannato a morte. È il 7 aprile 1790.

Lorenza Feliciani è assolta, ma viene comunque rinchiusa, come misura disciplinare, nel convento di Sant'Apollonia in Trastevere, dove rimarrà fino alla morte. Cagliostro, in seguito alla pubblica rinuncia alla sua dottrina, ottiene la grazia e la condanna viene commutata in ergastolo; da scontare nelle oscure prigioni della fortezza di San Leo a Pesaro, considerato il carcere di massima sicurezza dello Stato Pontificio. Il lungo periodo di reclusione inizia il 21 aprile 1791 e si conclude con la morte di Cagliostro che, ormai gravemente ammalato, si spegne il 26 agosto 1795, per un colpo apoplettico. Di questo periodo rimane abbondante testimonianza nell'Archivio di Stato di Pesaro, dove tuttora sono conservati gli atti riguardanti il trattamento riservato al detenuto.

La morte di Cagliostro fu trasmessa a Roma dal conte Sempronio Semproni, governatore e castellano di San Leo. Ma non tardarono a circolare leggende sul famoso personaggio. Anche perché Cagliostro era ancora amato da molte persone, come testimoniato anche da questo brano tratto da una lettera del Semproni al cardinale del Zelada, datata 12 maggio 1791. Il castellano riteneva più sicuro trasferire cagliostro nella cella del Pozzetto, la più angusta e sicura della fortezza, e scriveva “Temendo io nello stato presente, come ebbi l'onore di esprimerli in altra mia, più di una sorpresa esterna, che di un interno tradimento, e ciò in vista di questo particolare Rilegato, che ha un'infinità di incogniti aderenti e fautori…” Insomma il castellano temeva che qualcuno ne ordisse la fuga e voleva controllare più strettamente il detenuto, che “ha un fondo inarrivabile di furberia e raggiro”.

Cagliostro era eretico e quindi fu sepolto “fuori di luogo sacro e senza formalità alcuna ecclesiastica.” Questo diede adito a molte leggende riguardanti la sua vera fine. Qualcuno disse che la morte non fu dovuta a un colpo apoplettico, e fu invece ucciso da un frate, durante una fuga. Altri dissero invece che l'evasione riuscì e fosse fuggito in abiti da sacerdote. Nel 1797 la fortezza di San Leo si arrese alle forze polacche del generale Dombrowski. Il generale concesse la libertà ai reclusi della fortezza, che si unirono ai soldati per festeggiare. Stando alla testimonianza del nonagenario Marco Perazzoni, morto nel 1882 a novantasei anni, i prigionieri scavarono la tomba di Cagliostro e ne usarono il teschio per brindare alla libertà. Un'altra leggenda vuole invece che Cagliostro simulò la morte e fu salvato dai massoni, con i quali salpò verso la salvezza.

Lo scrittore Pier Carpi si spinge più in là e afferma che in realtà non è chiara l'identificazione del conte di Cagliostro in Giuseppe Balsamo. Secondo lo scrittore, infatti, il conte era in realtà il figlio illegittimo di un principe portoghese, che lo affidò ancora in fasce al mercante Pietro Balsamo a Palermo, pagandolo profumatamente per evitare lo scandalo. Il mercante lo avrebbe presentato come suo figlio naturale. Nel contempo nasceva il vero figlio di Pietro Balsamo, Giuseppe. Questa situazione avrebbe permesso di identificare Cagliostro con Giuseppe Balsamo, ma in realtà il conte e Giuseppe erano due persone diverse. Alessandro sarebbe stato il vero iniziato alle arti magiche, mentre Giuseppe era un truffatore che sfruttava questa sua confusione, ricattando Alessandro, pena svelare le sue vere origini. Giuseppe inoltre sarebbe stato uno strumento nelle mani della Chiesa, che lo avrebbe mandato in giro per tutta Europa per compiere truffe e imbrogli, per screditare il vero Cagliostro, che era troppo potente e pericoloso per il clero. Alla fine non fu il vero Cagliostro a cadere nelle mani dell'Inquisizione, ma Giuseppe Balsamo, che quindi morì al posto suo. Questa teoria sarebbe avallata da un articolo pubblicato dalla rivista Stargate nel 2002, dove si parla del presunto ritrovamento di un biglietto autografo di Alessandro Cagliostro, scritto da Palermo, in cui chiederebbe all'Inquisizione la grazia per Giuseppe Balsamo, detenuto a San Leo.